Sul federalismo Casini è venuto allo scoperto: appellandosi a una scelta di “responsabilità”, annuncia che l’Udc voterà il decreto sui comuni in bicamerale. Col che pare assoggettarsi all’out out della Lega per sventare il pericolo elezioni. A Vannino Chiti, senatore Pd, ex presidente della Toscana, federalista della prima ora, chiediamo come intenda comportarsi invece il Pd, che pure vede in cattiva luce il rischio elezioni.
«A differenza dell’Udc – ci risponde – pensiamo da sempre che il federalismo possa essere una riforma importante per l’organizzazione e il rafforzamento dell’efficienza e della democrazia. E non andiamo a scuola di federalismo dalla Lega: guardiamo al federalismo dentro un quadro di Costituzione democratica dell’Europa. Ciò detto, sui decreti attuativi siamo stati e saremo rigorosi: guarderemo a ciò che producono e se non lo condividiamo voteremo contro».

Nel merito il Pd conviene con le proposte del terzo polo, dal quoziente familiare allo stralcio della cedolare secca sugli affitti?
«Qui occorre una precisazione: i termini reali della questione federalismo non emergono neppure in ordine alle scadenze».

Bossi pone l’ultimatum al 23 gennaio. Invece quali sarebbero i termini?
«E’ vero che entro fine gennaio dev’essere affrontato il decreto attuativo del federalismo per i comuni. Ma poi ce ne sono altri, determinanti, che porteranno comunque il percorso a primavera: quello sulle regioni; quello sui costi standard delle prestazioni; quello sulle sanzioni per gli amministratori responsabili di incrementi del deficit. E’ un percorso che va affrontato in modo rigoroso. Quindi, rappresentare il decreto sui comuni come l’aspetto fondamentale per l’attuazione del federalismo fiscale o del suo “tradimento” non è affatto vero. La partita è più lunga e complessa».

E per quanto riguarda il Pd, quali sono i nodi?
«Questo federalismo fiscale per i Comuni in realtà non cambia niente e, se cambia, è in peggio. Viene prevista un’imposta comunale che riguarderà solo le seconde case e che comporterà un colpo fortissimo. Con due conseguenze. Prima: diventa un federalismo turistico, perché i comuni in zone di turismo e seconde case avranno risorse che altri comuni, anche capoluoghi a forte intensità abitativa, non avranno. Seconda: viene smentito di fatto il principio cardine per cui il federalismo comporta che la contribuzione si realizzi là dove si determina la rappresentanza».

E’giusto votare dove si paga le tasse…per cui c’è chi giustamente obietta alla legge sul voto degli italiani all’estero…
«Quel principio lì, esatto. I proprietari di seconde case che danno contributi diretti in linea di massima non sono residenti in quei comuni. E se i cittadini residenti non partecipano finanziariamente alla vita del comune, non parteciperanno neanche alla politica. Si chiama federalismo comunale, ma nella sostanza il fondo perequativo, quello per garantire prestazioni fondamentali equivalenti, poggerà tutto sull’imposta municipale sulla seconda casa: il risultato sarà che il fondo perequativo dovrà svolgere un ruolo fondamentale, fortissimo».

In parole povere non c’è autonomia impositiva.
«Esatto. Si fa pesare tutto sui non residenti, non si realizza alcuna compartecipazione ai grandi tributi erariali e non si rendono possibili imposte di scopo, che servano ad esempio per un impianto sportivo o un parco, sulla cui realizzazione poi l’amministrazione sarà giudicata».

Invece il Pd cosa propone?
«Tre modifiche. Per noi il federalismo fiscale deve basarsi su imposte proprie da parte di comuni e regioni e sulla compartecipazione ai grandi tributi erariali; è il modo di realizzare un’autonomia che si accompagna al la coesione e alla corresponsabilità nel paese. In secondo luogo, anche noi abbiamo proposto di modificare la cedolare secca: finalizzata da un lato a tener conto non solo dei proprietari ma degli affittuari e dall’altro a mantenere criteri di agevolazione nelle aree ad alta densità abitativa; per ché, così com’è, colpirebbe sempre i più deboli. Infine sosteniamo l’istituzione di un’imposta comunale sui servizi, in modo che i cittadini residenti contribuiscano e giudichino per i servizi erogati dal comune. Sulla base delle risposte che otterremo valuteremo come comportarci».

D’altronde, si perdoni la malizia, a togliere le castagne dal fuoco delle elezioni ci ha pensato Casini.
«Per quello, veramente, basta il voto di Baldassarri, di Fli, che finora nella commissione bicamerale ha fatto parte dei 16 voti a 14 di maggioranza e ha avanzato le sue proposte di modifica sul decreto».
Credi che l’Udc voglia votare per evitare il casus belli e spuntare l’argomento elettorale leghista del federalismo tradito da Roma ladrona?
«Non sono mai propenso a dietrologie. Credo che una riforma federalista che dia responsabilità e autonomia nell’ambito di una coesione nazionale sia giusta e che sia giusto portarla a compimento bene. Non sarà alzando la voce sulle elezioni che si può cambiare il senso della riforma federalista».

E allora perché il Carroccio detta ultimatum?
«Penso che un giorno voglia fare la riforma e l’altro si trovi in difficoltà, perché comincia ad avvertire l’insoddisfazione della sua base».

Casini invece vi chiede di decidere tra, lui e Vendola.  Il Pd come decide?
«Pure questo è un discorso che rischia di rimanere tutto chiuso dentro una logica politicista. Per noi ci sono due assi di riferimento principali. Il primo è ragionare con tutti quanti stanno all’opposizione in Parlamento e nel Paese. Casini e Vendola sono in questa posizione, come altre forze di sinistra e moderate. Il secondo è verificare quale livello di consenso si possa realizzare su grandi priorità programmatiche. L’inclusione o l’esclusione a tavolino non servono a vincere: si vince sulle grandi priorità per il paese e per uscire dalla crisi, dai malanni prodotti da questo governo sull’occupazione, sulla precarietà; sui saperi, sulle libertà e i diritti individuali e collettivi».

Cosimo Rossi