Vannino Chiti, vicepresidente del Senato, il Pd raccoglie le firme per mandare a casa Berlusconi. Il segretario regionale Manciulli punta a ottenerne un milione (i voti del governatore Rossi alle regionali). Ma perché, chiede il centrodestra, questo governo che ha ancora la maggioranza in Parlamento dovrebbe andarsene? Se si firma non ce l’ha più?
«La raccolta firme tra i cittadini non determina certo il fatto che un governo non abbia più la maggioranza in Parlamento. Il significato è un altro: dare ai cittadini italiani uno strumento democratico di partecipazione per poter esprimere la loro valutazione su una situazione del Paese che è molto grave, da tutti i punti di vista. Economico, sociale, della moralità pubblica e del rapporto fra le istituzioni. D’altra parte la raccolta firme va legata a un altro motivo straordinario, la manifestazione che ci sarà il 13 febbraio, promossa dal comitato di donne parlamentari e della società, per esprimere il bisogno di legalità, un cambio nelle priorità dello sviluppo e il ruolo di parità nella donna della cultura e nella vita di questo Paese».

Il punto riguarda le motivazioni. Si sostiene (D’Alema) che questo governo non abbia più la maggioranza nel Paese senza però essere passati dalle urne. Viene meno il primato della politica, nonostante per anni lo abbiate rivendicato.
«Non è questa l’impostazione, né ciò che recepisce la gran parte dei cittadini. In un Paese democratico come l’Italia il riferimento comune per tutti è la Costituzione. Secondo cui la magistratura è indipendente e deve fare il proprio corso. In un Paese normale non si devono fare manifestazioni né per né contro la magistratura. La nostra iniziativa è politica, come era politica la manifestazione che fece la destra contro il governo Prodi quando portò un milione di persone contro il risanamento finanziario dell’Italia. Il problema che noi poniamo non è una questione che spetta alla magistratura. Leggiamo i dialoghi di queste partecipanti ai festini: “Questa ha preso 7 mila euro, io 5 mila, voglio di più, voglio un lavoro, e quando son finite le feste cosa faccio?”. Domanda: il premier è ricattabile o meno? Questa è una questione politica, non giudiziaria. Se è ricattabile, c’è in gioco o no la sicurezza del Paese e il ruolo del l’Italia in Europa? Terza domanda: questo presidente del Consiglio, per questa situazione, può chiedere agli italiani di fare sacrifici perché servono per superare la crisi? Può parlare con credibilità ai soldati che vanno nelle missioni di pace e muoiono? Sono questioni politiche».

Ed è una risposta politica fare una coalizione che va dai postfascisti a Vendola?
«Si tratta di vedere qual è il momento politico. Il nostro ragionamento è questo: quella che chiamiamo Seconda Repubblica ha dei fondamenti istituzionali, normativi, di legge elettorale? Non li ha, perché quello che distingue la Prima Repubblica dalla Seconda è solo una legge elettorale che si chiama Porcellum. Esiste la necessità di riformare le istituzioni, di dire quanti devono essere i parlamentari, il ruolo di Camera e Senato, se il Governo sarà presidenziale o, come io voglio, parlamentare forte come in Spagna o in Germania? Il federalismo de ve essere portato avanti in modo serio e compiuto o deve essere una foglia di carciofo? Peraltro, anche alla luce di quanto avvenuto oggi in commissione bicamerale sul federalismo (ieri per chi legge il voto della bicamerale è finito in un pareggio, quindi il testo è stato respinto, ndr) il governo dovrebbe prendere atto che non ha i più i numeri per realizzare le riforme. Tutti questi aspetti richiedono di essere costruiti insieme dalle forze politiche o le deve fare la maggioranza del momento? Io penso che si debbano fare insieme. La crisi economica colpisce tutto il mondo occidentale, Berlusconi e il suo governo l’hanno sottovalutata, e il nostro debito pubblico fa spavento. In Italia abbiamo bisogno di un periodo costituente, di due-tre anni».

Nelle primarie il Pd non sta andando benissimo. Nel partito si pensa a riformarle. Lei, che è stato anche commissario per quelle fiorentine, che ne pensa?

«Le primarie non vanno cancellate, ma ripensate e regolate. Alla luce dell’esperienza fiorentina, ma anche in generale. Le primarie possono essere uno strumento utile, non per eleggere i dirigenti di partito, ma per indicare i candidati alla guida delle istituzioni. Il primo punto da regolare è questo: il Pd può fare le primarie per sé, ma le primarie di coalizione sono un elemento abbastanza assurdo perché diventano una pre-campagna elettorale».

E se c’è una coalizione come si sceglie il leader?
«In tutti i paesi democratici che conosco e che hanno un governo di tipo parlamentare, chi guida le coalizioni è l’esponente del partito più grande. Le primarie poi non possono essere vinte da uno che ha il 34 per cento dei voti. Già a Firenze mettemmo uno sbarramento al 40 per cento, che comunque per me era basso. Negli Stati Uniti se uno arriva primo alle primarie ma non ha il 50 più uno per cento dei voti, la convenzione può scegliere un altro candidato. Le primarie si fanno così, con delle regole che ne diano una rappresentatività, altrimenti rischiano di essere, come in Italia, una sorta di populismo organizzato».

Tensioni sindacali. Alla Eaton di Massa la settimana scorsa la Fiom ha protestato contro l’accordo Fiat di Mirafiori davanti a un’azienda in cui la vertenza era stata portata avanti unitariamente. Non sono motivi di ulteriore inasprimento del clima? E il Pd cosa può fare per l’unità del sindacato?
«Non voglio dire neanche una mezza parola che accentui i contrasti sindacali. Voglio dire due parole, non buoniste ma politiche. Quello che dobbiamo chiedere non solo come Pd, ma come cittadini, è che al di là dei contrasti ci deve essere l’impegno a ricercare quantomeno l’unità d’azione. Questo è un obbligo che si deve portare avanti. Perché gli avversari non so no né la Fiom né la Fim Cisl. Gli avversari sono altri. Il Pd oltre a ricercare questo in quanto partito per affronta re il risanamento, l’uscita dalla crisi, il precariato giovanile, ha bisogno di un’interlocuzione sindacale il più possibile unitaria almeno negli obiettivi. E c’è bisogno di una legge sulla rappresentanza sindacale».

Torno al Pd. Pare che Matteo Renzi abbia già abbandonato il fronte dei rottamatori che lui stesso aveva aperto…
«ll Pd ha bisogno di un’operazione seria, che non è istantanea e non è basata sulla comunicazione televisiva o sul gioco delle moderne tecnologie di comunicazione. Bisogna rinnovare la cultura politica dei progressisti. Io penso che l’iniziativa di Renzi avesse in sé l’idea di dare speranza anche ai giovani fuori dal partito, un fatto utile e positivo. Ma ritengo che aver con centrato tutto sulle carte d’identità sia stato limitativo e penso che l’iniziativa di Firenze sia stata nelle conclusioni molto al di sotto delle aspettative. La voglia di partecipare non va mortificata, ma certo bisogna chiede re a tutti, soprattutto a chi organizza questi appuntamenti, il rigore, lo sforzo di approfondimento, e l’impegno sui contenuti. Se questo non c’è in modo sufficiente, si può fare un’occasione mediatica ma l’occasione mediatica viene bruciata da una successiva. Ed è come l’acqua che scorre su una pietra. Invece abbiamo bisogno di rinnovamento, di un numero ancora più grandi di giovani e di ragazze protagonisti nel Pd».

David Allegranti