Il terremoto in Giappone e poi il disastro alla centrale nucleare di Fukushima hanno scosso le coscienze di milioni di persone nel mondo. Si rende necessaria una seria riflessione. Subito dopo la tragedia ho voluto manifestare agli amici giapponesi il mio dolore e esprimere il mio cordoglio per le tante persone che hanno perso la vita. La catastrofe impone a tutta la comunità internazionale un impegno straordinario per aiutare la popolazione che ha bisogno di un sostegno immediato. I cittadini giapponesi già in passato hanno dimostrato di sapersi risollevare con grande serietà e abnegazione. Il disastro in corso alla centrale nucleare di Fukushima impone invece di uscire, una volta per tutte, dall’ottica ideologica con cui da più parti si affronta il tema della produzione di energia nucleare. La lotta tra posizioni “di bandiera” non serve a nulla: danneggia soltanto le persone. Bisogna, invece, fare una valutazione seria dei costi economici e sociali, dei rischi per la sicurezza e dei benefici. La contrarietà del Partito Democratico rispetto al piano nucleare varato dal governo di destra non ha nulla di ideologico, ma si basa su elementi concreti: si tratta di un piano che non affronta adeguatamente né il problema della sicurezza né quello delle scorie. Non è economicamente vantaggioso – se si misurano risorse investite ed energia prodotta – e ci rende tecnologicamente dipendenti da altri paesi. In Italia non è ancora stato risolto il problema delle scorie già esistenti e dello smantellamento delle vecchie centrali. L’energia nucleare è prodotta da una tecnologia piuttosto giovane: soprattutto non sono stati risolti i problemi della sicurezza per chi vi è addetto né per le popolazioni. Il Giappone ne è l’ultima conferma: un guasto può far perdere il controllo della situazione e rappresentare una minaccia per il pianeta, anche per chi vive a grande distanza.

Rispetto al Giappone l’Italia è un paese a rischio sismico non molto inferiore e con una fragilità del suolo – per l’assenza di interventi di difesa e valorizzazione – enormemente superiori. Anche in questa occasione il governo di destra ha dimostrato di non essere all’altezza dei problemi. Subito dopo l’incidente alla centrale, di fronte ai nostri primi appelli per un ripensamento, dal governo sono giunte risposte arroganti e superficiali: dare uno stop al piano nucleare sarebbe stato un cedere a reazioni emotive. Questo mentre quasi dovunque nel mondo – e certamente nella UE – si apriva una fase di ripensamento e verifica. Appena un paio di giorni dopo, è arrivato il passo indietro. Secondo il ministro Romani «è irreversibile la scelta di capire se siamo nella condizione di massima sicurezza». Alla buon’ora: ce n’è voluta. Se non vuole essere un diversivo tattico, anche la risposta è chiara e semplice: no, l’Italia, per i suoi problemi di configurazione territoriale, e per i rischi reali presenti nell’attuale nucleare, non presenta le condizioni di sicurezza e agibilità per varare in ritardo – mentre altri, come la Germania, ne usciranno – un piano di “vecchie” centrali nucleari. La nostra strada deve essere quella della efficienza energetica, dello sviluppo delle energie rinnovabili e anche degli investimenti nella ricerca per il nucleare sicuro, quello in grado di superare il problema della produzione di scorie.

L’Italia ha tutti i mezzi e le potenzialità per diventare un paese leader nella green economy. Ma dobbiamo investire con convinzione: nei settori del solare termodinamico e delle biomasse siamo ancora in ritardo e il potenziale disponibile è in buona parte da sfruttare. Diversi segnali ci incoraggiano in tal senso: una ricerca di un docente della Duke University, pubblicata pochi mesi fa dal New York Times, rivela che la produzione di energia solare adesso costa meno di quella nucleare e che, mentre il fotovoltaico vede scendere progressivamente il suo costo, la spesa necessaria per costruire un reattore nucleare si è triplicata negli ultimi otto anni. Anziché navigare a vista l’Italia ha bisogno di una guida sicura e seria per prendere la rotta del progresso equo e sostenibile. Per noi – e non a parole – la persona è al primo posto. Dobbiamo dirlo, forte e chiaro, al referendum sul nucleare. Bisogna andare a votare perché si vuole scoraggiare la partecipazione dei cittadini nella scelta di questioni rilevanti per il loro futuro, non facendo svolgere i referendum contemporaneamente alle elezioni amministrative, con lo scopo di non far raggiungere il quorum. Così si sprecano anche risorse pubbliche per centinaia di milioni di euro. Dobbiamo andare a votare e votare no, per cancellare il piano del governo sul nucleare.