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Intervista di Chiti a Sky Tg24 dedicata al suo nuovo libro

26 Mag 2011 | Interviste

Il titolo del suo nuovo libro è “Religioni e politica nel mondo globale. Le ragioni di un dialogo”. Come cambia il mondo globale con questo mix?
Il mondo globale è cambiato molto, sta cambiando molto. Consideriamo intanto che noi europei non siamo più al centro del mondo e questo ci crea qualche problema, qualche difficoltà e qualche paura, nonché una nuova abitudine culturale a capire il mondo. Poi ci sono sfide nuove: per esempio quella dello sviluppo. E’ stato detto anche questa mattina all’Assemblea di Confindustria: popoli che prima venivano dopo di noi, oggi per sviluppo e per industria vengono prima di noi. Si pongono quindi le esigenze di uno sviluppo nuovo, di maggiore giustizia, di realizzare ovunque i diritti umani. Sentiamo di essere molto vicini e di non avere tutti gli strumenti di governo democratico per far fronte a queste sfide. Per questo abbiamo bisogno sia della politica, sia della cultura, sia delle religioni, altrimenti non realizziamo questi grandi obiettivi.

Eppure in un’Europa che, come lei dice, non è più al centro, accade che il velo – per esempio in Francia – sia vietato e accade che un dibattito sul ruolo della religione all’interno della Costituzione vada avanti per anni e anni.
E’ proprio questo il problema. Io credo che quella che chiamiamo secolarizzazione, che definiamo laicità, cioè il rapporto tra l’autonomia dello Stato e l’autonomia delle fedi religiose, sia andata avanti in modo diverso anche nello stesso mondo occidentale, negli Stati Uniti, ad esempio, rispetto all’Europa, per non parlare del mondo islamico. In Europa, per una lunga fase noi abbiamo ritenuto che le religioni fossero un diritto privato, da vivere nel silenzio del cuore, ma non come parte della dimensione pubblica. Da questa concezione derivavano alcune leggi come quelle che lei richiamava. Io ritengo che invece le religioni abbiano anche una dimensione pubblica, si possano esprimere sulle leggi dello Stato, sulla giustizia, sulla pace, sulle questioni etiche. Però ci vuole il pluralismo delle culture e delle religioni e il rispetto dello stato di diritto, e questo è quello che dobbiamo fare in Europa. In altre parti del mondo, penso al mondo islamico, c’è una religione, spesso è l’islam, che toglie autonomia e spazio alla politica, allo Stato e a volte alle altre religioni. In quel caso bisogna invece che ci sia una reciproca autonomia, quella che noi abbiamo conquistato. Quindi bisogna cambiare qualcosa in Europa e bisogna cambiare molto in quei paesi. Così le religioni potranno dare un contributo che ci serve, non solo alla nostra vita personale, ma anche a costruire un mondo migliore.

In questo quadro lei come colloca queste rivolte in Medio Oriente?
Le rivolte in Medio Oriente naturalmente non sappiamo come si concluderanno, siamo ancora in una fase di transizione. Intanto però dobbiamo dire che cosa noi come Europa vogliamo, non soltanto fare delle previsioni. Io penso che l’Unione Europea debba incidere, per favorire il successo di queste rivoluzioni. Cioè, in quei paesi si costruiscano effettivamente, con i tempi che ci vorranno, società democratiche, si affermi la libertà, si affermi la laicità. Noi dobbiamo pesare, per raggiungere questo obiettivo. E al tempo stesso dobbiamo quindi incoraggiare questo sviluppo. Queste rivoluzioni dimostrano, per esempio, che non è vero che l’islam è incompatibile con la democrazia o con la modernità. Deve cambiare ma può essere e sarà compatibile.

Una battuta sull’attualità politica. Siamo a ridosso dei ballottaggi, lei come vede a Milano Pisapia?
Lo vedo bene. Io penso che vincerà perché mi sembra che a Milano, come altrove, ci sia voglia di cambiamento e in questo caso la voglia di cambiamento è espressa dal centrosinistra.

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