Le misure sulle liberalizzazioni approvate dal governo rispondono all’esigenza di innovazione e sviluppo dell’Italia: sono alcuni passi importanti – anche se non tutti quelli necessari – per intaccare alcune posizioni di rendita, favorire la concorrenza, l’accesso dei giovani all’occupazione, il merito. I provvedimenti sono migliorabili e sarà compito del Parlamento intervenire per farlo.
L’auspicio è che le forze politiche si impegnino per contribuire al rinnovamento dell’Italia, ad una innovazione che guardi all’insieme dei cittadini. Stravolgere l’impianto del decreto sulle liberalizzazioni sarebbe un inammissibile passo indietro. I diritti devono essere coniugati con il superamento di rendite di posizione divenute ormai un peso corporativo, che ostacola la modernità dell’Italia e la realizzazione di una reale uguaglianza di opportunità per i cittadini. In una fase di crisi profonda, che trova le sue ragioni anche nei limiti strutturali della nostra economia, con disuguaglianze sociali che si sono accentuate, dobbiamo avviare uno sviluppo sostenibile, in grado di offrire una occupazione degna, in particolare alle giovani generazioni. Per vincere la sfida ognuno deve fare il proprio dovere: chi ha di più, deve contribuire in modo maggiore, così da stare meglio tutti. Senza coesione e giustizia non si realizza un benessere diffuso. In questa logica devono inserirsi e vanno verificate le misure volte a facilitare l’accesso ai lavori e a ridurre i costi di molti servizi. La protesta, la rivendicazione di propri obiettivi, sono un diritto in democrazia, ma devono svolgersi nella legalità, rispettando diritti di tutti i cittadini. Il governo deve impedire che scioperi selvaggi e manifestazioni al di fuori di quanto consentito dalle leggi prendano in ostaggio l’Italia. L’egoismo sociale e l’incapacità di guardare al futuro distruggono il paese e la speranza dei giovani.
I problemi economici nel nostro paese sono seri e tante categorie hanno ragione di chiedere aiuti per non rimanere strozzate dalla crisi. Non è paralizzando la vita di città e regioni che si risolvono i problemi dell’agricoltura, della pesca, del trasporto. Mettendo in ginocchio le imprese tutto si aggrava. Per risollevarci abbiamo bisogno di coesione, unità d’intenti, voglia di costruire, non di focolai di tensione che provocano oltretutto guerre fra poveri.
Onorevole Chiti, ho avuto il piacere di conoscerla di persona e di stringerle la mano. Lei è una persona squisita, però dissento totalmente dall’ottimismo che traspare dal suo scritto. Il nostro partito, il PD, sta appoggiando un governo di destra. L’Italia è nel caos: pensioni, taxi, gasolio e via dicendo. E’ evidente che tutto è cominciato con l’affaire Dominique Strauss-Kahn (SOCIALISTA)a cui si sono aggiunte faciloneria, incapacità, malafede, interessi lobbistici di tutta la classe politica. Momento terribile, gestito da incapaci e da referenti di associazioni lobbistiche internazionali: il PD deve far cadere il governo prima che sia troppo tardi. Sarebbe stato centomila volte meglio Giuliano Amato….
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Caro Nikita Russka, la ringrazio per l’apprezzamento personale. Non sono d’accordo sul suo giudizio sul Pd e il governo Monti. Questo esecutivo è figlio di una situazione di emergenza: a seguito della fine della maggioranza che ha vinto le elezioni del 2008, di fronte a una crisi economica e finanziaria di grave entità, alcune forze politiche hanno compiuto un gesto di responsabilità per sostenere un governo composto da persone serie e competenti che affronti l’emenrgenza. Il governo Monti non è di destra, nè di sinistra. La manovra di dicembre è stata pesante ma necessaria e urgente. Il Pd aveva chiesto una maggiore distribuzione dei sacrifici, ma è giusto dire che è stato un provvedimento che ha tenuto in considerazioni le esigenze di equità. E’ giusto anche sottolineare che non tutte le manifestazioni di protesta hanno lo stesso significato: quelle di alcune categorie che vogliono difendere le loro rendite di posizione messe in discussione dal decreto liberalizzazioni sono diverse da quelle di chi rivendica dei diritti fondamentali o un lavoro dignitoso.