Il rischio in Italia è da un lato quello di non fare una riforma delle istituzioni, che attende da molti anni, dall’altro quello di costruire pezzi di riforme contraddittorie l’una con l’altra. Nell’uno e nell’altro caso l’esito non è quello di una democrazia più moderna, in grado di assicurare partecipazione e governabilità, bensì quello di uno Stato disarticolato, né federalista, né centralista, né efficiente. È ciò che abbiamo di fronte a noi. Realisticamente nell’anno che ci separa dalla fine della legislatura, non sarà possibile approvare tutte le riforme, del resto tra loro diverse anche riguardo ai tempi per portarle a compimento: alcune sono costituzionali – ad esempio introduzione della sfiducia costruttiva, riduzione del numero dei parlamentari, superamento del bicameralismo perfetto – altre, come quella elettorale, leggi ordinarie. Accanto, non meno importante per l’incidenza nella politica di ogni giorno, la modifica dei regolamenti parlamentari.
L’esigenza di una mozione parlamentare di indirizzo sulle riforme – come hanno colto tra gli altri il sen. Quagliariello e l’on. Casini – risiede nella necessità di approvare una impostazione complessiva, impegnativa per chi la sottoscriva e approvi, coerente, all’interno della quale si colgano certamente le priorità – a mio giudizio una legge elettorale che abroghi il porcellum -, le possibilità reali in questa fase – certamente i regolamenti parlamentari e la riduzione del numero dei deputati e senatori – ma al tempo stesso, quali che siano i governi e le maggioranze nella prossima legislatura, assicuri che il completamento del disegno riformatore andrà avanti, senza interruzioni o ritorni indietro contraddittori. Fino ad ora una mozione di indirizzo come questa non è esistita, neppure al Senato, dove vennero accolte una molteplicità di mozioni, oltretutto non impegnative o precise rispetto a priorità, contenuti interamente condivisi, tempi. Chi non avverta l’esigenza di darsi binari chiari e stabili per le riforme, ha scarsa memoria del passato, a cominciare dall’esperienza racchiusa attorno al nuovo Titolo V della Costituzione, oppure sottovaluta superficialmente le difficoltà e i rischi di un processo complessivo e reale di riforma dello Stato. In ogni caso un tale atteggiamento al di là delle intenzioni finisce, a mio giudizio, per non aiutare l’affermarsi di un disegno riformatore serio e coerente.
L’Italia invece ne ha bisogno; altrettanto una politica che voglia riacquistare una sua credibilità.