Quella che chiamiamo “globalizzazione” continua a mutare profondamente il configurarsi delle società e il peso della soggettività individuale, quanto meno nel mondo più avanzato: cambiano così gli scenari della politica e gli stessi modi di essere delle religioni, non scomparse, ma al contrario presenti con una maggiore incisività e influenza.
Il problema che si pone alla democrazia è quello di consentire una presenza pubblica delle religioni, senza far venire meno, anzi rafforzando, il ruolo dello stato di diritto.
Una dimensione pubblica delle religioni è una ricchezza per la nostra convivenza nella società e per la stessa democrazia, nella misura in cui si accompagni – in modo inseparabile – al pluralismo religioso. È indispensabile evitare che si allarghino i fossati tra cultura laica e cultura religiosa: la necessità è quella di ridefinire un minimo comune denominatore di valori, un’etica condivisa.

Occorre fare della laicità un riferimento universale, nel quale si riconoscano credenti e non credenti. A mio giudizio, le religioni possono svolgere un ruolo non solo decisivo, ma insostituibile.
Abbiamo bisogno di un universo di valori condivisi, della capacità di costruire pensieri lunghi – come si diceva un tempo – che vogliano misurarsi con il futuro, guardare lontano, non galleggiare nel solo pragmatismo quotidiano. Le religioni ci parlano dei grandi temi dell’uomo, del suo porsi di fronte ai suoi simili, al futuro dell’umanità e del mondo, al mistero della vita e soprattutto a ciò che può seguire alla morte.
La sinistra del XXI secolo non può aver paura di un dialogo con le religioni sulla vita e la sua dignità, né può sottrarsi a questo impegno. Del resto il magistero della chiesa ha contribuito ad elaborare e a diffondere la sussidiarietà come asse di una riforma delle istituzioni, in grado di valorizzarne la prossimità ai cittadini: l’impegno di questi ultimi, la capacità di scegliere e di operare costituiscono il fondamento di una rinnovata democrazia.

Il cattolicesimo ripone dunque piena fiducia nella libertà e responsabilità della persona. Questa libertà e questa responsabilità, alle quali si guarda e ci si affida nel campo dell’economia e del sociale, non possono essere revocate in quello dell’etica, a beneficio di un dominio dello Stato sulla vita degli individui. L’equilibrio tra due valori – entrambi fondamentali e riconosciuti dalla stessa Costituzione -, quello del diritto alla vita e quello del diritto a non subire le violenze terapeutiche, può essere trovato solo dalla persona, all’interno della sua comunità di affetti, con i suoi riferimenti religiosi o ad una cultura che ne prescinda.

La politica da sola non è in grado d’invertire la corrente di piccoli e grandi egoismi che soffocano la ricerca del bene comune e impediscono l’affermazione dei diritti umani nel mondo globale. La politica da sola non è in grado di governare in termini positivi il grandioso fenomeno delle migrazioni e di realizzare nuove forme di cittadinanza, fondate sull’inseparabilità, per tutti, dei diritti e dei doveri. La politica da sola non è in grado di promuovere quella rivoluzione culturale ed economica, che sappia diminuire le distanze tra i più ricchi e i più poveri. E non è capace di  avviare uno sviluppo in grado di far vivere la solidarietà come riconoscimento della centralità di ogni persona, oggi e per le generazioni del futuro, assumendo al tempo stesso a criterio guida irrevocabile la salvaguardia del pianeta. Per riuscire a vincere queste sfide è necessario un cambiamento anche soggettivo, personale: le religioni sono in grado di apportare quel di più di convinzioni, che nasce dalla persuasione delle coscienze. Le religioni sono capaci di parlare alla coscienza delle persone. Un nuovo umanesimo può essere costruito solo attraverso un dialogo e un incontro tra credenti e diversamente credenti: devono essere abbattuti, non creati, muri e divisioni.

Vannino Chiti