Nel libro Religioni e politica nel mondo globale, in libreria dal 13 aprile, Vannino Chiti spiega come il cattolicesimo possa e debba affrontare le sfide del mondo attuale ridefinendo il suo ruolo nei confronti della politica e individuando le ragioni del dialogo con le altre religioni.
Esponente del PD e Vicepresidente del Senato, Chiti prosegue la riflessione avviata con Laici & Cattolici (Giunti 2008), che indagava il non sempre facile rapporto tra i cattolici e la sinistra italiana, allargando l’orizzonte al mondo globalizzato.
Il volume, che l’autore definisce politico, espone le ragioni di un confronto, necessario e coraggioso, tra il cattolicesimo e le altre religioni monoteiste sulle grandi sfide del mondo attuale: la persona e i suoi valori, i diritti individuali e collettivi, il rapporto tra politica e religione, le questioni che le separano e quelle che condividono, la necessità da parte delle forze politiche progressiste di misurarsi con le fedi e la dimensione della trascendenza.
Nel nostro tempo, la politica delle forze progressiste deve far propria l’idea che il nuovo umanesimo non si chiuda alla possibilità di accogliere Dio: per costruire quella società della tolleranza e dell’integrazione di cui abbiamo tutti bisogno e delineare un’etica mondiale condivisa, che costituisca la base della convivenza nell’epoca della globalizzazione.
“Abbiamo il compito di contribuire ad affermare un nuovo umanesimo” sottolinea Chiti. “È questo il fine principale di un dialogo e di un impegno della politica progressista e delle fedi religiose. Il terreno fondamentale d’incontro è infatti rappresentato dalla centralità della persona, dalla sua promozione, dal riconoscimento della sua dignità”.
«L’imperativo del Pd? Battersi contro l’egoismo».
Chiti presenta il suo libro sul rapporto religione-politica
«Se non fosse stato sindaco di Pistoia, presidente della Regione e, ora, il vicepresidente del Senato, sarebbe stato un bel vescovo».
Ecco Vannino Chiti descritto dai suoi amici. Un ritratto che si attaglia all’ultima fatica: il libro Religioni e politica nel mondo globale, in uscita domani per i tipi di Giunti, dove spiega, lui che viene dal vecchio partito comunista, come il cattolicesimo possa e debba affrontare le sfide attuali, ridefinendo il suo ruolo nei confronti della politica. Un esempio (che nel libro non c’è) capace di rispecchiare la cronaca di questi giorni? L’uscita di Gastone Simoni, vescovo di Prato, che ha aperto la curia ai profughi, dopo che i politici pratesi si erano tirati indietro in modo sbrigativo: grazie, abbiamo già dato ai cinesi. Ma l’uscita del volume arriva anche in un momento di spaccatura del Pd, anche in Toscana. Dove c’è Matteo Renzi, il Rottamatore.
Presidente Chiti, pensa sia possibile gestire il cambia mento nel Pd senza «disastri»?
«Le classi dirigenti devono rinnovarsi. In Toscana ci sono tanti segretari provinciali del Pd con meno di 40 anni. Matteo Renzi e Enrico Rossi dimostrano come si possano guidare le amministrazioni con piglio nuovo».
Basta esser giovani per candidarsi?
«No, la politica dev’essere impegno per gli altri e non palestra per ambizioni personali».
Come nasce questo libro che arriva tre anni dopo Laici & Cattolici (Giunti 2008)?
«Analizzo il rapporto tra politica e religioni. In questo senso, è un libro politico. Il problema è consentire una presenza pubblica delle religioni, senza far venire meno, anzi rafforzando, il ruolo dello Stato di diritto. In Europa bisogna affermare una diversa secolarizzazione e nel mondo islamico superare la subalternità della società ad un’unica fede».
Qual è il rapporto, oggi, tra religioni e politica?
«Per la politica progressista si tratta di approfondire conoscenza e rapporto con le religioni. Occorre evitare che si allarghino i fossati tra cultura laica e cultura religiosa: la necessità è quella di definire un’etica condivisa che faccia della laicità un riferimento universale, nel quale si riconoscano credenti e non credenti».
Obiettivo difficilissimo…
«La fratellanza non può essere circoscritta a quanti condividono la stessa fede: deve saper abbracciare, per ogni confessione religiosa, l’intera umanità».
Chiti scrittore impegnato: un’ispirazione momentanea o una prospettiva post politica?
«Ho scritto vari libri, ma non voglio fare lo scrittore professionista! Semmai voglio dare un contributo per superare gli anni influenzati dal berlusconismo. Bisogna sconfiggere, insieme a Berlusconi, quel senso comune centrato sull’egoismo».
Nemmeno il Pd è perfetto…
«Sento di dover lavorare perché il Pd recuperi lo suo spirito origina rio, come casa dei progressisti aperta al ricambio e con un soggetto da privilegiare: la persona».
Sandro Bennucci
Intervista pubblicata su ‘La Nazione’ del 12 aprile 2011
“Reggere il mondo con le religioni”
In questa pagina proponiamo stralci dell’introduzione del nuovo libro di Vannino Chiti: “Religioni e politica nel mondo globale. Le ragioni di un dialogo”.
Quella che chiamiamo «globalizzazione» continua a mutare profondamente il configurarsi delle società e il peso della soggettività individuale, quanto meno nel mondo più avanzato: cambiano così gli scenari della politica e gli stessi modi di essere delle religioni, non scomparse, ma al contrario presenti con una maggiore incisività e influenza. Il problema che si pone alla democrazia è quello di consentire una presenza pubblica delle religioni, senza far venire meno, anzi rafforzando, il ruolo dello Stato di diritto. Una dimensione pubblica delle religioni è una ricchezza per la nostra convivenza nella società e per la stessa democrazia, nella misura in cui si accompagni — in modo inseparabile — al pluralismo religioso. L’autonomia delle minoranze culturali e religiose non deve essere violata attraverso ingerenze che vietino esperienze e pratiche coerenti con i principi delle Costituzioni e della «Dichiarazione universale dei diritti della persona». Per la politica progressista si tratta oggi di approfondire la conoscenza e il rapporto con le religioni: in Europa devono essere realizzate le condizioni per affermare nella quotidianità, come normale, il pluralismo delle fedi e delle culture. É indispensabile evitare che si allarghino i fossati tra cultura laica e cultura religiosa: la necessità è quella di ridefinire un minimo comune denominatore di valori, un’etica condivisa. Occorre fare della laicità un riferimento universale, nel quale si riconoscano credenti e non credenti. Le forze politiche progressiste europee devono farv enir meno ogni pregiudizio, ostilità o anche soltanto incomprensione nei confronti del fenomeno religioso.
Nell’assenza di strumenti adeguati e democratici di governance mondiale, la diffusione della cultura democratica, delle libertà fondamentali, della tutela dei di ritti umani non può essere affidata ai soli partiti: è essenziale coinvolgere le forme nuove della politica contemporanea, le associazioni, le organizzazioni non governative. A mio giudizio, le religioni possono svolgere un ruolo non solo decisivo, ma insostituibile. Naturalmente non è un esito scontato: esso esige un clima sociale di considerazione e rispetto; domanda alle forze progressiste l’impegno per realizzare una secolarizzazione non distruttiva, correggendone quei tratti che in Europa avevano messo ai margini, come arcaica, l’esperienza religiosa; richiede alle religioni la messa al bando di ogni giustificazione nei confronti dell’intolleranza e della violenza. La fratellanza non può essere circoscritta a quanti condividono la stessa fede: deve saper abbracciare, per ogni confessione religiosa, l’intera umanità.
Obiettivo comune è la costruzione di un’etica che chiuda la lunga fase storica egemonizzata dal rapporto amico- nemico, fonte di identità culturali e religiose contrapposte, giustificazione ideologica di conflitti e scontri che hanno accompagnato il contraddittorio avanzare della civiltà umana. La nostra ambizione deve essere quella di dar vita a un nuovo umanesimo, fondato sulla consapevolezza che la persona umana non esiste nella sola dimensione della sua fisicità, ma ha anche una dimensione spirituale, un bisogno e un’aspirazione alla trascendenza. Un nuovo umanesimo rivoluziona le culture politiche che ci hanno accompagnato negli ultimi secoli: nella società di domani non si tratterà certo di imporre la presenza di Dio o di una particolare fede per dare una risposta univoca alle inquietudini della nostra vita. Ma al tempo stesso Dio non potrà essere bandito dalla nostra convivenza, come un residuo arcaico, di un tempo della superstizione. Le conquiste dell’illuminismo, la stessa secolarizzazione sono fondamentali per l’uomo moderno: hanno purificato anche le fedi religiose — al cune, non ancora tutte — da incrostazioni e oscurantismi segnati su di esse dalle vicende del tempo. Quelle conquiste devono essere liberate da una pregiudiziale di rifiuto di Dio per consentire, nella società post-moderna, il confronto e la presenza di un pluralismo di fedi religiose e di culture, il loro misurarsi e convergere attorno a un impegno che abbia al suo centro il destino dell’uomo.
Abbiamo bisogno, sia dal versante laico — e questa espressione risulta al tempo stesso tanto utilizzata, quanto impropria — sia dal versante religioso, di realizzare un incontro, non episodico ma permanente, tra ragione e fede, in un reciproco rispetto e nella reciproca consapevolezza e disponibilità a uno scambio di apporti, per il bene comune della famiglia umana. É questo l’orizzonte al quale dobbiamo saper guardare, la prospettiva verso cui muovere, sapendo che il cammino non è facile, ma con la fiducia di essere in grado di percorrerlo.
Vannino Chiti
Articolo su ‘Avvenire’ tratto dal nuovo libro di Chiti
“Fede e politica, meglio parlarsi”
Quella che chiamiamo “globalizzazione” continua a mutare profondamente il configurarsi delle società e il peso della soggettività individuale, quanto meno nel mondo più avanzato: cambiano così gli scenari della politica e gli stessi modi di essere delle religioni, non scomparse, ma al contrario presenti con una maggiore incisività e influenza.
Il problema che si pone alla democrazia è quello di consentire una presenza pubblica delle religioni, senza far venire meno, anzi rafforzando, il ruolo dello stato di diritto.
Una dimensione pubblica delle religioni è una ricchezza per la nostra convivenza nella società e per la stessa democrazia, nella misura in cui si accompagni – in modo inseparabile – al pluralismo religioso. È indispensabile evitare che si allarghino i fossati tra cultura laica e cultura religiosa: la necessità è quella di ridefinire un minimo comune denominatore di valori, un’etica condivisa.
Occorre fare della laicità un riferimento universale, nel quale si riconoscano credenti e non credenti. A mio giudizio, le religioni possono svolgere un ruolo non solo decisivo, ma insostituibile.
Abbiamo bisogno di un universo di valori condivisi, della capacità di costruire pensieri lunghi – come si diceva un tempo – che vogliano misurarsi con il futuro, guardare lontano, non galleggiare nel solo pragmatismo quotidiano. Le religioni ci parlano dei grandi temi dell’uomo, del suo porsi di fronte ai suoi simili, al futuro dell’umanità e del mondo, al mistero della vita e soprattutto a ciò che può seguire alla morte.
La sinistra del XXI secolo non può aver paura di un dialogo con le religioni sulla vita e la sua dignità, né può sottrarsi a questo impegno. Del resto il magistero della chiesa ha contribuito ad elaborare e a diffondere la sussidiarietà come asse di una riforma delle istituzioni, in grado di valorizzarne la prossimità ai cittadini: l’impegno di questi ultimi, la capacità di scegliere e di operare costituiscono il fondamento di una rinnovata democrazia.
Il cattolicesimo ripone dunque piena fiducia nella libertà e responsabilità della persona. Questa libertà e questa responsabilità, alle quali si guarda e ci si affida nel campo dell’economia e del sociale, non possono essere revocate in quello dell’etica, a beneficio di un dominio dello Stato sulla vita degli individui. L’equilibrio tra due valori – entrambi fondamentali e riconosciuti dalla stessa Costituzione -, quello del diritto alla vita e quello del diritto a non subire le violenze terapeutiche, può essere trovato solo dalla persona, all’interno della sua comunità di affetti, con i suoi riferimenti religiosi o ad una cultura che ne prescinda.
La politica da sola non è in grado d’invertire la corrente di piccoli e grandi egoismi che soffocano la ricerca del bene comune e impediscono l’affermazione dei diritti umani nel mondo globale. La politica da sola non è in grado di governare in termini positivi il grandioso fenomeno delle migrazioni e di realizzare nuove forme di cittadinanza, fondate sull’inseparabilità, per tutti, dei diritti e dei doveri. La politica da sola non è in grado di promuovere quella rivoluzione culturale ed economica, che sappia diminuire le distanze tra i più ricchi e i più poveri. E non è capace di avviare uno sviluppo in grado di far vivere la solidarietà come riconoscimento della centralità di ogni persona, oggi e per le generazioni del futuro, assumendo al tempo stesso a criterio guida irrevocabile la salvaguardia del pianeta. Per riuscire a vincere queste sfide è necessario un cambiamento anche soggettivo, personale: le religioni sono in grado di apportare quel di più di convinzioni, che nasce dalla persuasione delle coscienze. Le religioni sono capaci di parlare alla coscienza delle persone. Un nuovo umanesimo può essere costruito solo attraverso un dialogo e un incontro tra credenti e diversamente credenti: devono essere abbattuti, non creati, muri e divisioni.
Vannino Chiti
Articolo su ‘Europa’ tratto dal nuovo libro di Chiti
“Recuperiamo il valore universale della laicità”
La sinistra del XXI secolo non può aver paura di un dialogo con le religioni sulla vita e la sua dignità, né può sottrarsi a questo impegno. Del resto il magistero della chiesa ha contribuito ad elaborare e a diffondere la sussidiarietà come asse di una riforma delle istituzioni, in grado di valorizzarne la prossimità ai cittadini: l’impegno di questi ultimi, la capacità di scegliere e di operare costituiscono il fondamento di una rinnovata democrazia.
Il cattolicesimo ripone dunque piena fiducia nella libertà e responsabilità della persona. Questa libertà e questa responsabilità, alle quali si guarda e ci si affida nel campo dell’economia e del sociale, non possono essere revocate in quello dell’etica, a beneficio di un dominio dello Stato sulla vita degli individui. L’equilibrio tra due valori – entrambi fondamentali e riconosciuti dalla stessa Costituzione -, quello del diritto alla vita e quello del diritto a non subire le violenze terapeutiche, può essere trovato solo dalla persona, all’interno della sua comunità di affetti, con i suoi riferimenti religiosi o ad una cultura che ne prescinda.
Abbiamo bisogno di un universo di valori condivisi, della capacità di costruire pensieri lunghi – come si diceva un tempo – che vogliano misurarsi con il futuro, guardare lontano, non galleggiare nel solo pragmatismo quotidiano. Le religioni ci parlano dei grandi temi dell’uomo, del suo porsi di fronte ai suoi simili, al futuro dell’umanità e del mondo, al mistero della vita e soprattutto a ciò che può seguire alla morte.
Quella che chiamiamo “globalizzazione” continua a mutare profondamente il configurarsi delle società e il peso della soggettività individuale, quanto meno nel mondo più avanzato: cambiano così gli scenari della politica e gli stessi modi di essere delle religioni, non scomparse, ma al contrario presenti con una maggiore incisività e influenza.
Il problema che si pone alla democrazia è quello di consentire una presenza pubblica delle religioni, senza far venire meno, anzi rafforzando, il ruolo dello stato di diritto.
Una dimensione pubblica delle religioni è una ricchezza per la nostra convivenza nella società e per la stessa democrazia, nella misura in cui si accompagni – in modo inseparabile – al pluralismo religioso.
È indispensabile evitare che si allarghino i fossati tra cultura laica e cultura religiosa: la necessità è quella di ridefinire un minimo comune denominatore di valori, un’etica condivisa.
Occorre fare della laicità un riferimento universale, nel quale si riconoscano credenti e non credenti.
Vannino Chiti
Articolo su ‘Il Riformista’ tratto dal nuovo libro di Vannino Chiti
Il libro – Il vice presidente del Senato
Chiti presenta “Religioni e politica nel mondo globale”
Abbiamo il compito di contribuire ad affermare un nuovo umanesimo. E’ questo il fine principale di un dialogo e di un impegno della politica progressista e delle fedi religiose. Il terreno fondamentale d’incontro è infatti rappresentato dalla centralità della persona, dalla sua promozione, dal riconoscimento della sua dignità». Presenta cosi il vice presidente del Senato Vannino Chiti, il suo ultimo impegno letterario “Religioni e politica nel mondo globale” uscito il 13 aprile (Giunti Editore, Collana Saggi Giunti Storia, 192 pagg.) nel quale spiega come il cattolicesimo possa e debba affrontare le sfide del mondo attuale ridefinendo il suo ruolo nei confronti della politica e individuando le ragioni del dialogo con le altre religioni. Esponente del PD e vice presidente del Senato, Chiti prosegue la riflessione avviata con “Laici & Cattolici” (Giunti 2008), che indagava il non sempre facile rapporto tra i cattolici e la sinistra italiana, allargando l’orizzonte al mondo globalizzato. Il volume espone le ragioni di un confronto, necessario e coraggioso, tra le forze progressiste, il cattolicesimo e le altre religioni monoteiste sulle grandi sfide del mondo attuale: la persona e i suoi valori, i diritti individuali e collettivi, il rapporto tra politica e religione, la necessità di misurarsi con le fedi e la dimensione della trascendenza. Nel nostro tempo, la politica delle forze progressiste deve far propria l’idea che il nuovo umanesimo non si chiuda alla possibilità di accogliere Dio: per costruire quella società della tolleranza e dell’integrazione di cui abbiamo tutti bisogno e delineare un’etica mondiale condivisa, che costituisca la base della convivenza nell’epoca della globalizzazione.
«Quella che chiamiamo “globalizzazione” sostiene Chiti continua a mutare profondamente il configurarsi delle società e il peso della soggettività; individuale, quanto meno nel mondo più avanzato: cambiano così gli scenari della politica e gli stessi modi di essere delle religioni, non scomparse, ma al contrario presenti con una maggiore incisività e influenza. Una dimensione pubblica delle religioni è una ricchezza per la stessa democrazia, nella misura in cui si accompagni in modo inseparabile al pluralismo religioso».
Recensione pubblicata su ‘Cinque Giorni’ del 20 aprile 2011
Il vecchio Pci e la Chiesa, Vannino Chiti racconta la sua doppia militanza
In concomitanza con l’uscita del suo nuovo libro Religioni e politica, edito da Giunti, Chiti racconta al Tirreno per la prima volta il suo rapporto con la fede, Dio e la Chiesa.
Crede nella vita dopo la morte?
«Non credere a qualcosa dopo la morte significa imprigionare la vita in un orizzonte ristretto. E’ l’altra faccia di una casualità della nostra vita, dell’intero universo. C’è una forma di speranza in qualcosa dopo la morte anche da un punto di vista strettamente laico. Ho in mente la magnifica lezione di Tiziano Terzani, che ho avuto la fortuna di conoscere. Ricorda? La fine, cioè la morte, è un inizio».
Ne parla anche nel primo capitolo del libro.
«Sì, mi pongo questo interrogativo, che tocca ognuno, su cosa rimanga di noi dopo la morte, se ci sarà un dopo e come sarà. In una certa fase della vita questi interrogativi si presentano con più insistenza, se abbiamo un minimo di spazio interiore, e se esso non è occupato e alienato del tutto da una società, nella quale il frastuono della comunicazione di massa e la finzione consumistica nascondono il nostro declino fisico dietro l’illusione di una sorta di onnipotenza. Ci si chiede allora se non risieda anche in queste domande, in quest’ansia che non può avere risposte scientificamente dimostrabili, il ritorno della religione negli ulti mi decenni del secolo da poco concluso e in questo avvio del terzo millennio».
La sua risposta?
«La mia risposta è in parte affermativa. Questa curvatura dell’illuminismo, questa versione della secolarizzazione, che bandiva Dio dalla vita della società, relegandolo al massimo nel segreto del cuore, sono state già sconfitte. Il mondo globale, il nostro villaggio planetario, sta scuotendo molte certezze, cambiando la scena e anche i protagonisti della straordinaria commedia umana».
Lei ha fede?
«Sono stato sempre cattolico. Il raccoglimento che dà la fede religiosa non fa perdere di vista l’importanza dei problemi concreti della vita di ogni giorno, ma li colloca in un più giusto rapporto di valori».
Lei viene da una famiglia religiosa?
«Sì, molto religiosa. In parti colare mia nonna e mia madre. Soprattutto con mia nonna non si saltava una vigilia».
C’è un sacerdote che ha avuto un’influenza nella sua vita spirituale?
«Don Giovanni Gentilini, il parroco della mia infanzia, parrocchia Le Grazie a Pistoia. Le prime gite della mia vita le ho fatte con lui, è stato sempre vicino alla vita concreta dei suoi parrocchiani. Mi ha insegnato il senso della coerenza e dell’umiltà. Tuttora, quando posso, vado a trovarlo».
E’ stato sempre cattolico oppure ci sono stati momenti in cui la sua fede è entrata in crisi?
«Si può essere in crisi o in dissenso con scelte della Chiesa, non con la fede. Almeno per me è così».
La preghiera che più le piace?
«Il Padre Nostro».
E il passo del Vangelo più amato?
«Il Discorso della montagna: contiene le parole di Gesù sulle beatitudini. Una pagina straordinaria, per ognuno di noi, che sia cattolico, che abbia una fede religiosa o che in- vece si riconosca in altri valori. Gesù offre una sua indicazione per raggiungere la beatitudine: una strada difficile, alternativa diremmo oggi rispetto agli orientamenti che guidano non solo la vita, ma spesso gli stessi nostri desideri. In questo senso il Discorso sulle beatitudini è stato definito la carta d’identità di un cristiano. Gesù ribalta il pensiero corrente, non solo del suo tempo, e lo stesso ordine costituito: chi accede al regno dei cieli è l’oppresso, il perseguitato, il mite, il puro, il pacifico. Con parole di oggi diremmo che viene richiesto a tutti di ricercare il miglioramento dell’ “essere”, non un concentrarsi esclusivamente sull’ “avere”».
Quali sono stati i personaggi del cattolicesimo italiano a lei più vicini?
«Sono stati molti. Da padre Ernesto Balducci a monsignor Alberto Ablondi, ai quali è dedicato il mio nuovo libro, due uomini che vivendo la loro fede, ci hanno insegnato a superare i pregiudizi e ci hanno mostrato la bellezza del dialogo».
Altri personaggi?
«Arturo Paoli, una straordinaria testimonianza di fede e concreto impegno per gli altri. E sicuramente don Lorenzo Milani. Non l’ho conosciuto direttamente, ma i suoi scritti me l’hanno fatto sentire vicino».
La sua militanza nel Pci le ha creato problemi sul piano della fede? Perché lei non ha — come altri cattolici — rivendicato la sua doppia militanza nella sinistra e nella Chiesa?
«Mi infastidisce dover dire delle mie convinzioni. Se sono reali, si leggono nei comportamenti, non c’è bisogno di enunciarle. Questa è la prima volta che ne parlo in maniera diffusa».
Mario Lancisi
Un nuovo umanesimo per far incontrare le religioni e la politica
Le sfide della globalizzazione, nell’epoca della seconda modernità, pongono l’uomo di fronte all’urgenza di un dialogo fra il cattolicesimo e le altre religioni monoteiste, e fra queste e la politica. Ed è compito dello schieramento progressista, a cui appartiene Vannino Chiti, l’autore di «Religioni e politica nel mondo globale» (Giunti, 237 pagine, 14,50 euro), favorire la nascita di un nuovo umanesimo. Che faccia incontrare religioni e culture religiose diverse, nel reciproco rispetto delle differenze e della dignità dell’uomo, non riducibile a una sola dimensione che non preveda Dio e la trascendenza nel proprio orizzonte. C’è bisogno insomma di un umanesimo che non escluda Dio, perché Dio e ragione possono tenersi, anzi debbono tenersi insieme, come peraltro dice papa Benedetto XVI nella lezione di Ratisbona. Ma tutto questo è possibile soltanto se i contendenti in gioco rinunciano a un pezzetto dei propri dogmi, se ogni religione quindi si depura da elementi di fanatismo per lasciare spazio al confronto.
Questo, naturalmente, scrive Chiti, che domenica parteciperà alla cerimonia per la beatificazione di Papa Wojtyla («Giovanni Paolo II — dice — è stato il primo vero leader religioso dei nostri tempi»), non significa sognare «una sorta di sintesi o di omogeneità interreligiosa: qui si ragiona sulle condizioni per un reale rispetto, per una reciproca comprensione e conoscenza, per un vero dialogo tra le religioni, come condizioni per un loro indispensabile contributo a realizzare la pace e affermare i diritti umani». L’Europa, che rischia di essere un gigante economico ma un nano politico, ha il compito di costruirsi un’identità e una dimensione politiche oggi perlopiù assenti. Il che rende peraltro impossibile gestire il fenomeno della migrazione e dell’integrazione. L’Unione Europea, grazie alla spinta delle forze progressiste, può diventare il luogo in cui le religioni trovano un riconoscimento nella sfera pubblica, che è quello che oggi esse chiedono. Per questo però ci vuole una «correzione della secolarizzazione» affermatasi in Europa. «Lo stato democratico deve garantire la libertà e il pluralismo religioso. Bisogna che la cultura progressista orienti un profondo mutamento nei rapporti tra politica-stato e religioni». Se per esempio il mondo islamico, per realizzare una società democratica, deve liberare lo stato dalla subalternità a una fede religiosa, l’Europa deve far superare alla secolarizzazione quel carattere distruttivo che ha escluso le religioni dalla dimensione pubblica. Ecco quindi il senso di un nuovo umanesimo, che non escluda Dio.
David Allegranti
Recensione pubblicata sul ‘Corriere Fiorentino’ del 29 aprile 2011
Programma “Il Funambolo” Luca Collodi
Vannino Chiti parla del suo nuovo libro
“Religioni e politica nel mondo globale. Le ragioni di un dialogo”
Qual è l’intuizione che l’ha portata a scrivere questo libro?
Sono tre gli elementi. Il primo è che io penso che le forze progressiste e di sinistra nel continente europeo debbano perdere ogni apparenza non soltanto di ostilità, questa non c’è più, ma anche semplicemente di indifferenza nei confronti dell’aspetto religioso. Si può essere credenti e non credenti, si può essere cattolici o cristiani o di altre religioni ma chi fa politica non può non avere presente il significato, il contributo, la ricchezza che oggi dà l’esperienza religiosa.
Il secondo aspetto riguarda proprio i compiti nostri in Europa. L’Europa non è più il centro del mondo e noi non dobbiamo pensare che l’unica secolarizzazione che esiste al mondo sia quella europea. C’è l’esperienza americana, degli Stati Uniti, e ci sono esperienze in altre parti del mondo dove purtroppo il pluralismo religioso non esiste. Penso che noi dobbiamo avere la forza di introdurre alcuni cambiamenti sui quali insiste anche l’attuale pontefice Benedetto XVI il fatto che la secolarizzazione non vuol dire mettere fuori dalla sfera pubblica, dalla cittadinanza pubblica le fedi religiose ma vuol dire ma vuol dire saperle far vivere dentro la stessa sfera pubblica e dentro il pluralismo religioso, il confronto con il pluralismo delle culture.
Il terzo elemento, che si ricollega al primo, alla ricchezza della presenza religiosa, io ritengo che la persona non sia soltanto quella che noi vediamo, la sua fisicità che è certamente fondamentale ma c’è un aspetto della persona che è quello della trascendenza che deve essere assunto. Naturalmente può avere risposte diverse. Può avere una risposta religiosa o può avere una risposta laica ma è qualche cosa che non è il residuo di una superstizione ma è una dimensione che dà senso alla vita, senza di cui non ci sarebbe neppure il significato della libertà, fonda anche essere il nostro essere persone e avere una dignità il nostro ricercare ovunque e per tutti una libertà vera.
Diamo delle chiavi ai nostri ascoltatori per poter leggere questo libro.
Lei vede nella globalizzazione una grande occasione di dialogo.
Sì, una necessità di dialogo. Io vedo che la globalizzazione può mettere a rischio tante cose. E’ un’opportunità ma è anche un grande rischio, può mettere a rischio la democrazia nei vari paesi. Quella che conosciamo può travolgere il ruolo della persona, se la persona è soggetto o no. E questo nei confronti di tutto, dell’economia, della finanza, della politica, della cultura, della scienza. O, viceversa, può essere la grande affermazione dei diritti umani. Insomma, perché avvenga questo secondo aspetto, che è un obiettivo importante, ritengo che la politica da sola non ce la faccia. Se oggi vogliamo far vivere nel mondo i diritti umani, il rispetto della persona, la centralità della persona, ci vuole un grande contributo anche delle religioni, altrimenti non ce la facciamo. Quindi, c’è una doppia dimensione delle religioni: la religione che è una risposta al bisogno di trascendenza della persona – una risposta a questa presenza e a questo bisogno e senso della vita – l’altra è una dimensione delle religioni come contributo alla vita e alla civiltà dell’umanità.
La politica deve sapersi confrontare con le religioni. Per qualcuno ci sarà un’ispirazione che viene dalle fedi religiose, per altri ci sarà un confronto rispettoso. Ma le fedi religiose, in questo caso il cattolicesimo, non sono un resto arcaico dei tempi, non sono un rimasuglio per un medioevo che stiamo attraversando, sono invece la risposta ad un bisogno che l’uomo porta dentro di sé e che può fare anche della vita di tutti gli uomini una vita migliore, o contribuire a farla migliore.
Chiti lei, lo ha appena ricordato, sottolinea l’importanza della centralità della persona, della tutela e della promozione della sua dignità. Le religioni possono aiutare questo ma se guardiamo all’oggi e paragoniamo i cattolici con una parte dell’islam, tra l’altro l’attualità di oggi ci porta a commentare anche l’uccisione di Bin Laden quindi di un certo tipo di integralismo islamico, ebbene guardando all’islam o quanto meno a una parte di islam integralista vediamo che la strada si fa subito in salita ed è una salita molto molto dura.
C’è un punto che è centrale. Anche qui, lo ricordo anche nel libro, mi trovo d’accordo realmente con un’impostazione su cui ha insistito l’attuale pontefice Benedetto XVI, cioè il fatto che perchè le religioni svolgano un ruolo positivo bisogna che assolutamente bandiscano la violenza e che ci sia un rapporto tra fede e ragione. E, sempre l’attuale pontefice proprio nell’incontro importante che ci fu in Vaticano con il primo Forum cattolico-islamico, pronunciò un discorso, poi ripetuto anche altre volte, nel quale affermava che ‘bisogna fare i conti con l’illuminismo’. L’illuminismo ha aspetti positivi di cui le religioni possono trarre profitto come il cattolicesimo ha fatto: quello del rapporto politica-religioni, dell’autonomia reciproca, del pluralismo religioso. Poi ci sono aspetti da non accettare e da superare come quello della privatizzazione del fenomeno religioso. Ma, se non si assumono i primi aspetti, quelli positivi che ricordavo, le religioni non sono protagoniste della pace. E alcuni di questi aspetti non sono stati accolti da tutte le organizzazioni che fanno riferimento all’islam. Negli stati dove per i cristiani non c’è la libertà di culto – e questo non è pluralismo religioso – negli stati dove chi è ateo viene condannato a morte o comunque estromesso dalla vita della società – questo non è libertà e pluralismo religioso. Insomma, il pluralismo religioso è come dice la stessa parola: il Concilio vaticano II è stato il compimento di quest’opera per i cattolici, ora bisogna che la scommessa con gli elementi positivi della modernità sia assunta anche dall’islam. Non ovunque è così e non ancora è così.
In alcuni paesi islamici i cristiani sono perseguitati. Il Papa più volte è intervenuto su questo tema.
Sì, in alcuni paesi islamici non si accetta il fatto che uno possa avere una religione o passare ad un’altra o non avere religioni. Questi sono aspetti fondamentali. Questo è il portato positivo dell’illuminismo. In questi Stati, in queste situazioni, non c’è libertà religiosa, non c’è pluralismo religioso, e siccome io penso che la libertà sia inseparabile dalla possibilità di professare la propria religione, se non c’è libertà religiosa vuol dire non c’è piena libertà, c’è la sussunzione, cioè la subalternità della sfera politica e della sfera statuale rispetto ad una religione. E questo non è positivo.
Tra l’altro, politici asiatici di ispirazione islamica spesso integralista vedono nei cristiani rappresentato il sistema statuale e politico dell’occidente…
E questo è un aspetto che ha affrontato – e io ho analizzato in parte anche nel libro – il recente Sinodo sul Medio Oriente. Essendo in quegli stati abituati a una coincidenza tra religione e politica, il fatto che nell’occidente ci sia una prevalenza della religione cristiana (anche se c’è una separazione, un’autonomia, tra religione e governo), le azioni anche negative degli stati stessi, ad esempio una guerra, non si imputano a quello Stato ma al cristianesimo in quanto tale. E da lì che nasce la contrapposizione. Nasce da un errore presente in quei Paesi. Ripeto: mentre è giusta la piena espressione delle fedi religiose e il pluralismo religioso va riassunto come cittadinanza pubblica, non è giusto il dominio di una sola religione (di una religione o di una cultura, un tempo nell’est questa poteva essere la cultura atea) non è giusto che prevarichino sull’autonomia degli Stati.
BIN LADEN
Io sono preso da due sentimenti: che Bin Laden non ci sia più non può essere considerato un elemento negativo, è un fatto positivo per il mondo dal punto di vista politico. Positivo per quello che aveva rappresentato come simbolo del terrorismo che ha ucciso tanti cittadini, persone innocenti, che ha strumentalizzato una fede religiosa facendola diventare impalcatura dogmatica e ideologica di un movimento terroristico. Ma io avrei preferito che fosse arrestato, processato e condannato.
Non bisogna pensare che ora la lotta al terrorismo sia finita, sia vinta, guai ad abbassare la guardia e guai soprattutto a pensare che la lotta al terrorismo si possa vincere soltanto con la forza delle armi. A volte occorre anche l’uso delle armi, ma soprattutto occorre la politica, un grande disegno che dia speranza di uno sviluppo giusto anche a quei popoli, a quelle persone. E ancora una volta c’è un ruolo fondamentale delle religioni: noi non supereremo il rischio di una guerra di civiltà e non costruiremo un ponte di dialogo, una cooperazione se non c’è un impegno anche delle grandi religioni.
REFERENDUM E LEGGE ELETTORALE
”Mi auguro che in futuro ci sia un altro referendum: l’attuale legge elettorale, quella che è stata definita ‘porcellum’ dal ministro che l’ha proposta, è un fatto negativo. Colpisce la partecipazione perché se non si può votare scegliendo una maggioranza di governo e non anche (in una forma o in un’altra, ce ne sono tante) la persona che mi rappresenta in parlamento la mia sovranità viene amputata o almeno, dimezzata. Il parlamento sembra insensibile alla modifica di questa legge, do’ un giudizio oggettivo, non voglio fare responsabilità soggettive. Io penso che sia giusto che i cittadini si esprimano, che dicano, ad esempio, se è giusta questa legge o se è meglio tornare alla legge Mattarella.
Mi auguro che ci sia una raccolta firme che parta dalla società, da esponenti della cultura di varie tendenze, da esponenti della società civile a cui la politica possa aderire per non ricoprire un doppio ruolo. Io certamente, se ci sarà un referendum in questa direzione mi ci impegnerò, non chiederò neanche cosa pensa il mio partito, mi ci impegnerò in tutte le fasi perché penso che di questo ci sia bisogno. Come strumento di partecipazione: restituire ai cittadini la pienezza della sovranità e la voglia di contare, di assumersi la responsabilità delle decisioni. Sarebbe certamente un aiuto ai politici e, siccome certi passaggi sono difficili, la norma di ‘non disturbare il manovratore’ non si applica alla politica, vale solo per gli autobus.
Io penso che in passato a volte si sia abusato del referendum, ma è uno strumento importante su cui riflettere e da rilanciare. Mi auguro che a giugno si raggiunga il quorum e che i cittadini si esprimano su impostazioni che il Parlamento dà. Io mi esprimo convinto di quello che indica il mio partito perché penso che qui davvero deve contare prima la persona, si possono fare tre passi avanti nello sviluppo, ma se per caso c’è un rischio, come nel caso del nucleare su cui non c’è sicurezza, che possano rimetterci le persone di tutto il mondo, allora è meglio fare un passo invece che tre e garantire la priorità della persona.
BIOTESTAMENTO
Su vicende parlamentari, apriamo un’altra parentesi sulla situazione italiana, come ad esempio la legge sul fine vita, che dialogo si può avere? Chiaramente un cattolico avrà una certa idea e un non cattolico ne avrà un’altra. Su queste tematiche che vanno a impattare sull’essenza dell’uomo come ci si comporta?
In generale, su queste leggi che affrontano questioni etiche che prima la politica non affrontava, io penso che dovremmo sottrarle da ogni strumentalizzazione elettorale. Io dico nel libro che su queste leggi ci dovrebbe essere un patto tacito tra le forze politiche, con grandi maggioranze come fosse un cambiamento della Costituzione, perché questo farebbe sì che ci sia un confronto, che non si mettano bandierine. Quindi no al bipolarismo etico, su questi temi bisogna cercare di avere un confronto e un dialogo. Anni fa, quando si discuteva sul fine della vita c’erano contrapposizioni che sembravano inconciliabili. Quando gli scienziati – credenti o diversamente credenti, come si vuole – hanno detto: guardate, la vita termina quando l’elettroencefalogramma è piatto, quando il cervello non manda più impulsi. Allora sono state possibili non solo convergenze, ma leggi che hanno assicurato la donazione di organi. E a questo punto, rispetto a questi temi, bisogna anche sapere che non sempre le leggi possono venire prima, a volte le leggi possono anche venire dopo, devono avere l’umiltà di venire dopo. Possono venire dopo che maturano delle convergenze nel vivere della società e nelle esperienze dei ricercatori e degli scienziati. Quindi: dialogo, confronto – non pregiudiziali – e leggi non di bassa propaganda elettorale. Infine: certo, un partito ha il dovere di avere una sua posizione. Ma su questi temi, assolutamente, c’è in modo trasparente la libertà di coscienza. Un partito deve indicare una posizione su una legge e i singoli devono potersi esprimere alla luce del sole in modo diverso.
Trascrizione dell’intervista a ‘Radio Vaticana’, canale italiano, 105Live, del 3 maggio 2011
Riservato
Bioetica
Vannino Chiti si confessa
Sulla bioetica e le leggi sul fine vita occorre dire no al bipolarismo etico. Serve un patto tra le forze politiche con grandi maggioranze come fosse un cambiamento della Costituzione. È quanto sostiene il vice presidente del Senato Vannino Chiti nel suo nuovo libro “Religioni e politica nel mondo globale”, edito da Giunti. Chiti, che in un’intervista ai “Tirreno” ha rivelato di essere credente, sostiene anche che nel Pd non ci può essere una divisione di compiti tra ex Ds e ex Margherita. Gli uni che si occupano del temi socIali ed economici e gli altri del rapporto con la Chiesa e i temi etici. Chiti rivendica agli ex Ds il ruolo di parlare del temi cari al mondo cattolico. Così una delle prime interviste sul libro l’ha rilasciata a Radio Vaticana, mentre nel programma di presentazioni ci saranno vescovi e personalità cattoliche.
M. LA.
Recensione pubblicata su ‘l’Espresso’ del 26 maggio 2011
Intervento di Vannino Chiti su ‘L’Unità’ del 25 maggio 2011
”Tra i problemi che si pongono in questo avvio del XXI secolo vi è anche quello del rapporto tra politica e religioni: come consentire una presenza pubblica delle religioni, senza far venire meno, anzi rafforzando, il ruolo dello stato di diritto.
Per farlo bisogna affermare, in Europa, una diversa secolarizzazione e, nel mondo islamico, superare la subalternità della società ad un’unica fede.
Per la politica progressista si tratta oggi di approfondire la conoscenza e il rapporto con le religioni. È indispensabile evitare che si allarghino i fossati tra cultura laica e cultura religiosa: la necessità è quella di ridefinire un minimo comune denominatore di valori, un’etica condivisa. Occorre fare della laicità un riferimento universale, nel quale si riconoscano credenti e diversamente credenti, per usare una bella espressione del Cardinale Martini.
Certo, non si tratta di un esito scontato: esso esige un clima sociale di considerazione e rispetto per le fedi religiose; domanda alle forze progressiste l’impegno per realizzare una secolarizzazione non distruttiva, correggendone quei tratti che in Europa avevano messo ai margini, come arcaica, l’esperienza religiosa; richiede alle religioni la messa al bando di ogni giustificazione nei confronti dell’intolleranza e della violenza.
La fratellanza non può essere circoscritta a quanti condividono la stessa fede: deve saper abbracciare, per ogni confessione religiosa, l’intera umanità. La nostra ambizione deve essere quella di dar vita a un nuovo umanesimo, fondato sulla consapevolezza che la persona umana non esiste nella sola dimensione della sua fisicità, ma ha anche un’aspirazione alla trascendenza. Naturalmente ad essa può essere data una risposta religiosa o semplicemente laica, ma non può essere negata, perché rappresenta uno dei fondamenti della libertà.
La sinistra oggi non può aver paura di un dialogo con le religioni sulla vita e la sua dignità, né può sottrarsi a questo impegno. Del resto il magistero della chiesa ha contribuito ad elaborare e a diffondere la sussidiarietà come asse di una riforma delle istituzioni, in grado di valorizzarne la prossimità ai cittadini: l’impegno di questi ultimi, la capacità di scegliere e di operare costituiscono il fondamento di una rinnovata democrazia.
Il cattolicesimo ripone piena fiducia nella libertà e responsabilità della persona. Questa libertà e questa responsabilità, alle quali si guarda e ci si affida nel campo dell’economia e del sociale, non possono essere revocate in quello dell’etica, a beneficio di un dominio dello Stato sulla vita degli individui. L’equilibrio tra due valori – entrambi fondamentali e riconosciuti dalla stessa Costituzione -, quello del diritto alla vita e quello del diritto a non subire le violenze terapeutiche, può essere trovato solo dalla persona, all’interno della sua comunità di affetti, con i suoi riferimenti religiosi o ad una cultura che ne prescinda.
Abbiamo bisogno di un universo di valori condivisi, della capacità di costruire pensieri lunghi – come si diceva un tempo – che vogliano misurarsi con il futuro, guardare lontano, non galleggiare nel solo pragmatismo quotidiano.
Quella che chiamiamo “globalizzazione” continua a mutare profondamente il configurarsi delle società e il peso della soggettività individuale, quanto meno nel mondo più avanzato: cambiano così gli scenari della politica e gli stessi modi di essere delle religioni, non scomparse, ma al contrario presenti con una maggiore incisività e influenza.
Questa riflessione non è qualcosa di diverso o di astratto rispetto all’impegno per recuperare lo spirito originario del Pd, la sua ambizione ad essere un partito nuovo, impegnato a contribuire alla formazione di una nuova cultura politica. Una casa di tutti i progressisti capace – a partire dalle sue radici fondative, quella della sinistra, quella cattolico-democratica, quella liberaldemocratica riformista, tutte importanti ma da sole insufficienti – di costruire una cultura politica nuova. Penso ad un nuovo sviluppo, sostenibile e duraturo; alla tutela ovunque dei diritti umani; alle prospettive di vita per l’umanità e il nostro pianeta, minacciate da una crescita distorta che si disinteressa, basti pensare all’attuale uso del nucleare, della persona”.
Vannino Chiti
Intervista Sky sul libro di Vannino Chiti
Il titolo del suo nuovo libro è “Religioni e politica nel mondo globale. Le ragioni di un dialogo”. Come cambia il mondo globale con questo mix?
Il mondo globale è cambiato molto, sta cambiando molto. Consideriamo intanto che noi europei non siamo più al centro del mondo e questo ci crea qualche problema, qualche difficoltà e qualche paura, nonché una nuova abitudine culturale a capire il mondo. Poi ci sono sfide nuove: per esempio quella dello sviluppo. E’ stato detto anche questa mattina all’Assemblea di Confindustria: popoli che prima venivano dopo di noi, oggi per sviluppo e per industria vengono prima di noi. Si pongono quindi le esigenze di uno sviluppo nuovo, di maggiore giustizia, di realizzare ovunque i diritti umani. Sentiamo di essere molto vicini e di non avere tutti gli strumenti di governo democratico per far fronte a queste sfide. Per questo abbiamo bisogno sia della politica, sia della cultura, sia delle religioni, altrimenti non realizziamo questi grandi obiettivi.
Eppure in un’Europa che, come lei dice, non è più al centro, accade che il velo – per esempio in Francia – sia vietato e accade che un dibattito sul ruolo della religione all’interno della Costituzione vada avanti per anni e anni.
E’ proprio questo il problema. Io credo che quella che chiamiamo secolarizzazione, che definiamo laicità, cioè il rapporto tra l’autonomia dello Stato e l’autonomia delle fedi religiose, sia andata avanti in modo diverso anche nello stesso mondo occidentale, negli Stati Uniti, ad esempio, rispetto all’Europa, per non parlare del mondo islamico. In Europa, per una lunga fase noi abbiamo ritenuto che le religioni fossero un diritto privato, da vivere nel silenzio del cuore, ma non come parte della dimensione pubblica. Da questa concezione derivavano alcune leggi come quelle che lei richiamava. Io ritengo che invece le religioni abbiano anche una dimensione pubblica, si possano esprimere sulle leggi dello Stato, sulla giustizia, sulla pace, sulle questioni etiche. Però ci vuole il pluralismo delle culture e delle religioni e il rispetto dello stato di diritto, e questo è quello che dobbiamo fare in Europa. In altre parti del mondo, penso al mondo islamico, c’è una religione, spesso è l’islam, che toglie autonomia e spazio alla politica, allo Stato e a volte alle altre religioni. In quel caso bisogna invece che ci sia una reciproca autonomia, quella che noi abbiamo conquistato. Quindi bisogna cambiare qualcosa in Europa e bisogna cambiare molto in quei paesi. Così le religioni potranno dare un contributo che ci serve, non solo alla nostra vita personale, ma anche a costruire un mondo migliore.
In questo quadro lei come colloca queste rivolte in Medio Oriente?
Le rivolte in Medio Oriente naturalmente non sappiamo come si concluderanno, siamo ancora in una fase di transizione. Intanto però dobbiamo dire che cosa noi come Europa vogliamo, non soltanto fare delle previsioni. Io penso che l’Unione Europea debba incidere, per favorire il successo di queste rivoluzioni. Cioè, in quei paesi si costruiscano effettivamente, con i tempi che ci vorranno, società democratiche, si affermi la libertà, si affermi la laicità. Noi dobbiamo pesare, per raggiungere questo obiettivo. E al tempo stesso dobbiamo quindi incoraggiare questo sviluppo. Queste rivoluzioni dimostrano, per esempio, che non è vero che l’islam è incompatibile con la democrazia o con la modernità. Deve cambiare ma può essere e sarà compatibile.
Una battuta sull’attualità politica. Siamo a ridosso dei ballottaggi, lei come vede a Milano Pisapia?
Lo vedo bene. Io penso che vincerà perché mi sembra che a Milano, come altrove, ci sia voglia di cambiamento e in questo caso la voglia di cambiamento è espressa dal centrosinistra.
CATTOLICI. CHITI: FORZE POLITICHE SI MISURINO CON LE FEDI. ‘MA IN ITALIA NON C’e’ BISOGNO DI UN PARTITO CATTOLICO’.
(DIRE) Roma, 27 mag. – “Non c’e’ la necessita’, ne’ oggi avrebbe un senso, di un partito dei cattolici in Italia. Nel nostro Paese non vi e’ una dittatura, ne’ una situazione di emergenza per le liberta’ e la fede religiosa, esistono il pluralismo, la democrazia e la laicita'”. Lo dice Vannino Chiti, dirigente del
Pd e vicepresidente del Senato, che recentemente ha pubblicato il volume ‘Religioni e politica nel mondo globale’.
Per Chiti “cio’ che e’ necessario e’ rinnovare la cultura politica, anche quella delle forze progressiste. Le narrazioni ideologiche del XX secolo sono superate o insufficienti per fondare progetti di societa’ capaci di dare un senso all’impegno delle persone. Per noi riformisti e democratici non si tratta di recidere le radici delle nostre esperienze. Bisogna pero’ essere consapevoli che nessuna delle nostre culture di provenienza e’ di per se’ in grado di produrre quel progetto di societa’ di cui oggi abbiamo bisogno”. Insomma, prosegue Chiti, “occorre realizzare uno sviluppo piu’ giusto per le persone e per i
popoli, sostenibile per il nostro pianeta. Di fronte a noi vi e’ il compito di contribuire ad affermare un nuovo umanesimo, che non si chiuda alla possibilita’ di accogliere Dio: per costruire quella societa’ della tolleranza e dell’integrazione di cui abbiamo tutti bisogno e delineare un’etica mondiale condivisa, al
di fuori del vecchio binomio amico-nemico, che costituisca la base della convivenza nell’epoca della globalizzazione”.
Nel suo libro, inoltre, Chiti spiega come il cattolicesimo possa e debba affrontare le sfide del mondo attuale ridefinendo il suo ruolo nei confronti della politica e individuando le ragioni del dialogo con le altre religioni. Il volume, che l’autore definisce “politico”, espone le ragioni di “un confronto, necessario e coraggioso, tra il cattolicesimo e le altre religioni monoteiste sulle grandi sfide del mondo attuale: la persona e i suoi valori, i diritti individuali e collettivi, il rapporto tra politica e religione, le questioni che le separano e quelle che condividono, la necessita’ da parte delle forze politiche progressiste di misurarsi con le fedi e la dimensione della trascendenza”.
”ZAPPING” RADIO 1 – 14 GIUGNO 2011
Aldo Forbice: Chiti è stato un grande Presidente della Regione Toscana e quindi è giusto dirlo. Lo so che questo può sembrare polemico verso quelli successivi o quelli attuali. Però, siccome lei è stato bravo, è giusto riconoscerlo.
Vannino Chiti: La ringrazio. Anch’io ricordo le iniziative che abbiamo fatto insieme sui diritti umani e contro la pena di morte, le ho ben presenti.
Aldo Forbice: Vannino Chiti è anche uno studioso del mondo cattolico e dei rapporti tra cattolici e sinistra italiana. Tre anni dopo aver scritto e pubblicato un libro dal titolo ‘Laici e Cattolici’, ha pubblicato un nuovo saggio più o meno sugli stessi temi. Il titolo è ‘Religioni e politica nel mondo globale. Le ragioni di un dialogo’. In sostanza, il senatore Chiti spiega in questo saggio le ragioni e la necessità di un confronto dei cattolici con la sinistra italiana. Un confronto però che in verità non è mai mancato, perché esisteva già ai tempi del vecchio Pci e della vecchia Dc, ed esiste ancora oggi perché, come sappiamo, i cattolici sono all’interno anche di piccoli partiti, ma sono dislocati anche nei grandi partiti, dal Pd al Pdl. Per cui un confronto che comunque esiste e avviene all’interno di questi grandi partiti ma anche tra partiti diversi.
Perché lei, senatore Chiti, ribadisce questa urgenza, questa necessità?
Vannino Chiti: intanto io ho cercato di guardare non soltanto all’Italia, di ampliare un po’ lo sguardo e cioè di guardare al mondo, alle sfide e alle opportunità che nel mondo sono presenti. Basti pensare a uno sviluppo diverso, che metta al centro la persona e non faccia rischiare che con la crescita muoia il Pianeta e muoiano le persone. I temi che sono legati al rapporto tra cittadini e scelte politiche, le necessità che ci sono di avere nuovi strumenti di governance a livello internazionale, i diritti umani di cui lei si occupa con continuità. Ecco, io ritengo che per affrontare positivamente questi temi, che per me sono fondamentali, occorra: primo, un grande ruolo anche delle religioni – al plurale, non solo di quella cattolica – ritrovando, su questi temi, al di là delle loro fisionomie, obiettivi comuni condivisi, un’iniziativa comune. Secondo, un dialogo e un confronto su questo obiettivo tra politica, dal mio punto di vista politica progressista ma su scala più ampia, e religioni. Allora, per farlo bisogna primo riconoscere che le religioni non sono un resto superstizioso di tempi antichi, ma che sono una risposta a grandi temi che continuano a porsi all’uomo. Secondo, ripensare e riflettere su come la secolarizzazione s’è svolta da noi e negli Stati Uniti come non ancora ovunque si è svolta, anzi prevalentemente non si è svolta in quello che è il mondo islamico.
Aldo Forbice: Ecco, soprattutto ci si riferisce alle religioni monoteiste. Lei dice che in sostanza, dalle cose che ha detto anche adesso, che è necessario far incontrare le religioni, le culture religiose con le forze progressiste proprio per promuovere sempre di più un nuovo umanesimo.
Vannino Chiti: sì.
Aldo Forbice: ecco, è un po’ questo il concetto chiave.
Vannino Chiti: sì, è questo. Ha perfettamente ragione.
Luigi Contu: Sono assolutamente d’accordo con la tesi del suo libro che ho anche visto e ricevuto. Ce l’ho qui sulla scrivania ma non l’ho ancora letto, ho letto le recensioni, leggo i suoi interventi. Secondo me ha assolutamente ragione. Gli chiedo però, essendo un progressista, come mai secondo lui nel nostro paese, in Italia dove poi il grande tema è sempre la religione cattolica, come mai non si riesce a interpretare, a leggere, a valutare la posizione della Chiesa in maniera distaccata? Cioè, da una parte o dall’altra, molto spesso da sinistra, a volte anche da destra, le posizioni vengono strattonate a uso e consumo di battaglie momentanee, poco strategiche. Basta leggere i giornali tutti i giorni. Non crede che la classe politica sia un po’ impreparata a questo discorso?
Vannino Chiti: sì, sono d’accordo con lei. C’è un vizio, tra virgolette, di leggere la vita della Chiesa Cattolica con criteri di tipo partitico, così non funziona. Perché, evidentemente, se lei prende tutti i papi quando parlano di questioni sociali, o di pace o di guerra allora direbbe: sono tutti progressisti o iscritti alla sinistra. E quando parlano di questioni magari di tipo etico…ecco non può essere questo. Un primo elemento è di non leggere la storia e la vita della Chiesa secondo degli occhiali che non servono per determinare quella situazione. E non farsi prendere da luoghi comuni, per esempio: si può essere d’accordo o non d’accordo su alcune impostazioni dell’attuale Pontefice, ma quando Benedetto XVI dice: ‘la religione deve mettere al bando la violenza e deve invece incontrarsi con la ragione’, io credo che uno, credente o non credente, questo lo debba assumere come un aspetto positivo. Così come quando l’attuale Pontefice ha detto, e questo secondo me è un fatto nuovo, ‘l’illuminismo, al netto di una curvatura della secolarizzazione che ha riconsiderato solo nella dimensione privata la religione, è stato importante anche per le fedi religiose e l’Islam deve fare i conti con questo tipo di modernità’, a me sembra che siano elementi per un dialogo serio. Quindi dobbiamo non avere preconcetti e, secondo me, sapere che le domande a cui risponde la fede religiosa sono domande che l’uomo si porta dietro: da dove veniamo, che cosa ci sarà dopo la morte…Poi uno può accettare la risposta religiosa o può dare un’altra risposta, ma non considerare queste domande come delle superstizioni. E allora cogliere anche il potenziale positivo che anche le religioni possono dare nel nostro mondo.
Piero Craveri: Adesso Chiti ha evocato le posizioni dell’attuale Pontefice, che è un uomo colto, il quale ha riformulato molti concetti, che sono poi anche vecchi concetti della Chiesa Cattolica, li ha aggiornati. Però quello che noto è che negli ultimi tempi, da un quindicennio a questa parte, nel mondo cattolico le divisioni sono molto forti. Per esempio, diciamo sintetizzando, che dal Concilio in poi la struttura ecclesiale della Chiesa è andata profondamente modificandosi, nel senso che rispetto alla tradizionale nomenclatura gerarchica che passava per i vescovi, per i parroci etc hanno avuto una grande diffusione i movimenti, gli ordini religiosi e i movimenti laici. Ora tra i movimenti laici ce ne sono laicali, cattolici laicali, ce ne sono con posizioni proprio riguardo ai problemi generali d’ordine ideale ma anche con una curvatura politica molto precisa, ci sono posizioni estremamente contrastanti. Alcune sono decisamente schierate a sinistra, altre non lo sono affatto. Allora voglio dire – sono d’accordissimo – ci sono degli aspetti della religiosità che sono superstiziosi, ma uno non può considerare il plurimillenario insegnamento della Chiesa Cattolica come una superstizione. Però noto che quell’universo non è più compatto come era una volta.
Vannino Chiti: credo anch’io che il Concilio Vaticano II, non dal punto di vista degli insegnamenti di fede – su quelli ha determinato un aggiornamento di linguaggio e di incontro con il mondo contemporaneo ma certamente non può mutare le impostazioni di fede – dal punto di vista dei rapporti Chiesa-potere politico, cattolicesimo-politica certamente ha segnato una grande discontinuità, per me positiva. È vero quello che dice il professor Craveri, cioè è vero che in politica ci sono posizioni diverse, c’è un pluralismo di schieramenti. Questo è legittimo, però questo è un altro discorso. Il mondo cattolico è qualcosa di complesso: ci sono le gerarchie, ci sono i preti, ci sono gli ordini secolari, ci sono i movimenti, ci sono le associazioni. Per esempio, io ho notato, facendo la ricerca per questo libro, che nel Sud America e in Asia, cioè nei continenti meno sviluppati, o se vuole per certi aspetti ma non per tutti nella stessa Africa, be’ le religioni – non soltanto la Chiesa cattolica ma essa in modo particolare – si pongono interrogativi che sono quelli di cui a volte discutiamo fuori dalla politica in Italia. Cioè i temi della giustizia, dei diritti umani, di quale sviluppo. A me sembra che questi siano contributi significativi. Il che non vuol dire che poi tradotto in politica tutti i cattolici votano a sinistra o tutti i cattolici votano a destra. È anche giusto che ci sia il pluralismo nelle scelte politiche. Però mi riferisco a una positività che può venire da una funzione, da un ruolo su questi temi: al centro si pone la persona e un nuovo umanesimo. Prima giustamente si diceva: se la Conferenza Episcopale italiana prende una posizione sulla guerra, lei spesso avrà visto che c’è la destra che dice ‘è un’ingerenza, occupatevi dei fatti vostri’ e la sinistra ‘bene’. Quando la prende magari nei confronti della fecondazione assistita o di un altro tema, succede esattamente il contrario. Allora io penso semplicemente che i vescovi, la Conferenza Episcopale Italiana, gli Imam hanno il diritto in una società democratica di prendere le loro posizioni. Certo, quando le impostazioni di fede non vengono date ai fedeli ma si entra nell’agorà politico, lì si entra in un campo in cui sono le maggioranze che determinano le scelte. E ci sono diritti fondamentali delle minoranze, quelli coerenti con la Dichiarazione Universale dei diritti della persona, che non possono essere compressi da nessuna maggioranza. È un altro campo, ma mi pare un versante positivo.
Aldo Forbice: io aggiungo che quando la Chiesa o comunque i vescovi non prendono posizione su, faccio un esempio, il bombardamento in Libia, allora ci sono quelli che protestano: ‘ma come, adesso la Chiesa non parla’?
Vannino Chiti: esattamente.
Giuseppe Mennella: Io il libro l’ho letto. E voglio qualificare, commentare questo libro, iniziare un breve commento soprattutto per dire agli ascoltatori quello che non è questo libro. Questo non è un libro sui rapporti tra i partiti, magari tra i partiti di sinistra e la Chiesa, la gerarchia cattolica, la costruzione storica della religione come l’abbiamo conosciuta in Italia. Qui è fuori dal campo di indagine di questo libro il rapporto partito-gerarchia, partito-Chiesa Cattolica. Il libro ha un orizzonte molto più grande ed è un libro che indaga la politica, il suo rapporto con le fedi delle religioni rivelate, le fedi monoteiste. O meglio, tra una politica progressista, considerato il campo in cui milita il presidente Chiti, e le religioni, le fedi. Quale rapporto in nome dell’intera umanità, nel terzo millennio, la globalizzazione. Ci sono parole che si ripetono in questo libro, questo è molto importante. Una l’hai detta te Aldo, ed è il ‘nuovo umanesimo’. Questa è la chiave di lettura: quale nuovo umanesimo per il terzo millennio? Che cos’è il nuovo umanesimo: è il rispetto dei diritti dell’uomo, la pace, il rispetto dell’ambiente come condizione della vita di tutti, dei paesi del terzo e quarto mondo soprattutto. Mi chiedo se noi non abbiamo più bisogno di questi libri che non stanno nella politica del giorno, nella polemica che si consuma mentre la si pronuncia. Noi abbiamo bisogno che gli uomini e le donne scrivano, riflettano di più. Il pensiero lungo.
Aldo Forbice: le riflessioni sono importanti, sperando che ancora la gente li legga questi libri.
Giuseppe Mennella: intanto vanno scritti. Per essere letti, qualcosa bisogna prima scriverla. Per esempio, la tua trasmissione in questo senso fa un servizio.
La chiave di lettura può essere quella che ho appena accennato?
Vannino Chiti: Sì. Ringrazio il dottor Mennella, perché la chiave di lettura è questa. Non è un libro che sta dentro la contingenza politica. Si interroga su alcuni aspetti, per esempio a me è sembrato di grande interesse lo scoprire un filone di riflessione islamica, che parte anche dall’Europa, che si chiama volutamente ‘Teologia islamica della liberazione’, in riferimento alla teologia cattolica, con uno stesso apporto, con il ruolo che possono avere le fedi religiose. Ma mi è interessato il sorgere, e vediamo che evoluzione avranno, delle rivoluzioni della primavera araba. Però il libro sta fuori dalla contingenza dei rapporti coi partiti, si interroga intorno a questi temi. E cioè: il contributo delle religioni al mondo contemporaneo, al mondo globale, il ruolo delle religioni in questo mondo, il significato per tutti della laicità. E effettivamente, come diceva il dottor Mennella, per me il contributo che possiamo realizzare è attorno alla centralità riconosciuta alla persona, ai diritti umani, che per me sono uno spartiacque fondamentale – ma dicendolo a lei dottor Forbice, sfondo una porta aperta – a un diverso sviluppo e una pace da costruire, superando – altrimenti è inutile parlare di nuovi umanesimi – quel binomio che ha guidato certamente la storia umana ma spesso anche la storia delle religioni, che è quello amico-nemico. Bisogna uscire fuori, con tutto lo sforzo da compiere, da questo binomio che ha condotto a disastri che vediamo ancora oggi intorno a noi.
Aldo Forbice: Bene. Senatore Chiti, io la invito a prepararsi a scrivere un terzo saggio proprio sulla primavera dei paesi arabi…
Vannino Chiti: be’ questo mi piacerebbe…
Aldo Forbice:…sull’influenza delle religioni. Quanto conta in questo momento. Se invece, parallelamente o insieme, il laicismo o la politica laica prende il sopravvento. Insomma, se questi paesi possono diventare delle vere democrazie vagamente somiglianti, usiamo questo termine, a quelle democrazie occidentali, questo sarebbe già un grande passo.
Vannino Chiti: io penso che molto si giochi in Europa. Se l’Europa, questa è un po’ la tesi che sostengo nel libro, potrebbe consentire lo sviluppo di un Islam europeo, diverso nei rapporti con la politica e con lo Stato diverso da quello che conosciamo in molti paesi, che accetta il pluralismo e la laicità. E allora ci sarebbe anche un contributo per l’evoluzione di quelle società come lei diceva. Noi dobbiamo operare perché avvenga.
Basta leggere l’indice per capire quanto vasta sia la sfida con cui si è misurato Vannino Chiti. “Religioni e politica nel mondo globale, le ragioni di un dialogo” è il titolo del libro appena pubblicato dal vicepresidente del Senato per Giunti editore, un lavoro suddiviso in tre parti e in dieci capitoli che spaziano da “Il pluralismo religioso e le sfide della società globale” a “L’Europa: una casa democratica per i popoli”, da “Il dialogo interreligioso” a “Religione, democrazia, cittadinanza”, fino a “La Madre Terra ferita” e “Verso un’etica mondiale condivisa”. Si comprende bene come ciascuno di questi titoli, e quelli che per brevità non abbiamo citato, potrebbero senza fatica spalancare le porte a riflessioni e dibattiti che presi singolarmente reggerebbero la stesura di più di un libro e alimenterebbero un numero imprecisabile di dibattiti colti. A Chiti è riuscita l’impresa non facile di affrontare in maniera generica e talvolta approfondita tutti questi temi offrendo al lettore un saggio armonioso e fruibile, che ha il pregio di fotografare lo stato dell’arte nei rapporti tra queste due “entità” così pervasive e totalizzanti della contemporaneità, ossia la religione e la politica. L’interazione a livello globa¬le tra di esse viene proiettata sulla sfondo
della Primavera araba e dell’involuzione dell’Iran, del fondamentalismo e dell’in-tegrazione, dell’Europa e del Vaticano, su Papa Ratzinger e sulla lezione di Rati-sbona, sull’ambientalismo e sullo Scon¬tro delle civiltà: tutti i grandi eventi che hanno caratterizzato l’inizio di questo secolo (e del millennio) e che stanno segnando i nostri giorni sono protagonisti dell’opera del vicepresidente del Senato, ma nessuno in maniera esclusiva. Perché lo scopo della trattazione non è mai quello di offrire soluzioni miracolose ai grandi problemi dell’umanità, quanto quello di proporre un “metodo” di azione universalmente valido. Il confronto tra le religioni, il confronto tra religioni e politica, il confronto tra i diversi modi di fare politica: il tutto nel rispetto reciproco dei ruoli e delle sfere d’influenza, favorendo la contaminazione laddove essa è possibile e feconda e pretendendo l’autonomia e l’indipendenza nei casi in cui le sovrapposizioni sarebbero sterili. L’autore riserva una particolare attenzione alle forze progressiste e agli sforzi che queste dovrebbero profondere per entrare in armonia con un nuovo umanesimo che sappia guidarle verso l’accoglienza, quantomeno ipotetica, dei valori di fede.
Nicola Maranesi
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