Alla faccia del federalismo. Il sindaco di Roma Gianni Alemanno ne è un vero campione: discute del rinnovo della sua Giunta con i Capigruppo del Pdl e con il Presidente del Consiglio. Si vanta di avere avuto da quest’ultimo carta bianca. E noi che pensavamo che un sindaco, tanto più della capitale, non avesse bisogno di chiedere un permesso per la propria giunta al primo ministro. Eravamo abituati a Rutelli e Veltroni, evidentemente “meno federalisti”, perché a loro un simile comportamento non sarebbe mai passato per l’anticamera del cervello.

Mi riservo di esprimere un giudizio sul nuovo governo capitolino, se e quando verrà varato, ma insisto su un punto: tutta la vicenda della crisi al Comune di Roma è iniziata in un modo che spiega chiaramente quale idea di federalismo abbia la destra della capitale: una riunione insieme ai capigruppo di Camera e Senato, Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri, alla quale è seguito lo scioglimento della Giunta e un comunicato di Alemanno nel quale si diceva che la nuova Giunta sarebbe stata fatta in “piena collaborazione con il Pdl, dai vertici nazionali fino ai responsabili territoriali” e si ringraziavano in modo particolare i capigruppo stessi per l’appoggio dato.
Poi, dulcis in fundo, l’incontro con il Presidente del Consiglio.

A questo punto una domanda sorge spontanea: si può essere federalisti praticando l’esatto contrario, non difendendo neppure l’autonomia e la responsabilità, vorrei dire il prestigio, del ruolo del sindaco? E un governo che si fonda sull’alleanza tra Pdl e Lega, con queste pratiche diffuse e portate avanti da esponenti di primo piano, cosa intende quando parla di federalismo? Propaganda? Visione ottocentesca di tanti staterelli separati? Rapporti preferenziali tra governo e città politicamente amiche, per strappare qualche risorsa in più?Un’altra mangiata romanesco-padana questa volta, magari, sulla scalinata del Campidoglio?
Cosa ha in testa veramente Gianni Alemanno? Forse ha ragione Mario Lavia che l’11 gennaio ha scritto sulle pagine di questo giornale che la poltrona di sindaco è ormai per lui scomoda. Intanto Roma sta vivendo un momento buio. Una fase negativa che ha toccato il suo apice con lo scandalo di Parentopoli ed è proseguita con l’azzeramento della Giunta.

Il sindaco è stato incapace di governare Roma. Sono stato sorpreso dal livello scadente dimostrato in due anni e mezzo di mandato. È mancata una visione della città: in tutte le scelte compiute, dai rifiuti, alla sanità, dai progetti – che devastano il territorio – alla mobilità, la Giunta Alemanno ha dimostrato di avere per Roma una impostazione separata e contrapposta alla sua regione, ha inseguito una politica frammentaria e improvvisata, dannosa per la città, lanciando proposte assurde come quella di far correre il Gran Premio di Formula Uno all’Eur.
Alemanno farebbe bene a prendere atto del fallimento non solo della sua Giunta ma prima di tutto suo personale e rassegnare per coerenza le dimissioni.
È dunque iniziato il “dopo Alemanno”? In ogni caso sì, perché da questo fallimento e con programmi inadeguati la destra non riuscirà a risollevarsi. Ora tocca al Partito Democratico far sentire la propria voce. A Roma, ne sono convinto, le forze del centro sinistra hanno ancora un grande consenso elettorale.
Dobbiamo, da subito, costruire un progetto di governo nuovo e alternativo. Roma ha urgenza di chiudere questa parentesi  e di avere nuovi protagonisti alla sua guida.