C’è un modo per salvare il bipolarismo da chi vuole metterlo in discussione: fare le riforme e farle insieme, utilizzando il tempo del governo Monti e della straordinaria congiuntura parlamentare. Vannino Chiti, vicepresidente del Senato ed esponente di punta del Pd, considera questa fase “un’opportunità da non disperdere” perché può dare una centralità al parlamento e far realizzare quelle riforme che il governo Monti, per sua stessa natura, finalità e programma, non può assumere”. Dalle riforme istituzionali alla legge elettorale: ora i partiti che si trovano dalla stessa parte pur mantenendo la loro autonomia, non hanno più alibi.

Presidente Chiti, il bipolarismo è in pericolo?
Il bipolarismo è in discussione: è questo il problema.

Perché?
Perché oggettivamente, in questi quindici anni il bipolarismo è stato fondato su una contrapposizione frontale e continua. Non si è dato regole adeguate né per la vita del parlamento – penso ai regolamenti parlamentari – né per le riforme istituzionali. Infine, è la mia valutazione, si fonda su una pessima legge elettorale. Penso si debba salvare la sostanza del bipolarismo e la sostanza è: prima delle elezioni, i partiti devono dire chiaramente e impegnativamente ai cittadini, le alleanze, le priorità programmatiche che costituiscono l’asse essenziale dell’alleanza, e il candidato alla presidenza del Consiglio. Questo è ciò che si intende per bipolarismo in Italia e in Europa. Se ci pensa bene, un bipolarismo nel senso di due soli partiti non c’è stato sempre, né con la legge Mattarella, né con la legge Calderoli. E così avviene in Europa: in Germania, ad esempio, non ci sono due soli schieramenti ed è così anche in Gran Bretagna.

Lei vede tentativi di disarticolare l’impianto bipolare?
Sì, perché ci sono forze politiche che dicono non solo che il bipolarismo di questi 15 anni non va bene, ma che non va bene in quanto tale. Penso che se non si procede con alcune riforme di cui da tanto tempo si parla, sia a livello istituzionale – riforma del parlamento e dello stesso governo – sia sulla legge elettorale, il rischio è tornare indietro ad un’attribuzione di una delega in bianco ai partiti che sarebbe cosa seria e grave. Non solo perché sarebbe un ritorno al passato, ma anche perché i partiti di oggi non sono più quelli della prima fase della vita della Repubblica.

In che senso?
Quei partiti avevano un forte radicamento organizzato, erano presenti ovunque. Non così i partiti di oggi, qualunque scelta di modello organizzativo facciano. Per fortuna, ci deve essere un diverso rapporto con le istituzioni della democrazia che hanno una loro autonomia. Per questi motivi occorre fare le riforme che servono al Paese, proprio perché si arrivi a un bipolarismo maturo. Aggiungo che questo anno e mezzo che c’è fino al termine della legislatura, con un governo che ha un sostegno amplissimo, coi partiti che per la prima volta dal ’94 (prendendo a riferimento la legge Mattarella e l’inizio di una nuova fase della Repubblica) si trovano nella stessa collocazione, rappresenta un’opportunità da non disperdere perché ciò può dare una centralità al parlamento e far realizzare quelle riforme che il governo Monti che sosteniamo, per sua stessa natura, finalità e programma, non può assumere. Dunque, spetta al parlamento farlo.

Lei ha accolto positivamente la sollecitazione del senatore Quagliariello al Pd: lavoriamo insieme in questo tempo per difendere e rafforzare il sistema bipolare. Come e su quali basi?
Ho colto positivamente l’intervento del senatore Quagliariello perché sono le posizioni di cui sono convinto e che sto sostenendo, peraltro non da ora. Mi auguro che l’impostazione annunciata da Quagliariello sia o diventi – non lo dico con elementi polemici ma positivi – la posizione del Pdl.

Secondo lei qual è la road map?
Il superamento del bicameralismo perfetto, quindi definire cosa deve essere il Senato e cosa deve essere la Camera; la riduzione del numero dei parlamentari e la modifica dei regolamenti parlamentari in modo che dalla prossima legislatura possano funzionare. Ancora: una nuova legge elettorale. Il Pd ha presentato una sua proposta della quale siamo molto convinti ma per quanto convinti, c’è la consapevolezza che deve essere realizzata insieme e in maniera condivisa. La nostra proposta prevede un 70 per cento di seggi attribuiti con collegi uninominali e maggioritario a doppio turno, e un 30 per cento di liste regionali con sbarramento al 5 per cento. Riteniamo che la nostra sia una proposta di legge coerente col bipolarismo. Certo, ci possono essere altre proposte, discutiamo, troviamo un’impostazione comune, purchè sia coerente col nucleo fondante del bipolarismo: prima del voto, indicazione chiara di alleanze, programmi e candidato premier.

E sul rafforzamento dei poteri del premier?
Sono convinto che il governo debba rimanere di tipo parlamentare; l’alternativa sarebbe il semipresidenzialismo alla francese. Personalmente, preferisco il modello tedesco o spagnolo: un governo parlamentare in cui il parlamento elegge il primo ministro e si introduce il meccanismo della sfiducia costruttiva. Ma su tutto ciò occorre misurarsi insieme. E quando dico ‘insieme’ non penso solo ai partiti che oggi in autonomia sostengono il governo Monti, penso anche alla Lega perché riforme come queste non devono escludere nessuno pregiudizialmente.

Sì ma il Terzo Polo vorrebbe cancellare il bipolarismo. Come la mettete con Casini?
Credo che le posizioni del Terzo Polo sull’idea di un governo parlamentare sul modello tedesco o spagnolo siano convergenti e penso addirittura che lo siano quelle della Lega. Io dico: discutiamo, anche sulla legge elettorale che non impedisce di certo la presenza di altri partiti. In Spagna ci sono due partiti preminenti per consenso, ma non esistono solo popolari e socialisti; in Germania è in vigore una legge elettorale diversa da quella spagnola eppure ci sono almeno cinque forze politiche decisive. Voglio dire: le leggi elettorali non impongono di avere due soli partiti. Il modello parlamentare e la legge elettorale cui io guardo, si basa sul fatto che le alleanze politiche, le priorità programmatiche e il candidato premier si indicano prima del voto. E se qualcuno pensasse di dire no, andrebbe a sbattere fortemente; e non contro una forza parlamentare, bensì contro il sentire dell’opinione pubblica e dei cittadini.

Al Senato è incardinato il ddl costituzionale sulla forma-Stato presentato dal centrodestra. Potete ripartire da lì col Pdl o no?
Ci sono alcuni aspetti che possono essere approfonditi, altri che richiederebbero di essere visti meglio e anche corretti. Si tratta di discutere se ad esempio, la differenziazione tra Camera e Senato prevista nel ddl è quella giusta. Su queste materie bisogna discutere senza pregiudiziali e credo si debba farlo seguendo un metodo: prima un confronto preliminare per dire dove vogliamo andare e cosa realizzare; poi procedere alla verifica, alla stesura o alla correzione della proposta. Infine, operando consapevoli che il percorso deve concludersi entro questa legislatura.

Non ritiene che il referendum possa rappresentare un ostacolo per una riforma condivisa della legge elettorale?
No. Fermo restando la valutazione che spetta alla Corte, non penso che il referendum sia di ostacolo. Con oltre un milione di firme raccolte ha fatto vedere che i cittadini avvertono l’esigenza di un cambio della legge elettorale. La mia posizione non è la legge Mattarella che valuto come uno stimolo; penso invece che si debba costruire una legge nuova e diversa, dando ai cittadini un potere in più, non mettendo in alternativa due poteri.

Si spieghi meglio.
I cittadini devono continuare a decidere con il loro voto sulla maggioranza di governo, oltre a questo devono avere uno strumento – che oggi manca – per decidere i rappresentanti alla Camera e al Senato.

Come? Col ritorno alla preferenza?
Non è obbligatorio. Sono stato ministro per i Rapporti con il Parlamento dal 2006 al 2008 e in tutte le verifiche fatte tra le forze politiche emergeva che, tranne l’Udc, nessuno era favorevole al ripristino delle preferenze che sono uno strumento, ma non l’unico. Altre opzioni possono essere i colleghi uninominali, la definizione di circoscrizioni piccole in cui ci sia un numero ristretto di candidati. Aggiungo che in quei due anni avevamo trovato una base d’intesa su una nuova legge elettorale, poi spazzata via dalle elezioni anticipate del 2008. Si basava su un proporzionale con sbarramento al 5 per cento, circoscrizioni elettorali sub-provinciali che andavano da un minimo di tre a un massimo di sette, e i resti erano solo su base regionale. E queste impostazioni stavano dentro all’obbligo di legge di indicare le alleanze, le priorità programmatiche e il candidato premier. Era una base diversa dalla proposta presentata attualmente dal Pd ma la piattaforma sulla quale quell’intesa di massima si era concretizzata era ampia.

Quagliariello spinge per una legge che regoli le primarie per la selezione delle cariche elettive. Il suo partito potrebbe votarla?
Io ritengo che sarebbe importante avere le primarie per tutte le cariche monocratiche della vita della nostra democrazia. Che ci possano essere collegi piccoli anche per i rappresentanti delle assemblee elettive lo decideranno i partiti, ma che vi sia una legge che regola lo svolgimento delle primarie è fondamentale: ne farebbe uno strumento positivo per i partiti ma diventerebbero anche un fatto inserito nella vita democratica del nostro Paese. Dunque, io sono favorevole, poi il merito va costruito. Aggiungo che sarei per destinare una parte del finanziamento pubblico ai partiti – che è finanziamento dei cittadini alla vita dei partiti – a chi realizza le primarie e a chi elegge un numero di donne nelle istituzioni, perché non possiamo permetterci di essere la maglia nera in Europa.

Tra voi e il Pdl state facendo solo ammuina oppure ci sono le condizioni per un confronto costruttivo? E se il clima collaborativo tra Pd e Pdl dovesse funzionare veramente, è pensabile arrivare anche a una riforma della giustizia?
Prima di tutto penso che sarebbe imperdonabile – perché non so se ricapiterà – perdere l’occasione di una collocazione uguale e autonoma di sostegno al governo Monti, senza far vivere in questa fase politica non solo l’impegno nazionale ma anche la transizione che vuol dire tregua. Abbiamo bisogno di abbassare i toni e in questo senso parlo di tregua positiva, per far nascere un confronto costruttivo. In ogni paese ci sono forze politiche alternative ma c’è la capacità di dialogo e di farsi carico dei temi che riguardano le istituzioni. Così come c’è la capacità di farsi carico, insieme, dei temi che riguardano l’interesse del paese. Dobbiamo fare di tutto perché questo dialogo si affermi. Non so cosa riusciremo a realizzare in questa legislatura, ma anche la riforma della giustizia è tra i temi sui quali occorre lavorare insieme. Infine, bisogna uscire da un periodo troppo lungo di scontro tra politica e magistratura. Non serve a nessuno.
Lucia Bigozzi