n. 4 dicembre 2011 tamtàm democratico

Articolo di Vannino Chiti

Quando parliamo di laicità, si tende a circoscrivere questo principio alla sola dimensione dei rapporti tra Stato e Chiese, tra la politica e le religioni. È evidente che quella dimensione ne rappresenta un aspetto fondamentale, ma non l’esaurisce.
La laicità è il limite e la misura che garantisce alle attività umane di organizzarsi e svilupparsi al riparo dai condizionamenti esterni – sia ad opera dello Stato, di una ideologia o di religioni -, per fini diversi da quelli a cui esse si ispirano. Perciò, in quanto tale, non è un principio dell’Occidente, ma un valore dell’umanità, inseparabile dalla libertà. Rappresenta dunque una delle condizioni necessarie alla persona per esprimere la sua dignità e realizzare il suo progetto di vita.

Ai nostri giorni la laicità non caratterizza tutti gli ordinamenti politici delle nazioni e non sempre coincide con sistemi che pure si richiamano alla democrazia: è il caso ad esempio della Turchia, dello stesso Israele e dei paesi nei quali è maggioritaria la Chiesa ortodossa. È inesistente nella gran parte dei paesi islamici. La laicità inoltre subisce attacchi portati da opposti fondamentalismi. Per questo motivo sostenerla e difenderla senza incertezze è una priorità per le forze progressiste.

“Rendete dunque a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” (Matteo 22, 21). Già con questo insegnamento di Gesù venne sancita, con inequivocabile autorevolezza, la reciproca autonomia tra fede religiosa e ordine temporale. Guardando al rapporto tra Stato e religione, nell’esperienza francese troviamo il riferimento principale all’eredità del liberalismo classico, che fissa nettamente due libertà – quella politica e quella religiosa – che esistono in quanto fondate sulla reciproca, netta separazione.

Quest’idea della laicità si fonda su due pilastri: l’autonomia dello Stato e delle confessioni religiose; la concezione dell’esperienza religiosa come di un diritto dei singoli cittadini, relegato però nello spazio privato della vita di ciascuno, nell’intimità della propria coscienza.

Il primo pilastro è, a mio avviso, una conquista irreversibile. Il secondo, invece, è superato dall’evoluzione delle vicende storiche. Il fenomeno religioso nel mondo globale svolge un ruolo importante che non può non avere un accesso alla sfera pubblica. Negarlo significa rifiutare una tendenza incontrovertibile della storia e ne deriverebbe una conseguenza pericolosa: la laicità si priverebbe di una solida e ampia base di adesione. Verrebbero al contempo favorite tendenze all’estraneità e alla contrapposizione nei confronti della democrazia.

La giusta rivendicazione di una cittadinanza e di un ruolo nella dimensione pubblica da parte delle religioni ha uno stretto legame con il pluralismo: senza o contro il pluralismo delle religioni, questa dimensione pubblica di una fede si tramuterebbe inevitabilmente in una subalternità dello Stato e della politica. Non vi può essere una democrazia connotata da vera libertà se non esiste pluralismo politico, religioso, culturale. Abbiamo bisogno di far vivere nella società questo pluralismo, di realizzare una laicità che non esclude, ma organizza la dimensione pubblica delle stesse religioni.

L’impegno comune deve essere proteso affinché non si allarghino i fossati tra cultura laica e cultura religiosa. Il modo migliore per riavvicinarle è quello di ridefinire un minimo comune denominatore di valori, un’etica condivisa. La laicità deve diventare riferimento universale nel quale si riconoscano sia i credenti che i non credenti, in quanto parte integrante e inseparabile dalla libertà: è questa la sua chiave di lettura nel terzo millennio. Quella che dobbiamo sostenere è una laicità “di integrazione”. Per definirla a me piace fare riferimento all’immagine proposta dal sociologo francese, protestante, Jean Baubérot.

La laicità va pensata come un grande spazio disegnato dai tre lati di un triangolo. Gli atei e gli agnostici partono dal lato della laicizzazione, cioè dall’affermazione secondo cui lo Stato non si può identificare con nessuna confessione religiosa: questo è uno, ma non l’unico, dei principi costitutivi della laicità. Gli appartenenti alla religione di maggioranza muovono invece dal lato della libertà: la libertà religiosa, la libertà di manifestare la religione in pubblico, di esprimere il proprio punto di vista su tutti i temi pubblici. Ma anche questo non è l’unico lato della laicità. Infine quanti aderiscono alle confessioni minoritarie partono dal terzo lato, quello dell’uguaglianza: sostengono che la differenza numerica non deve comportare disparità di trattamento. Anch’essi rischiano di restare nella loro esclusiva ottica. Considerare uno solo tra questi lati del triangolo, uno solo tra questi tre punti di vista, è sbagliato.

Fare proprio il principio di laicità significa, pur partendo ciascuno dal punto nel quale si è collocati, avere l’attitudine mentale a considerare che le decisioni della sfera pubblica devono essere prese insieme e si collocano all’interno dello spazio racchiuso tra i tre lati. In quello spazio necessariamente comune e condiviso si colloca la laicità.
Pertanto, a nessuno è chiesto di rinunciare alla propria identità, ai propri valori di riferimento. Ma nessuno può sottrarsi al metodo del confronto, del dialogo. Tutti dobbiamo muovere a partire dalla persuasione che lo Stato non può imporre convinzioni di fede o di cultura. I valori in quanto tali sono per ognuno di noi non negoziabili. Ma se vi è la necessità di tradurre i valori in leggi, allora è indispensabile ricercare una mediazione con gli altri per giungere a soluzioni condivise. Un esempio indicativo sono le leggi sulla bioetica: è questo il campo in cui si mette alla prova la maturità e la responsabilità non delegabile dei laici, credenti e non credenti. Le leggi non sono un assoluto: sono il frutto dell’incontro tra le conoscenze disponibili al momento in cui viene elaborata, gli orientamenti dell’opinione pubblica, i rapporti di forza politici del momento.

Una legge è ispirata a dei valori piuttosto che ad altri ma non può che essere solo una parziale realizzazione di essi: altrimenti non ci troviamo in uno Stato laico bensì in uno Stato di tipo etico o totalitario. A mio avviso, sui temi della bioetica occorrerebbe un patto tra le forze politiche presenti in Parlamento, affinché si proceda nelle Assemblee elettive con maggioranze qualificate, che superino i confini della coalizione di maggioranza e dello schieramento di opposizione.

Affermava Gandhi che fece della pace e della nonviolenza la sua radice di vita: ”non potete avere un buon sistema sociale quando vi trovate al livello più basso nella scala dei diritti politici, né potete esercitare diritti e privilegi politici a meno che il vostro sistema sociale non sia basato sulla ragione e sulla giustizia. Non potete avere un buon sistema economico quando i vostri progetti sociali sono imperfetti. Se le vostre idee religiose sono basse e striscianti, non potete riuscire ad assicurare una uguale condizione per le donne e l’accesso alle pari opportunità per tutti”.

La politica ha il compito di contribuire, in maniera decisiva, a costruire uno spazio pubblico, al cui interno si muovano liberamente le Chiese cristiane, le altre confessioni religiose, le culture di differente orientamento.
Sotto questo aspetto, la nostra Costituzione è una garanzia. Essa non prescrive una rigida separazione, ma piuttosto un sistema incentrato sull’autonomia tra Stato e Chiese. E non si limita a registrare un giusto ordinamento per le reciproche relazioni, ma, con straordinaria lungimiranza, impegna lo Stato a promuovere le condizioni per la libera espressione delle fedi religiose.
La religione non è considerata semplicemente un legittimo diritto privato di ogni cittadino: lo Stato non si limita a un ruolo di indifferente neutralità, le riconosce un valore sociale, assume una funzione attiva per salvaguardare l’esperienza religiosa in un regime di pluralismo confessionale e culturale.

La necessità, sottolineata prima, di ridefinire un’etica condivisa trova un riscontro forte in una laicità concepita come mezzo di integrazione: non come un luogo indistinto caratterizzato dall’assenza di valori condivisi. A fondamento della laicità vi è la persona, nella sua irripetibilità, non intesa come individuo egoistico: la sua dignità, la sua naturale predisposizione alla relazione con gli altri. Alla base della laicità deve essere posto il senso del limite – che deve guidare ogni azione umana – la possibile reversibilità delle scelte che vengono compiute e riguardano il rispetto della persona, i suoi rapporti con gli altri e con il pianeta.

Vannino Chiti
Vicepresidente del Senato della Repubblica