La proposta di legge sullo Ius soli prevede che può diventare cittadino italiano chi è nato in Italia da genitori stranieri, se almeno uno dei due ha un diritto di soggiorno permanente, nel caso di cittadini dell’Unione Europea, o il permesso di soggiorno di lungo periodo, nel caso di persone proveniente da paesi extra europei. È questo secondo caso quello su cui dobbiamo soffermarci. Il permesso di soggiorno di lungo periodo viene rilasciato solo a chi ha da almeno 5 anni un permesso di soggiorno “ordinario”, un reddito non inferiore all’importo dell’assegno sociale, un alloggio che rispetti determinati requisiti di legge, abbia superato un test di lingua italiana. Stiamo parlando di bimbi che vivono stabilmente in Italia, figli di persone che ci abitano e lavorano da tempo in condizioni almeno dignitose.
Un’altra strada per diventare cittadini italiani, secondo la legge che vorremmo approvare: il minore straniero che sia nato in Italia o sia entrato nel nostro paese entro i primi 12 anni di vita, acquista la cittadinanza a condizione che abbia frequentato almeno 5 anni di scuola presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione. 5 anni di scuola, non 5 giorni o mesi.
In entrambi i casi, per chiedere e ottenere la cittadinanza, serve una dichiarazione di volontà del genitore residente in Italia. Nessun automatismo.
Pensare che lo Ius soli possa aprire le porte all’immigrazione indiscriminata è in molti casi frutto di malafede, ma a volte anche di una comprensibile preoccupazione di chi, impegnato ogni giorno con le fatiche del lavoro, la gestione della famiglia e delle tante difficoltà di questi tempi, non abbia potuto approfondire i contenuti della legge. Anche per questo voglio condividere questa mia riflessione.
La legge sullo Ius soli è un provvedimento di civiltà. Ogni giorno che passa senza la sua approvazione ci macchiamo di una responsabilità seria: negare diritti a persone che già fanno parte della nostra comunità, della nostra vita quotidiana.
Il tema purtroppo ha assunto un collegamento con la vicenda dei migranti, che arrivano in grande quantità sulle nostre coste, in cerca di salvezza e speranza verso l’Europa. È da una parte una forzatura frutto di campagne strumentali della destra; dall’altra un motivo in più per approvare la legge prima possibile.
È una falsità priva di fondamento la tesi secondo cui l’introduzione dello Ius soli sia un incentivo, un abbassare la guardia rispetto al flusso dei migranti. Nessun bambino nato più o meno per caso durante o subito dopo uno sbarco in Italia acquista la cittadinanza. Ciò di cui ha diritto sono dignità, assistenza, rispetto. Ma la cittadinanza è un’altra cosa.
Se vogliamo assumere impostazioni più rigorose sugli arrivi dei migranti, chiedendo all’Unione Europea di fare la sua parte, abbiamo il dovere di riconoscere diritti fondamentali a chi vive da tempo con noi. Sono aspetti inseparabili, due facce della stessa medaglia. Non possiamo gestire in modo rigoroso le migrazioni, seppure entro i canoni della massima solidarietà e in un’ottica di progresso e sviluppo per tutti, e allo stesso tempo trattare come cittadini di serie B le persone pienamente inserite nel nostro paese. Sarebbe altrettanto insufficiente riconoscere questi diritti ma lasciare che negli sbarchi dal Nord Africa l’Italia sia lasciata da sola. Il disegno non può che essere unitario.
È necessario che i partiti, i singoli esponenti politici, il Parlamento, i cittadini riflettano bene su questo tema importante così da giungere ad una buona legge, che segni un avanzamento per tutti. Si dice spesso che ci sono argomenti più urgenti: governo e Parlamento hanno tutti gli strumenti per affrontare allo stesso tempo questioni di massima importanza legate al lavoro, all’economia, al sociale, alla giustizia e anche ai diritti. Libertà e democrazia sono incompatibili con regimi di apartheid, nei quali i diritti per alcuni si trasformano in privilegi e per gli altri esiste un destino di sottomissione.