Promossa da Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro, Sede Provinciale di Firenze)
Firenze, Palazzo Vecchio, Salone dei Cinquecento
”Ringrazio voi tutti per essere intervenuti. L’intento della celebrazione di oggi – come ogni anno – è innanzitutto quello di ricordare le migliaia di persone che muoiono ogni anno in incidenti sul lavoro; essere vicini a coloro che rimangono feriti gravemente, mutilati e invalidi per il resto della loro vita, e a tutti i familiari.
Ricordare perché tragedie del genere non si ripetano.
Un grave incidente deve essere solo frutto di una imponderabile coincidenza, non un rischio da mettere in conto per le condizioni di lavoro, i ritmi, la non sicurezza, la non adeguata preparazione nella utilizzazione di macchinari nuovi.
Dobbiamo dire basta alle morti sul lavoro. Sono intollerabili. Le leggi che ci sono devono essere rispettate, attuate con rigore.
È essenziale il controllo dello Stato ma al tempo stesso e prima ancora l’attenzione costante delle imprese, dei loro dirigenti, dei lavoratori e dei loro rappresentanti.
La normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro esiste: deve essere applicata e fatta rispettare in ogni sua parte, non certo allentata, come ha recentemente affermato Tremonti. Il ministro ha sostenuto come gli adempimenti previsti dal Testo Unico per la sicurezza siano “fondamentali e inviolabili per la grande industria”, ma costituiscano una “eccessiva burocrazia” nei confronti della piccola impresa. Perché “un conto è la grande industria, un conto è la piccola, minima impresa”. La verità dice il contrario: la maggior parte degli incidenti sul lavoro si verifica nelle piccole aziende. È lì che la sicurezza deve essere rafforzata. Ridurre le garanzie significherebbe rendersi responsabili di una crescita degli incidenti, delle morti, delle invalidità. I lavoratori sono persone, nelle grandi come nelle piccole aziende.
Gli incidenti sul lavoro sono inaccettabili per una società avanzata che vuole dirsi civile e democratica.
Nel 2009 sono morte sul lavoro 1.050 persone (dati Inail). Il fatto che questo numero sia diminuito del 6,3% (70 decessi in meno) rispetto all’anno precedente è solo un piccolo passo in avanti: dobbiamo fare molto di più.
Anche perché dobbiamo considerare che la diminuzione è dovuta in parte alla crisi economica che ha ridotto del 3% il tempo di esposizione al rischio, producendo un calo degli occupati (-1,6% secondo l’Istat) e delle ore effettivamente lavorate.
Emergono sempre più, e questo è un dato importante, le denunce relative alle malattie professionali: sono cresciute del 16%.
E nel raffronto con l’Europa, l’Italia registra un risultato più elevato rispetto alla media Ue.
In Toscana gli incidenti sul lavoro nel 2009 registrano un -8,6% e per quanto riguarda gli infortuni occorsi a lavoratori stranieri si è registrato un decremento pari al 12,1%.
Anche per quanto concerne gli eventi mortali si nota una flessione, molto più alta rispetto al dato nazionale: -16,3% .
Per quanto riguarda le malattie professionali vi è un incremento rispetto al 2008 pari a un +22%. Sono aumentate le denunce e sono aumentate le malattie riconosciute dall’INAIL già in prima istanza. Vi è una maggiore sensibilizzazione e informazione nei confronti dei lavoratori circa i loro diritti.
La diminuzione degli eventi infortunistici va attribuita qui in Toscana alle politiche prevenzionali attuate negli ultimi anni e alla conseguente maggiore sensibilità dei lavoratori e dei datori di lavoro sui temi della sicurezza, ma anche agli effetti negativi della crisi, così come è accaduto sul piano nazionale.
Il fatto che noi oggi possiamo registrare una diminuzione degli incidenti sul lavoro, una inversione di tendenza, è sicuramente molto importante. Tuttavia anche un solo incidente grave sul lavoro, anche un solo caduto sul lavoro, è motivo di fortissimo rammarico e di viva preoccupazione. Che sia cambiata la tendenza, che si stia andando verso una riduzione del numero degli incidenti, è positivo: è il nostro ed il vostro obiettivo, ed è anche l’obiettivo dell’Europa. E se in questo campo riusciremo ad essere all’avanguardia, ad andare rapidamente più avanti rispetto agli altri Paesi europei, sarà un motivo di vanto per il nostro Paese.
Guardiamo anche con speciale considerazione, a come cadono molto più spesso lavoratori immigrati. L’irrigidimento della normativa sui migranti – soprattutto con l’introduzione dal 2009 del reato di immigrazione clandestina – i pregiudizi che molti immigrati regolari si trovano a dover affrontare. La mancanza di tutele, l’essere più stretti dal bisogno e spinti dalla disperazione anche ad accettare di lavorare senza le garanzie minime di sicurezza, tutto ciò è un problema nel problema, che deve ricevere l’attenzione solidale da parte di tutti noi.
Molte sciagure si sarebbero potute evitare, così come l’80 per cento delle 358 vittime del lavoro dei primi otto mesi del 2010 (dati Osservatorio infortuni sul lavoro Vega Engineering mesi gen-ago 2010).
Si muore, infatti, sempre allo stesso modo e per le stesse cause. L’aspetto della prevenzione e dell’educazione – che è parte della prevenzione – sono essenziali.
Per una drastica riduzione degli infortuni mortali sarebbe sufficiente che le aziende adottassero le seguenti regole: individuare le situazioni più pericolose; adottare le misure di sicurezza; formare tutti i lavoratori; verificare l’applicazione delle misure di sicurezza.
È doveroso rendere all’ANMIL il riconoscimento che merita per la preziosa opera svolta nella prevenzione, nella riabilitazione e nel sostegno alle vittime di incidenti, nella vicinanza ai familiari dei caduti sul lavoro.
L’ANMIL contribuisce a diffondere la consapevolezza su queste problematiche e a sviluppare un impegno per dare soluzioni che migliorino le condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro.
È una causa fondamentale, e voi rappresentate la più forte associazione europea che opera in questo campo: per numero di iscritti e per capacità di autofinanziamento.
Inestimabile è anche il lavoro di raccolta dati che l’ANMIL svolge cercando di dare un nome, un volto, una storia ai tanti, troppi, che muoiono quasi ogni giorno, perché non siano solo freddi numeri di una statistica.
Le cronache ci narrano di drammi che si ripetono con cadenza quasi quotidiana. Uomini che perdono la vita nelle cisterne, asfissiati, perché l’aria interna non è stata bonificata, per incuria o violazione delle norme antinfortunistiche. Persone mandate allo sbaraglio a svolgere interventi, senza essere adeguatamente informate sui rischi di esalazione e quindi debitamente protette. E troppo spesso accade che gli operai in difficoltà richiamino l’attenzione dei colleghi che, per andare a soccorrerli, vanno incontro alla medesima morte. In 4 anni 35 operai sono morti per asfissia.
Lo stesso Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha espresso la sua forte indignazione e ha denunciato le “gravi negligenze nel garantire la sicurezza dei lavoratori”.
L’edilizia si conferma come settore a più alto rischio, visto che circa il 70% dei lavoratori perde la vita per cadute dall’alto di impalcature. Fra le cause seguono il ribaltamento del trattore in agricoltura e gli incidenti stradali nel trasporto merci per le eccessive ore trascorse alla guida. L’età media di chi perde la vita sul lavoro è di circa 37 anni. Ogni incidente, visto che la vita media maschile è di 79 anni, comporta una perdita di vita pari a 42 anni.
In pericolo sono più gli uomini delle donne.
Da notare poi che la percentuale media delle denunce per infortunio tra i lavoratori immigrati è molto simile a quella dei decessi. Un’uguaglianza anomala, che indica come molti infortuni di stranieri non vengono denunciati, spesso per timori legati alla loro irregolarità.
Per la collettività, il costo annuo degli incidenti sul lavoro ammonta a quaranta miliardi di euro.
È solo uno dei dati contenuti nel “Rapporto Italia 2010” dell’Eurispes.
Considerando un costo per singolo infortunio sul lavoro di circa 50mila euro – si legge nel dossier – nel 2008 i costi economici e sociali hanno superato i 43,8 miliardi di euro (2,8% del Pil italiano dello stesso anno).
Dati alla mano, sostiene l’Eurispes, la riduzione del numero di incidenti genererebbe un notevole risparmio economico: si parte dai 438 milioni di euro nell’ipotesi di diminuzione dell’1% del numero di infortuni fino ad arrivare a 4,4 miliardi se gli incidenti diminuissero del 10%.
L’Italia ha bisogno di un grande cambiamento culturale e politico: la piena tutela dei lavoratori, la dignità della persona, il rispetto della legalità devono divenire principi portanti della nostra società, a tutti i livelli.
Il forte e instancabile monito del Presidente Napolitano contro i continui e ripetuti decessi sul luogo di lavoro ci accompagna ormai da anni. Il tema della sicurezza gli è caro e ne ha fatto una bandiera del suo settennato.
La legge 626 sulla sicurezza non è un lusso, dobbiamo stare attenti e tenere ferme le conquiste nostre e dei nostri padri.
In molte aziende si vuole velocizzare la produzione e aumentare il guadagno a scapito della sicurezza; ebbene, questa cultura del rendimento a tutti costi, anche a prezzo di alti sacrifici umani, va sconfitta, perché spesso è alla base di inadempienze e di trascuratezze che provocano incidenti fatali.
Sono convinto che solo in questa direzione possa maturare una consapevolezza, una coscienza collettiva: è importante che tutti i cittadini, qualunque cosa facciano nella vita, nella società si sentano partecipi di questo impegno comune.
Solo un nuovo equilibrio tra legislazione e negoziazione può permettere di reggere gli effetti della globalizzazione sulle condizioni di lavoro, la contrattazione da sola non basta. Stato e Società si devono dare la mano. Diritti, partecipazione e sussidiarietà si devono dare la mano.
Solo così possiamo tenere insieme il Paese.
I dati sulla sicurezza sono sempre seri e delicati. E questo tema resta comunque aperto e doloroso.
Le istituzioni e gli altri soggetti responsabili dal canto loro debbono mantenere il loro impegno sul fronte della sicurezza.
Gli indubbi progressi conseguiti a tale proposito nell’ultimo mezzo secolo non possono infatti giustificare alcuna caduta di impegno delle istituzioni e degli altri soggetti responsabili, a fronte del ripresentarsi, in condizioni nuove, di problemi e pericoli non meno gravi che nel passato.
L’approvazione del Testo unico sulla salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro (legge 123, 3 agosto 2007) è stata un punto fermo nella battaglia a difesa dei diritti dei lavoratori e ha dato nel tempo buoni frutti: riduzione del numero di morti e incidenti, più controlli e pene pesanti e fattive nei confronti dei datori di lavoro che sfruttavano il lavoro nero e non facevano rispettare le norme di sicurezza.
Noi pensiamo che i Paesi emergenti debbano progressivamente avvicinarsi agli standard dell’Europa, anche per garantire, nella globalizzazione, una competitività regolata. Non siamo noi a doverci avvicinare ai loro canoni.
Il governo sta invece procedendo sulla strada di una “controriforma del lavoro”.
L’iter del Ddl lavoro ne è un esempio. Dopo essere stato rinviato al Parlamento da parte del Presidente della Repubblica è ora nuovamente all’esame della Camera. Il testo contiene norme regressive per i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.
Non possiamo e non dobbiamo allontanarci dal solco tracciato negli anni passati.
Siamo nell’imminenza delle celebrazioni del Centocinquantesimo Anniversario dell’Unità d’Italia e possiamo affermare con le parole del Presidente Napolitano che il Paese è cambiato si è trasformato “soprattutto grazie al lavoro, al lavoro nell’impresa, anche tante volte al lavoro autonomo. Quindi, fare la storia dei centocinquant’anni dell’Unità d’Italia significa anche in particolare fare la storia del lavoro italiano con i suoi meriti, le sue prove, le sue eccellenze, le sue durezze, e anche con le sue vittime, anche con i suoi costi umani”.
Il tema del lavoro è il cuore. Non è un caso che l’articolo uno stabilisca che: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.
Un giorno la sicurezza dovrà rappresentare un aspetto normalissimo, automatico, addirittura scontato della vita lavorativa. In quel momento gli incidenti sul lavoro saranno diventati una rarissima eccezione (perché l’imponderabile non possiamo eliminarlo totalmente dalle vicende della vita), un’eccezione che comunque dovremo cercare di prevenire con tutte le nostre forze. Occorre impegnarsi a raggiungere questo obiettivo: con le leggi, regole, risorse, responsabilità, coerenza nei comportamenti. Ponendo non a parole il valore della vita, della persona, al di sopra di tutto il resto.
Se quel giorno arriverà dipende da noi e dal nostro impegno. E quando sarà potremo finalmente dire che la nostra società è civile e veramente progredita. Perché spesso confondiamo lo sviluppo con il semplice andare avanti. Per andare avanti basta camminare, per progredire serve di più.
Togliamoci di dosso il giogo delle morti bianche, degli infortuni e della mancanza di sicurezza sul lavoro, e smetteremo di girare in tondo. E potremo allora finalmente incamminarci sulla strada dritta di un vero e compiuto progresso sociale.
È un dovere per noi e un impegno. Ognuno deve mettercela tutta, non delegare agli altri o alle sole istituzioni.
Solo allora raggiungeremo un traguardo di civiltà e vivremo in una società più a misura delle persone”.
