Qualcuno lavora per far nascere la Dc del terzo millennio? Può darsi. Sarebbe però, credo, non un grande partito, come in passato, ma una forza politica modesta, smarrita in un bipolarismo che noi ci proponiamo di rendere serio e di tipo europeo, nel quale non riuscirebbe a collocarsi in modo coerente. Non ritengo che quella strada sia percorribile, né mi pare che sia in linea con l’evoluzione della storia.
La Dc ha svolto un ruolo importante e a tratti decisivo nella vita democratica della Repubblica. Ma oggi i presupposti su cui nacque sono venuti meno. Il quadro politico italiano negli ultimi vent’anni si è radicalmente trasformato, assumendo connotati europei. Nel Vecchio Continente il pluralismo delle scelte politiche per i cattolici è un dato ormai acquisito: è normale vedere alcuni cattolici militare nelle forze politiche progressiste e altri riconoscersi nelle forze moderate e conservatrici.
Nelle scelte di ordine storico-temporale, per un laico credente non è possibile rilasciare deleghe in bianco: spetta a lui assumersi le responsabilità, in coerenza con le proprie convinzioni. Nessun vescovo può scioglierlo da questo dovere, assumendo in proprio compiti diretti di natura politico-partitica, né egli può nascondersi dietro l’istituzione ecclesiastica.
Questa impostazione è stata chiarita in maniera esemplare da Paolo VI nella Octogesima Adveniens. Rispetto a tali indirizzi – del resto sanciti dallo stesso Concilio Vaticano II – negli ultimi anni si sono a volte registrati comportamenti non coerenti da parte di settori delle gerarchie.
Invece, è importante che sia sempre chiara la distinzione tra due momenti diversi: l’autorità ecclesiale ha il dovere di esprimere i principi e i valori di fede e di chiedere su di essi coerenza ai credenti. Ha il diritto di prendere posizione pubblica su leggi e temi, sociali o etici, che sono al centro della vita dei cittadini. Ma l’azione politica e le stessi leggi non sono una registrazione dei valori professati: richiedono una mediazione che realizzi un equilibrio sul quale solo è possibile costruire il bene comune. Questa parola significa infatti un riferimento valido per l’insieme dei cittadini, oltre le confessioni religiose di appartenenza. E’ evidente che una tale mediazione spetta ai laici. Sovrapporre questi due momenti reca un danno sia alla politica che alla religione.
Il pluralismo nelle scelte politiche per i cattolici impone a tutti i partiti uno sforzo serio sui contenuti: il consenso dei credenti si conquista attraverso una proposta capace di unire programmi, valori etici condivisi, partecipazione.
Questa sfida si pone in particolar modo per il Partito Democratico: dobbiamo saper promuovere una grande intesa – non certo mossa da contingenti convenienze elettorali – tra i progressisti, le religioni, le culture dei “diversamente credenti”, attorno ad alcuni obiettivi fondamentali e irrinunciabili: la centralità della persona, la tutela e promozione della sua dignità, l’affermazione ovunque dei diritti umani, la costruzione di uno sviluppo nuovo e sostenibile per il pianeta.
Una giusta attenzione e comprensione dell’importanza dell’esperienza religiosa e il riconoscimento di una sua cittadinanza pubblica ne sono il presupposto necessario. Il Pd ha già fatto proprie queste impostazioni nella sua Carta dei Valori: ora si tratta di affermarle nell’iniziativa quotidiana.
Vannino Chiti