Nel cattolicesimo del senatore del Pd Vannino Chiti, vice presidente del Senato ed ex presidente della Regione Toscana, si scorge la traccia di quel cattolicesimo forte, appassionato e un po’ ribelle dei grandi sacerdoti che hanno reso grande la Chiesa toscana, da don Milani e padre Balducci. Temi che lo appassionano e che ha approfondito nel saggio «Religioni e politica nel mondo globale. Le ragioni di un dialogo», (Giunti editore). Una cavalcata nella storia recente alla luce del «risveglio del sacro», con un’idea forte: la costruzione di un nuovo umanesimo attraverso una politica che si confronta e si nutre con i valori della fede, a cominciare da quella cattolica.
Si parla di un risveglio dei cattolici, dal convegno di Todi in poi.
«Penso che sia in atto un ritorno significativo e anche utile dell’Italia dei cattolici, dopo il venir meno dei partiti di riferimento, a cominciare dalla De, e in presenza di un maggiore protagonismo della gerarchia. Si è visto, però, che i laici non sono sostituibili: lo diceva già il Concilio. Le scelte di ordine storico-temporale attengono ai laici e nessuno può liberarsi di questo compito, delegandolo ai vescovi».
Lei lo ritiene un fatto positivo?
«È positivo il contributo di una cultura importante come quella cattolica. La crisi che stiamo attraversando, non solo in Italia, richiede la ricostruzione di valori di riferimento. Cito spesso nei miei incontri una frase di Socrate, tratta dai dialoghi di Platone: le colpe che devono scontare i buoni per il loro disinteresse alla cosa pubblica è quella di essere governati da uomini malvagi».
Dunque i buoni, ovvero i cattolici, hanno il dovere di entrare in politica.
«È un dovere di tutti, non solo dei credenti. Padre Ernesto Balducci parlava del mondo globale come di un villaggio planetario. Che è un’espressione bella, ma impegnativa. Sappiamo tutti cosa succede, siamo tutti collegati tra di noi, ma è indispensabile che si costruisca una tavola di valori comuni su cui deve poggiare la nostra umanità».
Non pensa che il bipolarismo abbia nuociuto ai cattolici? Su bioetica, fine vita, accoglienza agli stranieri, i parlamentari cattolici hanno seguito logiche di schieramento anziché unirsi.
«Un rischio della politica di oggi è che da un lato ci sono residui di ideologia, dall’altro assenza totale di valori. La scelta giusta è che la politica si irrobustisca nei valori, non nelle ideologie. Le ideologie ti fanno guardare alla realtà con occhi che deformano. Fatta questa premessa, in effetti in Italia c’è stato il rischio che a un cattivo bipolarismo si sovrapponesse un bipolarismo etico, il peggio del peggio. E così a confronti che esigevano scelte personali, assunzioni individuali di responsabilità, si preferiva cercare appartenenze».
Dunque, lei condivide l’esigenza di votare secondo coscienza i «valori non negoziabili»?
«Le leggi non devono sempre precedere i convincimenti. È la legge che deve far sua gli orientamenti che nascono da una società. Sulla bioetica, ad esempio, le forze politiche dovrebbero assumere una sorta di patto: quello di votare leggi così delicate, così importanti, con una maggioranza qualificata. In modo da rendere più ampio e profondo il dibattito, e soprattutto evitare che le leggi siano fatte a colpi di maggioranza con l’idea di strappare dieci voti al fronte avversario, per poi essere magari disfate come una tela di Penelope con il rovesciamento delle alleanze».
Condivide la scelta dei «valori non negoziabili»?
«Penso che si debba parlare di una laicità di inclusione e non di valori pregiudiziali. Mi piace molto la metafora di un giurista francese, Jean Bauberot, che immagina la laicità attraverso la figura di un triangolo. Su ciascun lato mette i credenti delle religioni maggioritarie, i credenti delle religioni minoritarie e sul terzo lato coloro che hanno convinzioni culturali e filosofiche non religiose. La vera laicità politica è lo spazio comune racchiuso entro questi tre lati. Tutto questo per dire che quando si tratta di costruire una legge, bisogna trovare mediazioni di alto profilo, soluzioni profonde e il più possibile condivise, che tengano conto della coerenza delle impostazioni di tutte le parti in causa, e non scavare fossati».
Francesco Anfossi