La disoccupazione e la riduzione del potere d’acquisto sono il risultato più negativo della crisi economica. In base alle ultime rivelazioni dell’Istat, il tasso di disoccupazione a settembre è giunto all’ 8,3%. In questo modo siamo tornati ai livelli di un anno fa. Ma c’è un dato ancor più preoccupante: il tasso di disoccupazione giovanile a settembre ha raggiunto il livello record del 29,3%. Sono dati inaccettabili per uno dei paesi più sviluppati del mondo: quasi un terzo dei ragazzi e della ragazze si trova senza la possibilità di costruire il proprio futuro.
Insieme alla disoccupazione giovanile, il precariato è l’altro dramma sociale: i precari oggi sono quasi 4 milioni; una donna lavoratrice su quattro vive questa condizione; nel biennio 2009-10 più del 76% dei nuovi contratti è stato stipulato a tempo determinato. Dai risultati di una recente indagine sulla condizione dei professionisti in Italia – in particolare i più giovani – emerge che il 68,5% di essi denuncia lo scarso livello di tutele e che il 63,7% sarebbe disposto ad andare all’estero per migliorare le proprie condizioni lavorative.
Per rispondere a queste difficoltà bisogna riformare in maniera organica il mercato del lavoro. Il presidente Monti ha già annunciato che questo tema è tra le priorità del nuovo governo. Bisogna mettere da parte le posizioni ideologiche e muovere partendo da due punti fermi: mantenere i fisiologici elementi di flessibilità eliminando però tutte le forme di precariato che colpiscono i diritti dei lavoratori, offendono la loro dignità e riducono il potere d’acquisto; riformare il sistema degli ammortizzatori sociali, che devono garantire tutti i lavoratori.

Per uscire da una crisi che è non solo economica ma anche sociale, servono coesione e unità d’intenti. Sotto questo aspetto la “prova di forza” dell’amministratore delegato della Fiat Marchionne è un passo indietro: la scelta di disdettare tutti gli accordi sindacali vigenti, accantonando così lo spirito dell’accordo tra le parti sociali del 28 giugno sulla rappresentatività sindacale e la contrattazione collettiva, non tiene conto del quadro politico nazionale. Ciò di cui abbiamo bisogno sono il confronto, piani industriali chiari – e dalla Fiat si attendono ormai da tempo gli impegni precisi sugli investimenti in Italia – e la tutela di tutti i diritti dei lavoratori, compresa la rappresentatività sindacale. Sul lavoro l’Italia si gioca il suo futuro, è il momento di tornare a fare squadra nell’interesse di tutte le parti.