In concomitanza con l’uscita del suo nuovo libro Religioni e politica, edito da Giunti, Chiti racconta al Tirreno per la prima volta il suo rapporto con la fede, Dio e la Chiesa.
Crede nella vita dopo la morte?
«Non credere a qualcosa dopo la morte significa imprigionare la vita in un orizzonte ristretto. E’ l’altra faccia di una casualità della nostra vita, dell’intero universo. C’è una forma di speranza in qualcosa dopo la morte anche da un punto di vista strettamente laico. Ho in mente la magnifica lezione di Tiziano Terzani, che ho avuto la fortuna di conoscere. Ricorda? La fine, cioè la morte, è un inizio».
Ne parla anche nel primo capitolo del libro.
«Sì, mi pongo questo interrogativo, che tocca ognuno, su cosa rimanga di noi dopo la morte, se ci sarà un dopo e come sarà. In una certa fase della vita questi interrogativi si presentano con più insistenza, se abbiamo un minimo di spazio interiore, e se esso non è occupato e alienato del tutto da una società, nella quale il frastuono della comunicazione di massa e la finzione consumistica nascondono il nostro declino fisico dietro l’illusione di una sorta di onnipotenza. Ci si chiede allora se non risieda anche in queste domande, in quest’ansia che non può avere risposte scientificamente dimostrabili, il ritorno della religione negli ulti mi decenni del secolo da poco concluso e in questo avvio del terzo millennio».
La sua risposta?
«La mia risposta è in parte affermativa. Questa curvatura dell’illuminismo, questa versione della secolarizzazione, che bandiva Dio dalla vita della società, relegandolo al massimo nel segreto del cuore, sono state già sconfitte. Il mondo globale, il nostro villaggio planetario, sta scuotendo molte certezze, cambiando la scena e anche i protagonisti della straordinaria commedia umana».
Lei ha fede?
«Sono stato sempre cattolico. Il raccoglimento che dà la fede religiosa non fa perdere di vista l’importanza dei problemi concreti della vita di ogni giorno, ma li colloca in un più giusto rapporto di valori».
Lei viene da una famiglia religiosa?
«Sì, molto religiosa. In parti colare mia nonna e mia madre. Soprattutto con mia nonna non si saltava una vigilia».
C’è un sacerdote che ha avuto un’influenza nella sua vita spirituale?
«Don Giovanni Gentilini, il parroco della mia infanzia, parrocchia Le Grazie a Pistoia. Le prime gite della mia vita le ho fatte con lui, è stato sempre vicino alla vita concreta dei suoi parrocchiani. Mi ha insegnato il senso della coerenza e dell’umiltà. Tuttora, quando posso, vado a trovarlo».
E’ stato sempre cattolico oppure ci sono stati momenti in cui la sua fede è entrata in crisi?
«Si può essere in crisi o in dissenso con scelte della Chiesa, non con la fede. Almeno per me è così».
La preghiera che più le piace?
«Il Padre Nostro».
E il passo del Vangelo più amato?
«Il Discorso della montagna: contiene le parole di Gesù sulle beatitudini. Una pagina straordinaria, per ognuno di noi, che sia cattolico, che abbia una fede religiosa o che in- vece si riconosca in altri valori. Gesù offre una sua indicazione per raggiungere la beatitudine: una strada difficile, alternativa diremmo oggi rispetto agli orientamenti che guidano non solo la vita, ma spesso gli stessi nostri desideri. In questo senso il Discorso sulle beatitudini è stato definito la carta d’identità di un cristiano. Gesù ribalta il pensiero corrente, non solo del suo tempo, e lo stesso ordine costituito: chi accede al regno dei cieli è l’oppresso, il perseguitato, il mite, il puro, il pacifico. Con parole di oggi diremmo che viene richiesto a tutti di ricercare il miglioramento dell’ “essere”, non un concentrarsi esclusivamente sull’ “avere”».
Quali sono stati i personaggi del cattolicesimo italiano a lei più vicini?
«Sono stati molti. Da padre Ernesto Balducci a monsignor Alberto Ablondi, ai quali è dedicato il mio nuovo libro, due uomini che vivendo la loro fede, ci hanno insegnato a superare i pregiudizi e ci hanno mostrato la bellezza del dialogo».
Altri personaggi?
«Arturo Paoli, una straordinaria testimonianza di fede e concreto impegno per gli altri. E sicuramente don Lorenzo Milani. Non l’ho conosciuto direttamente, ma i suoi scritti me l’hanno fatto sentire vicino».
La sua militanza nel Pci le ha creato problemi sul piano della fede? Perché lei non ha — come altri cattolici — rivendicato la sua doppia militanza nella sinistra e nella Chiesa?
«Mi infastidisce dover dire delle mie convinzioni. Se sono reali, si leggono nei comportamenti, non c’è bisogno di enunciarle. Questa è la prima volta che ne parlo in maniera diffusa».
Mario Lancisi