Nelle regioni del nord Africa è in corso una rivolta popolare per la conquista della democrazia. Questo moto spontaneo è reso drammatico da azioni violente dei regimi autoritari: la più grave e spietata è la repressione sanguinosa compiuta dal regime libico, nel tentativo di sopravvivere e macchiandosi di crimini contro l’umanità. Il discorso che Gheddafi ha pronunciato nei giorni scorsi in tv conferma la natura del dittatore, del suo regime e aumenta le preoccupazioni del mondo civile. Queste azioni di lotta collettiva, apparentemente improvvise, in realtà sono il frutto di un processo di maturazione dei principi e dei valori della democrazia che ha segnato quei popoli, soprattutto i giovani con un elevato livello d’istruzione e gli immigrati di ritorno da esperienze all’estero, in paesi democratici. Chi ha potuto vivere e osservare l’organizzazione della società nelle principali democrazie del mondo riporta nel proprio paese un fermento che alimenta il desiderio della libertà, del diritto di rappresentanza, della giustizia. Si tratta di una declinazione pacifica e culturale – quella giusta – del concetto di esportazione della democrazia, molto diversa da quella armata teorizzata dall’amministrazione Bush e condivisa supinamente dalla destra italiana.

La stessa destra invece, a proposito di quanto sta avvenendo in Libia, si è espressa in questi termini con il ministro degli Esteri Frattini: «l’Europa non deve esportare la democrazia. Non dobbiamo dire, questo è il nostro modello europeo, prendetelo. Non sarebbe rispettoso dell’indipendenza del popolo». La pretesa di imporre un modello di democrazia calato dall’alto fu alla base della guerra in Iraq condotta dagli Stati Uniti e supportata dal governo Berlusconi. Oggi che si tratta di sostenere un processo di liberazione sostenuto da quei popoli, consolidatosi nei paesi del Maghreb, l’Italia e l’Europa si stanno dimostrando assenti e incapaci di svolgere un ruolo autorevole. In base alla nostra collocazione geopolitica e alla nostra vocazione storica, avremmo dovuto agire noi con l’Europa e per l’Europa.

Invece, mentre in Libia il regime compie stragi di civili, Berlusconi si limita a una tardiva condanna delle violenze, dopo aver prima annunciato che non si sentiva di «disturbare» Gheddafi. É tutto quello che può dare una politica estera, boriosa e misera, come quella di Berlusconi, la politichetta delle pacche sulle spalle, dei sorrisi stereotipati per immagini rassicuranti; quella basata non sulle relazioni diplomatiche con i soggetti protagonisti ma sulle “amicizie private” con Putin e Gheddafi. Questi rapporti preferenziali sono stati accompagnati non solo da contorni folcloristici, se non grotteschi, ma anche dal sospetto, venuto da importanti paesi occidentali, di commistioni d’affari da parte del Presidente del Consiglio. Un quadro simile umilia la storia e la tradizione della diplomazia italiana e compromette la necessaria autorevolezza richiestaci nell’area del mediterraneo.

Anche se in ritardo, è necessario che l’Italia e l’Europa facciano tutto quanto è nelle loro possibilità per far cessare immediatamente le violenze e per sostenere il processo democratico in Libia e negli altri paesi del Nord Africa. Le lotte di questi giorni smentiscono le profezie di quanti – per interesse e dogmatismo – sancivano l’inconciliabilità tra Islam e democrazia. Una fase nuova è possibile: se si realizzerà compiutamente, cambierà i rapporti tra i popoli e contribuirà a individuare percorsi di cooperazione e di pace. É interesse dell’Italia e dell’Europa schierarsi apertamente per questo esito. Sono al tramonto regimi di finta democrazia, di repressione dei diritti umani e delle libertà, troppo spesso sostenuti dall’Occidente: sono i popoli arabi del Nord Africa i nostri interlocutori per costruire un futuro positivo.