Trascrizione intervento Prof. Michele Ciliberto, Ordinario di Storia della Filosofia moderna e contemporanea,
Scuola Normale di Pisa
Pistoia – Presentazione libro “Religioni e politica nel mondo globale”
31 maggio 2011

Questo di Chiti è un libro importante, molto pensato, molto elaborato, molto costruito, un libro non improvvisato. Anzi, oserei dire che per certi aspetti è il libro di una vita, nel senso che in questo libro confluisce tutta una serie di interessi di fondo di Vannino Chiti; interessi che attengono direttamente alla costituzione interiore della sua personalità, sia come intellettuale che come politico. Oggi la politica tende a muoversi su territori altri rispetto a quelli della cultura e anche a quelli della cultura religiosa. Ma credo che invece un elemento importante di questo libro sia proprio nel far vedere l’intreccio dell’una e dell’altra da cui può nascere una riflessione più approfondita e più acuta. Chiti dice in modo esplicito che questo è un libro politico, ma si confronta appunto con temi assai complessi che attengono anche alle domande ultime. Ho trovato molto significativa e coinvolgente la dedica a Ernesto Balducci, perché credo che questo libro nasca anche dall’ esperienza del cattolicesimo fiorentino, della chiesa toscana dal 1945 in poi, quando rettore del seminario di Firenze era Enrico Bartoletti, poi segretario appunto della Cei, una delle figure più significative del cattolicesimo italiano del Novecento. In quel seminario si sono formati Rosadoni, Chiaroni, Milani, Piovanelli, cioè i grandi protagonisti della chiesa fiorentina e della chiesa nazionale italiana, perché la chiesa fiorentina è stata anche una grande chiesa nazionale, nella seconda metà del Novecento.
Questo è per certi versi, come ho detto, un libro balducciano, se penso al libro di Balducci sull’uomo planetario. Tutti i riferimenti che Chiti fa alla nuova etica non eurocentrica, alle religioni come veicolo di pace, sono stati temi del grande cattolicesimo fiorentino – di Balducci, di La Pira -. Questi sono alcuni degli interlocutori del ragionamento, della riflessione del libro. Chiti però si situa pienamente nella tradizione laica italiana, qual è stata ripresa anche dal partito comunista. Credo che anche da lì arrivino dei fili importanti. Oggi siamo in una fase di rimozione della memoria, ma quella del comunismo italiano è stata una grande esperienza e in questo libro confluiscono alcuni dei temi più importanti della tradizione comunista sulla religione: il discorso di Togliatti a Bergamo, le riflessioni di Berlinguer sull’esperienza religiosa, con la capacità che gli era propria di guardare al mondo, al di là dell’Italia. Noi oggi viviamo in un mondo molto provinciale, chiuso negli orizzonti nazionali; la tradizione comunista era invece abituata a guardare al mondo, ordinariamente al mondo.
A Chiti è sempre stato presente il problema del rapporto con l’esperienza religiosa, con la funzione liberatrice dell’esperienza religiosa colta però nei suoi rapporti con la politica, con le forme della civiltà, come si vede bene anche dal titolo. Religione e politica è un titolo tutt’altro che scontato. Ma intorno a questo tema si è interrogata tutta la cultura moderna, dando risposte molto differenti: Machiavelli pensava che non c’è civiltà senza religione, che anzi la religione è il fondamento di una civiltà, che quando viene meno la religione una civiltà decade, si imbarbarisce. Ma Sarpi pensava il contrario. A sua volta Vico pensava che fosse essenziale la presenza della religione senza la quale riteneva che si piombasse nella barbarie. Volevo però tornare sul punto che sollevava il vescovo Bianchi, sul rapporto tra modernità e cristianesimo, punto molto complicato, molto contraddittorio, molto difficile da indagare. La costituzione della libertà dei moderni è stata estremamente complessa proprio su questo punto, ma anche qui bisogna individuare le differenze. L’inquisizione è una cosa; le vittime dell’inquisizione sono un’altra cosa. Io non apprezzo, non credo che sia mai opportuno, la visione provvidenzialistica della storia, per cui tutto in qualche modo torna e tutto si sistema. Dobbiamo sempre tenere ferma la distinzione tra vittime e carnefici. Mi pare appunto che uno dei meriti del libro sia nella capacità di distinguere nel mondo contemporaneo chi è vittima, chi è carnefice. La posizione che Chiti elabora in questo libro è lontanissima da quella del marxismo classico: per il quale la religione è oppio dei popoli, come dice Marx nel 1844. Chiti non pensa nemmeno che la religione sia un’ideologia e rivendica l’esperienza religiosa in quanto esperienza religiosa. Nella sua originalità e irriducibilità essa è tutt’altro che ideologia, ma una leva ed un elemento di libertà. Sicuramente alla base di questa posizione c’è la storia della Chiesa dal concilio in poi: la fine della temporalizzazione della Chiesa, l’opposizione ai totalitarismi, la presenza di grandissime esperienze sul piano teologico che sono state al tempo stesso esperienze di libertà. Basta pensare a una personalità come quella di Bonhoeffer. Ma anche qui bisogna operare delle distinzioni. Roncalli non era solo il padre buono, ma un uomo di straordinaria fede, che ha dato un contributo decisivo, sottolineando il valore dell’esperienza religiosa in quanto tale, a liberare la religione e il cattolicesimo in Italia dalle compromissioni con la politica che pure c’erano state.
Chiti però riflette anche sulla funzione pubblica delle religioni oggi e da questo punto di vista sono interessanti le parti sul mondo arabo, sulle rivoluzioni nel nord-Africa, sull’importanza della religione anche in questi movimenti di liberazione. È un punto sul quale io credo che sia opportuno riflettere: cosa implica la funzione pubblica delle religioni, cosa significa dal punto di vista di un vivere comune collettivo? Se si assume questo punto di vista bisogna anche accettare che le religioni – tutte le religioni – siano parti di un normale conflitto, civile, politico, culturale, senza alcun privilegio per una religione specifica, compresa quella cattolica.
Da questo punto di vista credo che sia necessario entrare in una nuova storia ripensando cosa significhi oggi essere laici proprio di fronte al nuovo ruolo che assumono le religioni e, in questo senso, può essere interessante il richiamo di Chiti all’Umanesimo. Se capisco bene esso dovrebbe scaturire da un nuovo incontro a livello globale di laici e cattolici su problemi meta politici: il valore della vita, il rapporto con la morte, la riscoperta della dimensione del corpo, le nuove forme di organizzazione del lavoro, le nuove forme di sfruttamento, le nuove forme di lavori servili, il grande tema dell’immigrazione, la questione della cittadinanza. Intorno a questi si può stabilire un rapporto di collaborazione feconda tra laici e cattolici nella reciproca distinzione e senza. A differenza di Chiti io sono meno sicuro di Vannino della positività in generale appunto della religione e dell’esperienza religiosa; credo però che l’esperienza religiosa possa contribuire a costruire le nostre libertà. È un merito del libro avere affrontato con forza questo problema ed aver dato ad esso risposte importanti e originali.