Secondo le proiezioni sulle conseguenze del riscaldamento climatico, continuando a inquinare come abbiamo fatto finora, nel 2100 le temperature medie saranno cresciute di 5 gradi rispetto al 2000.
Le conseguenze previste sono: allagamenti delle zone costiere, perturbazioni più violente di quelle che già oggi provocano morti e danni ingenti, desertificazioni in alcune regioni e eccesso di umidità in altre. Queste sono solo alcune delle previsioni. Nessuno è in grado di stabilire con certezza quanti danni ci dobbiamo aspettare. Sul tema il dibattito è ricco di pareri differenti. Ma l’ipotesi di una catastrofe è concreta. Questo, insieme ai danni da inquinamento che già oggi sono evidenti, deve essere uno stimolo sufficiente per varare politiche di riduzione dell’impatto ambientale. Una drastica diminuzione delle emissioni di gas serra è possibile e non è vero che danneggi pesantemente l’economia. Occorre inoltre considerare quanto dicevo nel blog della settimana scorsa: il Pil non è tutto, dobbiamo anche valutare la qualità della vita e del mondo in cui viviamo. Ne va della nostra salute.
I metodi per ridurre i danni all’ambiente sono diversi. Uno consiste nell’imporre regole che mettano un freno ai comportamenti dannosi: per esempio i limiti sulle sostanza tossiche che si immettono nell’aria o nelle acque. È la strada percorsa già dagli anni 70.
Un altro metodo consiste nell’attribuire un costo all’attività inquinante e ai danni prodotti. Questo approccio può portare a una tassa sull’inquinamento o al cosiddetto “cap and trade”: la concessione limitata di permessi a emettere sostanze tossiche. Queste autorizzazioni possono essere negoziate e scambiate tra le aziende a seconda delle loro esigenze, ma il totale delle emissioni concesse resta fermo.
L’esperienza ci dice che questi metodi hanno prodotto risultati tangibili. Negli Stati Uniti, per esempio, una legge basata sul criterio del “cap and trade” ha prodotto il dimezzamento delle emissioni di anidride solforosa da parte delle centrali elettriche, a costi più che accettabili e con una diminuzione del prezzo dell’elettricità per gli utenti.
Secondo un’analisi basata sulle stime disponibili, una politica del clima più forte di quelle messe in atto o proposte attualmente, comporterebbe una contrazione del Pil mondiale tra l’1 e il 3%. Un prezzo sostenibile per un mondo migliore per noi e per chi verrà dopo.
Gli studi tengono conto anche della tendenza di ciascuno a fare la scelta migliore in base al contesto economico: le imprese troveranno il modo meno costoso per produrre e le persone diminuiranno alcuni tipi di consumo.
Inoltre, accanto a misure di contenimento, vi dovrà essere lo sviluppo di quell’economia verde che rappresenta la vera speranza di futuro. La green economy già oggi ha un grosso potenziale in termini di occupazione e una politica di forti investimenti nella ricerca può portare a risultati sorprendenti nella produzione di energia da fonti rinnovabili.
Senatore Chiti, da quel che ne so io è l’energia geotermica la principale fonte di energie rinnovabili che viene utilizzata in Italia. E l’utilizzo di quella solare è agli ultimi posti. Non le sembra paradossale per un Paese come il nostro non sia l’energia solare ad essere più sviluppata rispetto alle altre rinnovabili ?
E’ lo Stato che dovrebbe investire di più sulle rinnovabili, e purtroppo non fa niente. Anzi, questo governo ci parla di nucleare e per giunta di nucleare con tecnologia ormai superata. Di questo passo l’Italia continuerà ad essere fanalino di coda in Europa anche per quanto concerne lo sviluppo sostenibile. Che vergogna.
Eh, Sante Parole!
L’Italia dovrebbe rifiutare il nucleare (Berlusconi permettendo) e investire i soldi totalmente nella ricerca e nelle energie rinnovabili. Servono scelte radicali e con tutto il rispetto senatore questa classe politica non sembra adeguata per questo tipo di politiche. Lei è l’unico che parla di green economy.
L’italia sta già facendo tanto sulle energie rinnovabili. Il fatto è che bisogna informarsi per conoscere le cose e a volte qualcuno non lo fa. Sul sito del ministero per lo sviluppo economico si legge testualmente:
il settore fotovoltaico nel nostro Paese ha raggiunto un nuovo record superando la soglia di un GigaWatt di potenza installata.
Gli impianti certificati in funzione sono circa 70.000, con un produzione di 1.300 GWh all’anno, e possono fornire energia elettrica a quasi 500.000 famiglie, pari a 1,2 milioni di persone.
Con il primo “conto energia”, il sistema di incentivi per la diffusione degli impianti fotovoltaici sono stati promossi impianti per una potenza complessiva installata di 165 MW. Considerando la potenza installata in un anno, l’Italia raggiunge ora il secondo posto nella classifica dei Paesi europei, preceduta solo dalla Germania.
Io da profano, ignorante che si occupa di tutt’altro dico che la scienza ha grandi potenzialità. la storia insegna che la scienza è capace di “miracoli”, se tutti i governi si mettessero d’accordo per fare grandi investimenti su diversi anni, forse cambiamo il mondo
Ciao Maurizio, sulla base delle statistiche più diffuse l’Italia non è agli ultimi posti nelle graduatorie mondiali sulla produzione di energia solare. Tuttavia, come sottolinei tu, le caratteristiche geografiche del nostro paese costituiscono uno straordinario patrimonio, grazie al quale potremmo essere primatisti nel settore dell’energia fotovoltaica. Così non è: in Europa tra i paesi più virtuosi c’è Germania, che ha condizioni climatiche certamente meno favorevoli. L’Italia dovrebbe seguire l’esempio della Spagna, che sfrutta meglio di noi la grande quantità di energia solare disponibile ed è un paese leader.
Il fotovoltaico, come altri settori delle rinnovabili, ha grandi margini di crescita. Se ci crediamo, dobbiamo dimostrarlo concretamente: dobbiamo supportare la ricerca, attraverso i finanziamenti ma non solo. Serve un clima positivo e stimolante da parte di tutto il paese, in modo tale da valorizzare i migliori ricercatori e gli istituti virtuosi; dobbiamo dare visibilità al lavoro dei più meritevoli, farne conoscere gli sforzi e i risultati. È molto importante far crescere nei cittadini la conoscenza del settore dell’energia prodotta da fonti rinnovabili e dei benefici per l’ambiente che ci ospita.
Caro Yuri, dice bene lei: questo governo propone un piano energetico farraginoso, ricco di incertezze e soprattutto fondato su tecnologie superate. Nel settore del nucleare il futuro è nella cosiddetta quarta generazione: reattori molto più sicuri ed economici, in grado di moltiplicare la capacità di sfruttamento del combustibile e di riutilizzare le scorie, materiale molto pericoloso il cui smaltimento è un problema ancora non risolto in tutto il mondo.
Le centrali programmate dal governo Berlusconi – peraltro senza che ancora siano stati individuati i siti e con l’evidenza del fatto che questa scelta sarà estremamente difficoltosa – saranno invece costruite secondo i criteri tecnologici della terza generazione.
A prescindere dall’eventuale ritorno al nucleare in Italia, il nostro paese ha bisogno di un piano complessivo che dia il via a uno sviluppo nuovo, incentrato sulla sostenibilità e sul rispetto per l’ambiente e per le risorse naturali, sulla vivibilità delle città e il giusto rapporto tra spazi edificati e paesaggi incontaminati.
Cara Simona, la riduzione delle emissioni dannose è una necessità, una strada inevitabile se non vogliamo distruggere la Terra definitivamente. Partendo da questo presupposto, dovrebbe essere una priorità di tutti i governi e delle organizzazioni internazionali l’individuazione dei metodi migliori in termini di risultati e sostenibilità economica. Qualcosa è stato fatto negli ultimi anni, ma non basta. Le diverse esigenze hanno portato a differenze di vedute troppo forti perché si possa entrare in una nuova epoca.
Eppure i risultati fin qui raggiunti dovrebbero fungere da forte stimolo: l’esempio del sistema “cap and trade”, che negli Stati Uniti ha prodotto il dimezzamento delle emissioni di anidride solforosa da parte delle centrali elettriche, dimostra che la il sistema produttivo, se stimolato, può trovare soluzioni più sostenibili.
Diamo fiducia alla scienza, finanziamola e impariamo tutti a tenere comportamenti più corretti, le emissioni dipendono anche dalle piccole azioni di ciascuno di noi.
Caro Martino, io penso che il nucleare sia un’opzione da non scartare a priori, da considerare in parallelo allo sviluppo dell’energia da fonti rinnovabili. Nel settore del nucleare la ricerca ha diversi progetti di sviluppo, alcuni in corso di realizzazione, e le prospettive che potrebbero aprirsi sono interessanti. Il progetto di passare dalla fissione alla fusione – con l’eliminazione delle scorie – purtroppo è ancora una prospettiva molto lontana nel tempo. Esiste però il nucleare di quarta generazione che potrebbe diventare realtà in pochi anni, con centrali nucleari in grado di ottimizzare in maniera esponenziale l’utilizzo del combustibile e di riutilizzare le scorie nucleari.
Il governo Prodi aveva riportato l’Italia nel gruppo di ricerca per il nucleare di quarta generazione. Questo è il dovere di un paese che programma il suo futuro: partecipare alla ricerca sulle tecnologie migliori nei diversi settori di produzione dell’energia: le rinnovabili e il nucleare “pulito”.
Non sono d’accordo sull’ultimo punto: la green economy è un punto importante del programma politico del Partito Democratico: un partito progressista ha il dovere di puntare alla crescita di un settore che può portare grandi miglioramenti nel rispetto per l’ambiente e tanti nuovi posti di lavoro.
Ciao Controcorrente, i dati positivi che riporti confermano che l’Italia non è fanalino di coda nella produzione di energia solare, il lavoro fatto negli ultimi anni dai governi e dai centri di ricerca ha portato a risultati parzialmente soddisfacenti. Ma possiamo e dobbiamo fare di più: le potenzialità offerte dal nostro territorio sono tali per cui l’Italia deve aspirare a diventare un paese leader e modello, non solo uno dei tanti che si dà da fare.
La Germania ha saputo guardare lontano già venti anni fa: la legge tedesca sulle fonti rinnovabili nacque nel 1991 e ha sostenuto lo sviluppo mediante il riconoscimento di tariffe incentivanti per i produttori di energia pulita. Oggi la Germania è il paese leader mondiale nell’esportazione delle tecnologie ad energia rinnovabile.
La Spagna ha saputo seguire questa strada e oggi è anch’essa leader del settore, cosa abbiamo da invidiare noi se non delle politiche più lungimiranti?
Dunque, è giusto apprezzare i risultati positivi che abbiamo raggiunto, ma non fermiamoci qui e puntiamo molto più in alto.
Bravo Carmelo, è questo l’approccio giusto. Cambiare il mondo è possibile: lo dimostrano i piccoli progressi compiuti finora con altrettanto piccole politiche avvedute, nonché i grandi progressi compiuti dall’umanità grazie alla scienza. Si può fare molto di più. Da una parte le regole stringenti possono incentivare comportamenti maggiormente virtuosi, dall’altro la ricerca può rendere la produzione e i trasporti meno inquinanti, creando tanti nuovi posti di lavoro.
Ciò che è importante, come correttamente sottolinea lei, è l’unità d’intenti tra i governi e le organizzazioni internazionali. Molti risultati positivi possono anche arrivare dal basso, attraverso una maggiore consapevolezza da parte dei cittadini.