Le rivolte popolari nei paesi del Nord Africa – che stanno contagiando anche alcuni paesi del Medio Oriente – e la morte di Osama Bin Laden spingono ad una riflessione sugli sviluppi futuri dal punto di vista politico e sociale nei paesi a maggioranza islamica. Contrariamente a quanto previsto in alcune analisi, a mio giudizio allarmistiche, in queste lotte per la conquista della democrazia i gruppi islamici fondamentalisti non svolgono, almeno fino ad ora, un ruolo da protagonista e non sembra concreto il pericolo che possano approfittare della fase transitoria per conquistare il potere. Nelle grandi manifestazioni che hanno riempito le piazze in Egitto, Tunisia e Libia non si sono visti simboli religiosi, né forme di protesta anti-occidentali o anti-israeliane, come il rogo di bandiere nazionali. Questi moti spontanei nascono da esigenze e richieste molto lontane dalle impostazioni ideologiche dei movimenti islamisti: sono il frutto di un processo di maturazione dei principi e dei valori della democrazia che ha segnato quei popoli, soprattutto i giovani con un elevato livello d’istruzione e gli immigrati di ritorno da esperienze all’estero, in paesi democratici.
La crisi che colpisce il mondo ha aperto scenari inediti all’interno dei paesi islamici. L’età media delle popolazioni si aggira sui 25 anni, la questione sociale è diventata primaria e ha creato contraddizioni nelle organizzazioni del fondamentalismo, volte spesso a coprire, dietro l’ortodossia religiosa e il rigorismo morale, le ineguaglianze e le ingiustizie nei rapporti tra le classi sociali. Alle organizzazioni militanti dell’islamismo è preclusa la possibilità di svolgere un ruolo egemone nella transizione verso la democrazia: la loro nozione di giustizia sociale deriva da una visione caritatevole della religione, non da una concezione politica. Per portare a compimento questa transizione è invece necessario che la politica svolga il suo ruolo: serve un grande disegno che dia anche a quei popoli la speranza di uno sviluppo giusto e realizzi le strutture democratiche della società, ponendo al centro difesa dei diritti umani e pluralismo delle religioni e delle culture. L’islam non può essere l’unica religione rispetto alla quale Stato e politica sono subalterni.
La declinazione violenta e stragista del fondamentalismo islamico trova ancor meno terreno fertile nella primavera del mondo arabo: la scomparsa di Osama Bin Laden arriva in una fase in cui il terrorismo internazionale sembra aver intrapreso una parabola discendente. La campagna di violenza lanciata dieci anni fa aveva tra gli obiettivi anche l’egemonia nel mondo arabo. Oggi possiamo dire che la strategia sembra essere destinata al fallimento. Si tratta di un male ancora lontano dall’essere estirpato: con la minaccia del terrorismo dobbiamo ancora fare i conti e non dobbiamo abbassare la guardia. Anche questo terrorismo, di matrice islamica, potrà vedere non solo ridursi, ma venir meno il consenso che lo alimenta. Sarà la gente a far spegnere un focolaio di morte e terrore che si trincera dietro una strumentalizzazione di motivazioni religiose. Dipenderà in primo luogo dalla politica, dalla sua capacità di non esaurire la sua azione in quella – a volte pur necessaria – di tipo militare, ma di saper avanzare un progetto di sviluppo nuovo e sostenibile, in grado di offrire opportunità di vita e di dignità alle persone e ai popoli. E dipenderà anche dall’intensificarsi del dialogo tra le religioni e da un loro comune impegno per la pace e la giustizia.
Personalmente, avrei preferito che Osama Bin Laden venisse arrestato, processato e condannato. Ma a prescindere da ciò, l’uscita di scena del leader del terrorismo internazionale di matrice islamica, anche per la sua valenza simbolica, può contribuire ad accelerare il dissolvimento di questo fenomeno tragico, lasciando spazio alla diffusione – dal basso – della democrazia, della giustizia sociale, del rispetto per i diritti dell’uomo.
Egr. Vice Presidente Vannino Chiti,
La ringrazio per aver trovato, in un momento assai travagliato per la vita delle ns. istituzioni democratiche, il tempo di rispondere alla mia email inerente la questione dell’esposizione del crocifisso nelle aule frequentate per legge dai ns figlioli. Questione importante, da un punto di vista non solo simbolico, per la laicità della Repubblica, ma di minor urgenza e rilevanza rispetto a ciò che sta avvenendo oggi in Italia e ai suoi confini.
Nel seguito di questa mia seconda email che Le indirizzo, riprenderò dapprima i punti sollevati dalla Sua, i cui paragrafi riporto integralmente facendoli precedere dal simbolo “>”, poi chiuderò invitandoLa a prendere in considerazione una mia riflessione sugli argomenti crocifisso e ora di religione cattolica nelle scuole statali per bambini privi di capacità critiche autonome, cioè minori di 11-12 anni.
> Non ritengo che i principi contenuti nella carta dei valori del Partito Democratico siano in contrasto con la mia posizione sulla esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche. La laicità dello Stato è un elemento essenziale del buon funzionamento della nostra democrazia ed è giusto difenderla. Io, come lei, attribuisco la massima importanza al rispetto delle minoranze e alla loro uguaglianza di fronte alla legge. Dico di più: la molteplicità religiosa è una ricchezza e da essa non c’è nulla da temere.
Avrei trovato più completo il suo pensiero se Lei avesse asserito qualcosa tipo: “la molteplicità religiosa e le molteplici convinzioni personali sono una ricchezza …”. Infatti, con il termine “convinzioni personali” vengono genericamente indicati nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (artt. 10 e 21) i vari tipi di non credenti, cioè coloro che non si identificano in alcuna religione. I non credenti sono molto numerosi nel mondo – stimati in oltre 1miliardo, terzo gruppo per consistenza numerica dopo cristiani e musulmani (Phil Zuckerman, Atheism and Secularity, Praeger, Santa Barbara California, 2007) – e anche in Italia. Secondo il Calendario Atlante 2010 della De Agostini, edito nel 2009, i non religiosi e gli atei sono circa 10milioni pari al 16,6% della popolazione italiana (60mil. circa); secondo il Rapporto Eurispes 2010 gli agnostici sono il 10,7% della popolazione e gli atei sono il 7,8% per un totale di più del 18% degli italiani.
> Ho condiviso il ricorso del governo italiano presso la Corte Europea per i diritti dell’uomo perché ritengo che l’esposizione del crocifisso non sia in contrasto con la libertà di religione e di educazione.
Ovviamente questa è la Sua personale opinione. Ma mi permetto di osservare che chi, come Lei, riveste un importante incarico istituzionale forse dovrebbe essere più prudente e cercare di rappresentare maggiormente tutti i cittadini della Repubblica, compresi quelli come me che non credono. Le ricordo che la già citata Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE all’art. 14 – Diritto all’Istruzione – nel dettare le linee guida dei diritti fondamentali per chi accede all’istruzione obbligatoria (non scordiamocelo mai!) ribadisce la necessità di tutelare “il diritto dei genitori di provvedere all’educazione e all’istruzione dei loro figli secondo le loro convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche”, dove evidentemente quelle convinzioni filosofiche si riferiscono anche a chi convinzioni religiose non ha. Tornerò su questo più approfonditamente in chiusura.
> Si tratta di un simbolo dal significato religioso ma presente anche nella tradizione storica e culturale dell’Italia e di altri Paesi. Per i cristiani è un simbolo di fede. Per tutti, indistintamente, è segno di innocenza, di mitezza, di sacrificio di sé per gli altri. Non è ragione di oppressione, costrizione o intolleranza, bensì motivo di solidarietà e amore.
Anche qui ritroviamo una Sua visione personale del crocifisso che Lei arbitrariamente attribuisce indistintamente a tutti e una Sua personale interpretazione del significato del simbolo in questione.
Il crocifisso è, per gli stessi giudici della Corte Europea, il simbolo di una particolare confessione religiosa cristiana: quella cattolica. Non é neanche rappresentativo delle confessioni cristiane – alcune delle quali, come la Chiesa Valdese, sono addirittura contrarie alla sua esposizione nelle aule scolastiche. Solo di quella confessione religiosa che si chiama Chiesa Cattolica Apostolica Romana, che adottò il crocifisso come proprio simbolo intorno all’anno 1000e.v. Altre religioni cristiane usano altri simboli. Inoltre, storicamente, è molto opinabile che il crocifisso rappresenti per tutti solidarietà e amore, dal momento che in nome della religione che lo adotta come simbolo, la religione cattolica, sono stati compiuti tremendi crimini e misfatti come guerre sante, persecuzioni di eretici e di credenti in altre religioni, conversioni forzate e genocidi di interi popoli, torture, roghi e quant’altro. Comunque, il punto è che quel simbolo rappresenta per tutti indistintamente solo e unicamente la religione cattolica nel suo complesso, e non gli possono essere attribuiti arbitrariamente altri significati: né pro, né contro. Anche don Milani, che aveva una visione evangelica e cristiana della religione cattolica, preferì togliere il crocifisso dalle pareti della sua scuola di Barbiana.
> Le ragioni su cui si fondava il ricorso dell’Italia sono di ordine giuridico e risiedono nel nuovo Concordato e nella Costituzione: questi non vietano l’esposizione pubblica dei simboli religiosi che non sono in contrasto con la libertà delle singole persone.
Qui capisco che Lei voglia fare implicitamente riferimento alla Costituzione Francese, che vieta l’esposizione dei simboli religiosi negli edifici pubblici, mentre il nuovo Concordato e la Costituzione italiana non accennano minimamente a questa questione. Infatti, l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche frequentate per legge dai ns figlioli è dovuta a un paio di Decreti Regi emanati nell’Era Fascista, caduti a lungo nel dimenticatoio, e poi ripresi come Regolamento Ministeriale recentemente, nella primavera del 2002 dal Min. Moratti, che raccomandò la attenta custodia del crocifisso ai Presidi degli Istituti scolastici, insieme ad altro materiale di arredo! Le ho voluto ricordare queste date significative perché esse parlano da sole, più di tante carte importanti, dell’uso strumentale della questione crocifisso che è sempre stato fatto dalle varie forme di destra clerico-fascista italiana. Sia storicamente che in epoche recentissime.
> Nel mondo di oggi le religioni hanno un ruolo pubblico. Riconoscere questa realtà di fatto non significa compiere passi indietro rispetto laicità dello stato. La Costituzione italiana è uno dei testi che maggiormente tutela la libertà religiosa, stabilendo che «tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge». I rapporti tra lo Stato italiano e le confessioni diverse dalla cattolica sono regolati da appositi accordi, a dimostrazione del fatto che la nostra democrazia rispetta pienamente le diverse confessioni.
Che la laicità di uno Stato sia, in generale, la miglior tutela della libertà religiosa, e areligiosa!, dovrebbe essere assodato. Che solo le religioni possano avere un ruolo pubblico nelle leggi e negli ordinamenti di uno Stato è assai opinabile, poiché, se così fosse, sarebbe discriminante nei confronti di chi religioso non è. Quando poi, nella pratica, in Italia il ruolo pubblico delle religioni diventa il ruolo pubblico di una sola religione, mi sembra che siamo completamente al di fuori di qualunque stato di diritto minimamente laico, e ci si inclini pericolosamente nella direzione di una Repubblica (mono)clericale. Dall’Insegnamento della sola Religione Cattolica nella scuola pubblica, ai cappellani militari solo cattolici, dall’assistenza spirituale solo cattolica con personale assunto in ruolo anche dalla mia e Sua Regione Toscana, a … chi più ne ha più ne metta, l’elenco dei privilegi che la Repubblica tributa alla sola religione cattolica é pressoché illimitato (con costi superiori a 10miliardi di euro all’anno per tutti noi contribuenti). Buon ultimo, per rilevanza economica, viene il privilegio dell’esposizione del crocifisso, il simbolo della religione cattolica, alle pareti delle aule scolastiche statali.
Il problema che io vedo nel suo ragionamento è questo. Se Lei volesse dare un ruolo pubblico a tutte le religioni, allora lo dovrebbe dare anche a tutte le forme di non credenza. Inoltre, dovrebbe porre questa questione non in astratto, ma concretamente. Dovrebbe cioè valere nella pratica il principio o tutti o nessuno, altrimenti siamo di fronte a un’effettiva discriminazione. Se dovesse valere il principio cui Lei accenna, cioè tutti, allora le conseguenze sono facilmente immaginabili non solo per le pareti delle aule scolastiche, tappezzate di simboli, ma anche per le casse dello Stato, che dovrebbe finanziare tutte le religioni e le molteplici convinzioni filosofiche personali.
> Non bisogna però dimenticare che la religione cattolica nel nostro paese ha un’importanza particolare, innanzi tutto per il numero di fedeli che la abbracciano.
Questa affermazione è assolutamente priva di alcun significato dal punto di vista del diritto, visto la il “supremo” principio costituzionale della laicità dello Stato non permette di privilegiare alcuna confessione religiosa sulla base del numero dei suoi adepti, né tantomeno di prendere decisioni in merito a questioni religiose in base a maggioranze numeriche. Se un gruppo religioso ‘maggioritario’ o presunto tale riuscisse a impossessarsi in qualche modo di leggi, regolamenti, ecc. di uno Stato, allora quello stato non sarebbe più laico.
Passo ora a illustrarLe il mio punto di vista, frutto di esperienza personale, sulla questione crocifisso nella aule scolastiche della ns Repubblica. Sono non credente e ritengo molto diseducativo impartire un insegnamento religioso – particolarmente se cattolico – ai bambini piccini. Penso che la questione religioni/assenza-di-religioni sia un argomento estremamente serio che, proprio per questo, vada affrontato solo da un ragazzo quando ha raggiunto una certa maturità, tale da avere acquisito un minimo di capacità autonoma di giudizio. Conseguentemente, la mia figlia unica non è stata battezzata e avrei voluto evitarle discussioni e valutazioni sull’argomento – pro o contro che fossero – fino a quando lei non avesse raggiunto l’età in cui si dimostrasse “matura” per ragionare di queste cose con genitori, amici, insegnanti.
Non ho mai incontrato difficoltà nel seguire questo mio orientamento educativo, tranne quando sono entrato, anche per legge, in rapporto con la scuola statale. Il primo momento fu quando mia figlia aveva 3 (!) anni allorchè iniziò a frequentare le scuole materne statali. Successivamente, quando la iscrissi – obbligatoriamente – alle elementari statali all’età di 6 anni (!). In entrambe queste circostanze mi trovai di fronte alla assurda necessità di dover decidere se mia figlia doveva frequentare o meno l’Insegnamento di Religione Cattolica (IRC). Scelsi, fra molti dubbi, l’Insegnamento Alternativo, perché sapevo di condannare la mia unica figlia, cioè il mio più grande affetto, alla difficile prova dell’emarginazione dalla sua classe. Fu così che dovetti cercare di spiegare a una bimba, la prima volta all’età di 3 anni, perché lei una volta alla settimana veniva isolata dal gruppetto dei suoi amici della scuola materna. E dovetti anche cercare di spiegarle perché lei non poteva credere che quel Gesù Cristo, che se ne stava appeso alle pareti della sua aula a evidenziare da quale parte stesse tutto il resto della sua scuola, fosse il figlio di Dio come pensavo tutti i suoi amichetti. Quel Cristo che a Natale diventava Gesù Bambino, anche nel Presepe della scuola, per tutti i suoi compagni di scuola, mentre a casa nostra c’era l’albero di Natale con i regali.
Quindi, frequentando la scuola statale, ho dovuto andare parzialmente contro i miei orientamenti educativi e intervenire, facendo uso della mia credibilità e affettività paterna, al fine di controbilanciare in qualche modo le vergognose situazioni discriminatorie in cui uno Stato incivile come il ns. pone i bambini delle minoranze non credenti e diversamente credenti. Quel diritto che la Carta europea dei Diritti Fondamentali afferma, e che è stato fatto proprio dalla ns. legislazione, ma che nella pratica della vita scolastica nelle scuole della ns Repubblica viene negato.
La presenza del (solo) simbolo della religione cattolica alle pareti delle aule – da che parte sta lo Stato – e la possibilità di frequentare l’ora di religione (solo) cattolica nelle scuole statali – da che parte sta la maggioranza – creano una pressione psicologica nei confronti delle famiglie e degli alunni ‘diversi’ che è intollerabile quando gli alunni sono dei bimbi piccini. Sono pochissimi i genitori che non cedono alla vergognosa pressione esercitata su loro e i loro amati figlioli: solo quelli di minoranze religiose e areligiose fortemente motivati. Successivamente, questa pressione viene sentita molto meno quando i ragazzi crescono e maturano, fino a scomparire completamente quando frequentano le superiori. Tanto che, negli ultimi anni del Liceo, chi sceglieva l’IRC nella classe di mia figlia era una minoranza.
Questo mio ragionamento è corroborato dalle analisi di pedagogisti e verificato dalla mia modesta esperienza personale. Non riesco a vedere quale controargomento educativo e politico generale possa essere addotto per giustificare la forzatura che la Repubblica fa sui ns bambini piccini, quelli di età inferiore ai 10-11 anni, affinchè, per non sentirsi emarginati, nella pratica frequentino l’IRC.
Ma sono ovviamente ansioso di conoscere la Sua opinione su questo: perché il crocifisso – e l’IRC – alle elementari e alle materne statali? Qual’è il razionale di questa scelta evidentemente clericale? Perché dividere le classi fra chi segue formalmente la religione cattolica e chi no? Perché lo Stato, che si dichiara laico, sta in pratica dalla parte della religione cattolica e non se ne sta invece in disparte almeno fino a che i ns bimbi non hanno raggiunto gli 11 anni per frequentare le Medie?
Nell’attesa Le invio i miei più cordiali saluti,
Giovanni Mainetto
Concordo con la sostanza dell’intervento. Dico solo che se avessero catturato Bib Laden non sarebbe stato il processo del secolo ma del millennio,con tutti gli annessi e connessi. Credo che sia stato meglio così. Casteddaiu
di solito i commenti sono un po’ più brevi. va be’
Ma giuliano ferrara ancora grida al pericolo islam? mi domando: quando questi personaggi dicono e scrivono simili castronerie, dimostrando di non conoscere la realtà dei fatti o di essere in malafede, non c’è qualcuno che chiede loro conto di quello che dicono?