L’anno e mezzo che abbiamo davanti, prima del termine della legislatura, sono convinto che potrà portare novità significative, sia nel sistema politico-istituzionale, che in quello dei partiti.
La riforma delle istituzioni è un dovere: abbiamo bisogno di una democrazia che sia capace di assicurare partecipazione, trasparenza, efficacia nell’azione di governo. Non sono ignote le scelte da compiere: superamento del bicameralismo perfetto; riduzione del numero dei parlamentari; introduzione della sfiducia costruttiva; sistemazione del federalismo, rigorosamente in un quadro europeo e valorizzandone gli aspetti solidaristici; nuova legge elettorale.
Due parole su riforma del Parlamento e nuova legge elettorale. Una delle due Camere deve essere prioritariamente impegnata sulle questioni dei territori, dei rapporti tra Stato centrale, Europa, sistema delle autonomie. Non procediamo però a invenzioni, che renderebbero lo Stato non più moderno, ma una specie di mostriciattolo. Esistono nel mondo, in grandi paesi federali, due principali vie per rendere una Camera rappresentativa del federalismo: il Senato americano, ad elezione diretta da parte dei cittadini; il Bundesrät tedesco, nel quale sono rappresentati i governi delle Regioni. Per me, oggi, è più realistica la prima soluzione: in ogni caso se ne scelga una delle due, senza procedere ad aggiunte o variazioni, non praticabili in un grande Paese. Mi riferisco, ad esempio, a modelli che vorrebbero un Senato rappresentato da eletti nei Consigli Regionali e addirittura nei Consigli delle Autonomie, dunque contemporaneamente di 2° e 3° grado. Siamo seri: questo sarebbe un pasticcio, non una soluzione.

Per la legge elettorale, abbiamo presentato in Parlamento, come Pd, una proposta fondata sul maggioritario, con collegi uninominali, a doppio turno. Dobbiamo provare fino in fondo ricercare ampie convergenze, perché rappresenta la risposta più adeguata. In alternativa, sullo sfondo, esiste la base di intesa, a cui pervenimmo nella scorsa legislatura: un proporzionale con sbarramento al 5%, circoscrizioni sub-provinciali (e dunque con pochi candidati), obbligo di indicare prima delle elezioni alleanze e candidato alla Presidenza del Consiglio, da eleggere poi in Parlamento. Alla nuova legge elettorale dobbiamo unirne una per lo svolgimento delle primarie: una parte del finanziamento pubblico ai partiti, a mio giudizio, dovrebbe essere legata allo svolgimento delle primarie per scegliere i candidati e alla presenza di almeno un terzo di donne tra gli eletti.

Cambierà a fondo anche il sistema dei partiti: bisogna impegnarvisi, non averne paura. È possibile che nasca anche in Italia il Partito Popolare Europeo, che non sarà la vecchia Dc, ma il polo conservatore-democratico dello schieramento politico. È un male? Non lo credo: è positivo e comunque inevitabile tutto ciò che si muove in coerenza con l’organizzazione dei partiti e dei sistemi politici in Europa. Dobbiamo come Pd occuparci con serietà di noi stessi: non possiamo essere una confederazione di correnti e di spezzoni politici alleati. Le alleanze si fanno tra forze politiche diverse. Nei sistemi non bipartitici – e l’Italia, anzi l’Europa, non lo sono – le identità programmatiche devono essere nette e coerenti. Dobbiamo compiutamente caratterizzare il Pd come una nuova forza progressista, la sinistra del XXI secolo: porre a sue priorità la costruzione della democrazia sovranazionale europea, l’Europa federale; lo sviluppo sostenibile, unica, vera base per politiche di diritto al lavoro; la riforma del welfare anche per una redistribuzione della ricchezza ed un contrasto alle disuguaglianze. Soprattutto dobbiamo rilanciarlo come la casa comune dei riformisti. Per questo devono trovare spazio e pari dignità nel Pd quanti vengono dalla sinistra italiana, comunque si sia chiamata nel corso della sua storia; dal cattolicesimo democratico e sociale; dal riformismo laico; dai moderni movimenti per l’ecologia, i diritti umani, la liberazione della donna e l’uguaglianza dei sessi.

Condivido pienamente lo sforzo di Bersani di costruire una piattaforma europea con le principali forze progressiste: è questo il campo proprio del Pd. Nel nostro tempo non si è progressisti – al di là del nome che si porta e delle credenziali che vengono dal passato – senza fare dell’obiettivo di una Europa federale la priorità delle priorità. E la nostra funzione in Italia è quella di ricostruire e rappresentare interessi e ruolo del nostro Paese, nel quadro europeo. Non è scelta di poco respiro, basti pensare al Mediterraneo e alle novità, non tutte già chiare nel loro segno, nel mondo arabo.

Il Pd, partito dei credenti e diversamente credenti, deve rilanciare il suo spessore ideale, di valori e programmatico: dobbiamo essere la casa dei riformisti e il riferimento in Italia delle sinistre e dei progressisti europei.