Settimo Torinese

Siamo qui per ricordare la nascita, sessantaquattro anni fa, della nostra Repubblica: è una festa e deve essere di popolo, come in altri Paesi, perché per la prima volta fu il popolo italiano – non solo uomini, ma anche donne – a scegliere con il voto la Repubblica e a eleggere l’Assemblea Costituente. Una festa, ma non di nostalgia: per rafforzare e trasmettere dei valori, per riflettere sul presente e costruire il futuro.
Una nascita che avvenne tra grandi speranze, dopo lutti, distruzioni di una guerra che da ultimo era stata anche tra italiani,  potendo contare sulla volontà diffusa di ricostruire e far rinascere il Paese, in un clima di libertà, con uno sforzo straordinario di solidarietà e unità che prevalse sulle differenze e le legittime divisioni. È attraverso la memoria collettiva che la nostra identità viene trasmessa, si arricchisce e rinnova. È così che un popolo – e le tante comunità che lo compongono – avendo una storia e dei valori condivisi, può costruire un futuro degno.
L’Italia, divenuta oggi un Paese altamente sviluppato, avrebbe bisogno di uno sforzo simile di intesa e concordia, per la complessità dei problemi che, in un mondo profondamente mutato, si pongono di fronte alla società e allo Stato.
In quegli anni il nostro popolo seppe risalire dal disastro della guerra voluta dalla dittatura fascista e conquistare un posto tra le democrazie. In oltre mezzo secolo di vita democratica, abbiamo attraversato e superato momenti difficili, tensioni e gravi attacchi – basti pensare al terrorismo. Abbiamo saputo vincerle, superarle, andare avanti, facendo progredire l’Italia come mai prima. Oggi c’è bisogno, di fronte ad una crisi profonda che colpisce il nostro Paese e  il mondo, di un rinnovato impegno, di rigore e serietà da parte di chi è eletto nelle istituzioni, di fiducia nel futuro. Il riferimento comune, la stella polare del nostro cammino è e resta la Costituzione, che la Repubblica si diede sessantadue anni fa, a due anni dal referendum del 2 giugno 1946 e dalle prime elezioni politiche della storia repubblicana.
La Repubblica fu scelta  – per la prima volta – dal popolo italiano, donne e uomini, con il referendum. Allo stesso modo l’Assemblea Costituente. Anche per questo la Repubblica, la Costituzione, le istituzioni democratiche appartengono al popolo.

È un dovere non smarrire le origini della nostra democrazia. Devono, possono ormai essere, memoria condivisa. Ricordare le deportazioni e le stragi dell’epoca nazi-fascista, le lotte partigiane che hanno sconfitto insieme agli alleati, in primo luogo americani e inglesi, gli eserciti e le milizie di dittature orrende, rendendoci liberi, facendoci  riacquistare la nostra dignità. Qui nella vostra città, ad esempio, don Luigi Paviolo, parroco di San Pietro in Vincoli, che si adoperò dall’8 settembre alla Liberazione per proteggere quanti erano ricercati dai nazi-fascisti; o i sei giovani partigiani impiccati dai nazisti l’8 agosto 1944. Tragedie e barbarie simili non devono ripetersi. Abbiamo un debito di gratitudine eterna, finché esisterà la libertà, nei confronti di quanti si sono battuti per restituirci dignità e democrazia. I giovani, nel succedersi delle generazioni, devono conoscere quel patrimonio di valori su cui sono fondate la nostra Costituzione e la nostra Repubblica e rinnovare su di esso un patto di condivisione.
C’è una bellissima frase di Piero Calamandrei, uno dei Padri della Carta Costituzionale, contenuta in un Discorso agli studenti milanesi nel 1955: “Dietro ogni articolo della Costituzione voi dovete vedere giovani come voi che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, col pensiero perché lì è nata la nostra Costituzione”.
La Costituzione e la  Resistenza sono strettamente unite. La nostra Carta fondamentale ha la sua genesi nella Resistenza: se la Costituzione è un albero, la Resistenza ne rappresenta una radice irrinunciabile, insostituibile.
È indispensabile fare in modo che i valori per cui quelle donne e quegli uomini hanno lottato,  siano contenuti  non solo nella lettera della Costituzione, ma nella pratica di ogni giorno.
Intanto bisogna conoscerli, diffonderli, non darli per scontati.
Negli Stati Uniti i bambini alle elementari studiano il Preambolo della loro Costituzione. Altrettanto dobbiamo fare noi in Italia. Non è sufficiente inserire la parola Resistenza nei programmi scolastici, bisogna andare oltre. Sarebbe bello che venisse promossa una legge di iniziativa popolare e che la proposta fosse lanciata da Comuni e Regioni, magari di diverso orientamento politico, perché la Costituzione e la Resistenza uniscono l’Italia e continuano a orientare  il nostro cammino.
La  scuola deve con lo studio, far imparare conoscenze, trasmettere   un metodo per apprenderne di nuove, ma al tempo stesso deve accompagnare la formazione dei cittadini.
Sì, a scuola si deve anche apprendere la Costituzione, i suoi valori guida; la legalità; la responsabilità.
I valori non nascono come i funghi: si devono conoscere, vivere, attuare. Prima nelle famiglie, poi nelle scuole, e con l’esempio delle istituzioni.

Ho detto di un progresso come mai prima. Certo ci sono anche contraddizioni e ombre. La più grande è che ancora oggi il nostro Paese è reso più fragile dallo squilibrio tra Nord e Sud, dalla condizione reale del Mezzogiorno. Non possiamo sottovalutare i problemi che si presentano alla vigilia del 150/mo Anniversario dell’Unità d’Italia. È indispensabile cogliere questa occasione per rafforzare la consapevolezza  storica del nostro essere Nazione, per irrobustire la coscienza unitaria degli italiani. Al tempo stesso l’unità del Paese, il suo ruolo per contribuire a costruire pienamente l’Unione Europea, non è, non può essere messo in discussione. Non bisogna restare indifferenti nei confronti di idee e posizioni politiche e culturali che irridono all’unità dell’Italia. L’Italia è una, come è scritto nella Costituzione e il futuro non sorride a chi abbia il volto rivolto al XIX secolo, ma a chi dia alla democrazia la capacità di misurarsi con l’avvento della globalizzazione. Il federalismo è una scelta di rinnovamento, non un improponibile ricatto alla sua unità, altrimenti non si conosce neppure il significato del termine.
Le parole d’ordine giuste sono quelle della Patria, che unisce i popoli non sulla base del diritto del sangue ma di quello della residenza legale in un territorio, e quella di Europa, l’Unione dei nostri popoli, delle nostre patrie, per essere protagonisti di pace, giustizia, sviluppo, affermazione dei diritti umani nel XXI secolo.

Tra poco i giovani diciottenni riceveranno una copia della Costituzione: la Costituzione è la nostra carta di identità, il patto dei diritti e dei doveri di noi  cittadini: su di essa si fondano le nostre istituzioni.
È antifascista e lo scrive in modo indelebile. È contro ogni totalitarismo: al suo centro vi è la persona, la sua dignità, la sua libertà, la sua responsabilità.
Assume come valori guida la democrazia, la giustizia e la pace.
Nasce nel solco tracciato in tutta Europa dalla lotta contro il nazismo, il fascismo e contro ogni dittatura.
Dobbiamo sentire una profonda gratitudine verso i Padri Costituenti. In anni di duri scontri politici, di forti contrapposizioni per le concezioni che si avevano allora del mondo e della società, seppero trovare le ragioni di una intesa, della concordia, guardando all’Italia, al suo interesse generale, al suo futuro, a noi.
La Costituzione afferma un nucleo fondativo di valori che sovrintendono alla stessa  attività del legislatore e ne orientano i fini.
“L’Italia – recita l’articolo 1 – è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
E’ il fondamento della Repubblica democratica.
La Costituzione afferma che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, e aggiunge, che l’uguaglianza non deve essere solo teorica,  astratta, ma reale, deve tradursi nei fatti: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, ci dice l’articolo 3. Che, però, subito specifica: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Questo articolo fonda il rifiuto di ogni discriminazione.
L’articolo 11 fonda l’impegno di pace dell’Italia e la disponibilità a sacrificare per essa, con altre nazioni, aspetti della propria sovranità. Sta qui il fondamento della costruzione dell’Unione Europea e del nostro impegno nelle missioni di pace.
La Costituzione non si limita a disegnare il quadro generale di come il popolo italiano ha deciso di stare assieme per dare vita alla nazione italiana, ma va alla sostanza delle questioni. Ci dice quali sono le cose essenziali da fare per dare tutela effettiva ai diritti fondamentali delle persone, dei singoli e dei gruppi; riconosce e garantisce le libertà dell’uomo: “La Repubblica – dice l’articolo 2 – riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”; ma vuole anche che queste libertà non vadano contro le libertà degli altri e contro il bene comune; a tal fine, ad esempio, prevede che le libertà e la proprietà non possono “svolgersi in contrasto con la utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” e che ne deve essere assicurata “la funzione sociale”; per questo la Costituzione stabilisce che, oltre ai diritti, ci sono anche i doveri, i doveri di solidarietà, che sono essenziali per il benessere generale, perché se ognuno pensa solo ai suoi interessi e non si occupa del bene degli altri, non si impegna per aiutare gli altri, non ci potrà mai essere benessere collettivo; se ci sono troppi privilegi, troppe differenze tra chi è ricco e chi è povero, non potrà mai esserci giustizia, e senza la giustizia non c’è reale libertà: per questo, la Repubblica “richiede – aggiunge l’articolo 2 – l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
La Costituzione contiene in sé obiettivi permanenti – diritto all’istruzione, alla cultura, alla salute, al lavoro (un lavoro dignitoso e nel quale non si muoia come troppo spesso avviene da noi, due morti anche ieri e due l’altro ieri), alla giustizia sociale, alla partecipazione di tutti alla vita democratica – che mai saranno acquisiti una volta per tutte.
Come ho detto,  è la stella polare del Paese: non sostituisce certo la politica, le sue scelte, le sue responsabilità.
La Costituzione lega indissolubilmente diritti e doveri: alla solidarietà; allo studio (come si stabilisce nell’articolo 34), al lavoro; alla partecipazione alla vita delle istituzioni; sancisce il diritto alla proprietà privata ma al tempo stesso la responsabilità sociale delle imprese.

Oggi stiamo attraversando un periodo di difficoltà profonda. Il nostro Paese, il mondo e soprattutto l’Europa sono stati investiti da una grave crisi economica e finanziaria. Le cause? Non sono la fatalità o la sfortuna. Il mercato, lasciato a se stesso, ha provocato disuguaglianze e sprechi, non ha funzionato perché privo dei principi di solidarietà, di giustizia. Il mercato è uno strumento – utile, fondamentale – ma non può essere mai un fine. Il fine deve essere la persona, la sua dignità, la sua realizzazione, la sua promozione.
La crisi è stata originata dall’ideologia della globalizzazione senza regole, senza governo. Si è generato così uno squilibrio tra i popoli: la parte ricca si è sentita legittimata a pretendere il diritto al superfluo e quella ai margini è stata condannata alla mancanza dell’essenziale. Le politiche degli aiuti sono state distolte dalle loro finalità e le barriere all’istruzione hanno escluso larga parte del globo dal progresso e dai diritti.
Occorre ricostruire un’etica della libertà e della responsabilità, dei diritti e della solidarietà. Un diverso sviluppo è possibile e deve essere realizzato: deve fondarsi sulla persona, sull’ambiente, perché contro il pianeta non si costruisce un futuro. Il profitto è legittimo ma deve realizzarsi in modo corretto ed avere finalità di sviluppo sociale.
La crisi sta incidendo soprattutto sulla vita dei ceti a più basso reddito e in particolare sulle giovani generazioni, colpite pesantemente dalla precarietà.
Deve preoccupare la politica e le istituzioni il fatto che nel 2009 più di due milioni di ragazzi italiani tra i 15 e i 29 anni, pari al 21% della popolazione giovanile, siano risultati del tutto inattivi: non studiano e non lavorano. Sono privati di qualsiasi ruolo nella società, al di fuori della vita familiare. Il nostro Paese ha in questo ambito un primato europeo in negativo. Sono giovani che hanno perso il lavoro oppure che, terminati gli studi, non trovano uno sbocco nel mercato occupazionale. E quanto più dura questo stato di inattività tanto più hanno difficoltà a rientrare nel mondo della produzione.
Quasi un terzo dei giovani è disoccupato – così si perde speranza e fiducia nel domani.
Secondo l’ultima indagine Istat in Italia il tasso di abbandono scolastico è pari al 19,7%: l’Unione Europea chiede agli Stati membri di portarlo al di sotto del 10%. Le leggi per l’istruzione, l’università, la formazione, la cultura e la ricerca devono essere commisurate a questi obiettivi.
La risposta è quella non di abbattere ma di ricostruire una solidarietà: tra le generazioni, tra giovani e anziani, tra le diverse aree del Paese, tra Nord Italia e Mezzogiorno. La spinta all’esclusione, all’emarginazione, è sempre negativa. È necessario creare una rete, dei legami tra lavoratori privati e pubblici, tra italiani e immigrati, che vivono e lavorano legalmente qui da noi.
È qui che interviene la rivalutazione di politiche pubbliche da rinnovare – come il welfare – per assicurare a tutti una uguaglianza di opportunità, senza la quale il merito diventa non espressione del proprio impegno e della propria creatività, ma di una rendita di posizione. Il mondo ha bisogno nel nostro tempo di momenti di governo globale: la crisi lo ha dimostrato e può rappresentare l’opportunità di una svolta. Se ci sarà un cambio nello sviluppo e nella cultura, nelle priorità della nostra vita, dai beni che si producono, ai consumi, dall’uso dell’energia alla mobilità nelle città.
Il clima, la sfida ambientale, la difesa e l’estensione dei diritti umani, rappresentano un nostro dovere, il nostro orizzonte e non sono affrontabili al di fuori di una cooperazione internazionale che veda un rinnovamento della organizzazione delle Nazioni Unite, e qui, nel nostro continente, il pieno e completo decollo politico dell’Unione Europea.
Noi, voglio dire il nostro Paese, potrà dare il suo contributo, seguendo la via che già la nostra Costituzione, con i suoi valori, traccia: oggi, di fronte all’esplosione in ogni Paese e anche qui di tante diversità (politiche, territoriali, sociali, personali, religiose, etniche, linguistiche); nel venir meno dei partiti che avevano stipulato il “patto costituente”, di questa nostra Costituzione c’è bisogno. Essa rende possibile la pacifica convivenza del pluralismo, divenendo ancor più cemento unificante, principio di coesione e di identità.
E ci mette in condizione di costruire un futuro degno.
Come ha detto il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel messaggio alle Camere nel giorno del suo insediamento alla suprema carica dello Stato, si può parlare di “memoria condivisa” come premessa di una comune identità nazionale, che ha “il suo fondamento nei valori della Costituzione”, il cui richiamo “trae forza dalla loro vitalità, che resiste, intatta, ad ogni controversia”.
La Costituzione, con i suoi principi, è attuale.
Lo è quando ci indica di non chiudere gli occhi di fronte a fenomeni di razzismo, di discriminazione, di violenza contro persone diverse per colore della pelle, religione, genere.
È attuale quando ci sollecita a non arrenderci di fronte al riarmo di tanti Paesi, alla corsa che è ripresa alla diffusione delle armi nucleari, ai tanti conflitti, pensiamo al Medio Oriente, che ancora insanguinano il mondo, allo spreco ingiusto di risorse che servirebbero invece per vincere la fame, le povertà, la sfida del clima e dell’ambiente.
Quando ci indica la scelta senza alternative della legalità e ci chiede un impegno contro la criminalità organizzata, perché mafia, camorra, ‘ndrangheta, siano – come è possibile – sconfitte e debellate.
Quando afferma che il mercato, l’economia non sono divinità assolute di questo nostro tempo, ma devono essere sottoposti a regole, perché il fine – come ho più volte sottolineato – è la persona, la sua dignità e promozione.
Quando ci parla di democrazia, di centralità del Parlamento, cuore del sistema della rappresentanza, del ruolo delle istituzioni regionali e locali.
In questo campo, è vero, occorrono riforme. Sono urgenti. Devono essere realizzate con uno schieramento ampio, non dalla sola maggioranza di governo, dal momento che le istituzioni della Repubblica sono state volute dal nostro popolo, appartengono al popolo a tutti i cittadini. Devono essere coerenti con la Costituzione.
È giusto ad esempio differenziare i compiti di Camera e Senato, ridurre il numero dei parlamentari, rafforzare insieme il ruolo dei governi, che devono però restare di tipo parlamentare.
È giusta la scelta del federalismo per valorizzare i territori, rafforzare la coesione, la solidarietà, avvicinare le istituzioni ai cittadini.
Dobbiamo rendere più forte la democrazia, più efficiente lo Stato, a tutti i suoi livelli, centrale e locale: questo è l’obiettivo di una riforma delle istituzioni. Regioni, Province e Comuni devono avere competenze e risorse per farvi fronte, perché le prestazioni fondamentali devono essere date ai cittadini dal Piemonte alla Sicilia: oggi non è così.
Il compito è quello di continuare a fare dell’Italia una protagonista della costruzione dell’Europa.
Deve essere cambiata la legge elettorale per il Parlamento, che oggi toglie ai cittadini la scelta dei loro rappresentanti e deve essere consentito che alle elezioni amministrative votino anche gli immigrati che da anni vivono legalmente in Italia e sono ancora privati della pienezza dei diritti di cittadinanza.
Vogliamo una democrazia capace di far partecipare e di saper prendere decisioni.
Queste innovazioni sono non solo coerenti con la Costituzione: anzi consentono di farla vivere con più efficacia nel presente.
Piero Calamandrei – lo cito ancora – diceva: “La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica”.
Ai giovani che oggi ricevono la Costituzione, voglio dire: l’Italia, la Repubblica hanno bisogno di voi, della vostra voglia di fare, della fiducia nella possibilità di un futuro migliore, di una società più giusta.
Non ci rinunciate, non vi arrendete, non cadete nella trappola dell’indifferenza e della rassegnazione. Il futuro non è già scritto: siamo noi a scriverlo. Nessuna conquista è data una volta per tutte, neppure la libertà. La libertà si costruisce giorno per giorno.
Dobbiamo, ancor più voi giovani oggi, sentire l’Europa come il nostro destino, viverla con quella passione anche ideale che animò i momenti più alti della nostra storia, quali il Risorgimento e la Resistenza. Per l’Europa unita abbiamo giustamente rinunciato ad aspetti della nostra sovranità: ora dopo il mercato unico, la moneta comune, l’abbattimento delle frontiere, dobbiamo realizzare la cittadinanza europea, l’Unione come grande potenza civile, costruttrice di pace, di nuove relazioni, di cooperazione tra i popoli.
È questa la speranza, l’obiettivo per cui vale la pena d’impegnarsi. Non si tratta – non vi è richiesto – di dedicare ogni minuto della vostra vita alla politica. È richiesto, vi è richiesto di riservare qualche momento anche all’impegno per la vita collettiva, della vostra città, del nostro Paese.
Questo è la politica, con la P maiuscola: dedicare un po’ del proprio tempo agli altri, al bene pubblico, comune.
Ce lo ricorda una frase con la quale il giudice Antonino Caponnetto, protagonista della lotta alla mafia insieme a Falcone e Borsellino, era solito chiudere i suoi incontri con i giovani, nelle scuole e con la quale voglio concludere il mio intervento: “Ragazzi, godetevi la vita, innamoratevi, siate felici ma diventate partigiani di questa nuova Resistenza, la Resistenza dei valori, la Resistenza degli ideali. Non abbiate mai paura di pensare, di denunciare e di agire da uomini liberi e consapevoli”.
È questo l’invito che faccio, in occasione della Festa della Repubblica, a ognuno di voi. A tutti noi.