Non sono contro le primarie. Al contrario: le ritengo importanti. Caratterizzano un contributo innovativo portato dal Pd nella politica, in Italia e non solo, viste le esperienze realizzate ad esempio in Francia. È tuttavia venuto il tempo di darsi delle regole, valide ovunque: lo spontaneismo un po’ confuso produce solo danni e a breve può logorare le stesse primarie. Indico quelle che per me sono essenziali.
Prima regola: le primarie sono utilizzabili per scegliere i candidati alle elezioni, in primo luogo quelli a sindaco, presidente di Regione, Primo Ministro. Non hanno invece senso per gli incarichi di partito, a meno che non si stabilisca una coincidenza tra questi e le responsabilità di guida delle istituzioni: in caso contrario devono essere decisi dagli iscritti.
Seconda regola: in democrazia c’è una legge fondamentale, che può avere qualche volta, ma raramente, limitate eccezioni. La guida dei governi è espressa dal candidato del partito più forte dell’alleanza che ha vinto le elezioni. Altrimenti i governi non reggono. Questa regola viene seguita in Paesi che hanno differenti leggi elettorali, forme di stato e di governo, dalla Francia alla Germania, dalla Spagna alla Gran Bretagna. Tradotta in Italiano significa che la scelta per l’esponente che guiderà il governo, nel centrosinistra, non può che riguardare il Pd.
Terza regola: le primarie non possono assomigliare ad una sorta di populismo organizzato. Chi l’ha inventate e da più tempo praticate, mi riferisco agli Stati Uniti, ha stabilito che se nessun candidato raggiunge il 50% più uno dei consensi, si deve procedere in convenzione ad una intesa, anche su una personalità che non era scesa in campo. Ma non si è candidati se non sostenuti da una maggioranza reale di delegati. In Francia, in occasione delle primarie che hanno scelto Hollande come candidato socialista alle presidenziali, non avendo al primo turno nessuno dei partecipanti raggiunto il 50 più uno dei consensi, si è proceduto ad un ballottaggio tra i primi due. Secondo me dobbiamo assumere anche in Italia questa impostazione.
Ultima considerazione: siamo tutti d’accordo nel dare vita ad un albo degli elettori, per avere una platea di riferimento, non improvvisata o peggio ancora composta a seggi aperti, con diritto di partecipazione alle primarie. Costruiamola, dandoci dei tempi certi. Se assumeremo delle regole per le primarie valide ovunque, queste, oltre ad essere importanti ed utili, non diverranno un improprio campo di battaglia per cercare di cambiare le strategie politiche né occasione, altrettanto sbagliata e negativa, per imbastire scontri interni, che hanno la sola motivazione di mettere in discussione assetti ed equilibri.
Vorrei che tutti noi ci ricordassimo, sempre, che l’Italia ha bisogno di un Pd unito; che la stragrande maggioranza di chi guarda a noi, non sopporta un partito-confederazione di correnti, cristallizzazione insopportabile di un congresso ormai passato; che infine non so se vinceremo le prossime elezioni politiche – è non solo possibile, ma probabile – ma intanto preoccupiamoci anche della perdita di fiducia nel sistema dei partiti, nessuno escluso, e di quel 45% dei cittadini – quasi uno su due – che in questo momento non andrebbe a votare. Una grande forza progressista si dovrebbe concentrare su questo, sui temi di uno sviluppo sostenibile, capace di dare lavoro, sul rinnovamento della democrazia, sull’Europa. Non abbiamo bisogno di insopportabili autoreferenzialità, ma di un’apertura alla società, ai cittadini, al mondo dei lavori: altrimenti non capiamo cosa succede e rischiamo inutili sbandate.