Dopo la fase rivoluzionaria della ‘primavera’ araba, che ha visto milioni di cittadini del nord Africa battersi contro le dittature, per rivendicare le loro libertà, è iniziato un percorso difficile per la costruzione di ordinamenti democratici. Le difficoltà sono evidenti anche dalle cronache di questi giorni. Le repressioni interne alla Siria – dove peraltro è ancora al potere il regime autoritario di Assad – si susseguono con una violenza inaudita: secondo le Nazioni Unite sono 3.500 i morti a sette mesi dallo scoppio delle rivolte. Anche per questo la Lega Araba ha deciso di sospendere il paese fino a quando il regime non porrà fine a questa carneficina. Nelle manifestazioni dei giorni scorsi al Cairo, sfociate nel sangue, i cittadini protestavano contro il Consiglio supremo delle forze armate per il tradimento delle loro aspettative: un rapporto di Amnesty International denuncia che in questi sei mesi si sono perpetrate violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali anche più gravi che all’epoca di Mubarak.
Nonostante questi aspetti negativi, ci sono molti segnali incoraggianti. Le elezioni prima in Tunisia, poi in Marocco e Egitto dimostrano che nella ‘regione’ si stanno compiendo passi in direzione della democrazia. In Marocco ha votato solo il 45% degli aventi diritto: un dato migliore del 2007, quando votò solo il 37% degli elettori, ma non abbastanza per dare al Parlamento quell’ampio mandato che gli consegna la nuova Costituzione. In Egitto nella prima sessione di voto – il percorso prevede diverse tappe fino alle presidenziali di giugno – si è registrata una alta partecipazione popolare, con una forte presenza femminile e assenza di violenze. In Tunisia si è già costituito un governo di unità nazionale. Nell’insieme il dato di queste elezioni – le prime realmente libere – conferma il consolidamento delle libertà, della democrazia, di una organizzazione sociale che ha posto le premesse per essere più giusta e aperta al rispetto dei diritti umani.

Il modello della Turchia – quello cioè di un sistema democratico, con un ruolo da protagonista di forze politiche di ispirazione islamica, come era stato in Europa dopo la seconda guerra mondiale con i partiti democristiani – sembra diventare il riferimento a cui guardano quelle società. È auspicabile che sia così e che venga isolato l’estremismo islamico, con le sue impostazioni totalitarie tese a rendere la società subalterna alla religione musulmana. È importante portare a compimento una transizione democratica, la costruzione dello Stato di diritto, l’affermazione del pluralismo e dell’uguaglianza dei cittadini, quali che siano le loro convinzioni religiose o filosofiche.

Niente è, come si vede, scontato: non possiamo lasciarli soli. È dovere dell’Europa non voltarsi dall’altra parte ma contribuire al radicamento del pluralismo religioso e culturale, di reali democrazie sulla riva sud del Mediterraneo, all’avvio di uno sviluppo sostenibile. L’Italia dovrebbe trovare in questo compito primario il suo ruolo in Europa, l’espressione di un suo interesse nazionale. I destini delle due sponde del mare sono infatti strettamente legati.