Di: Angelo Picariello
“Non vedo nessun obbligo di dimissioni per Lotti. Le indagini sono solo all’inizio, eviterei giudizi frettolosi, o il garantismo a corrente alternata”, dice Vannino Chiti. L’ex ministro, ed ex presidente della Toscana, si è ritagliato, nel Pd, un ruolo di mediazione: vicino alle posizioni della minoranza, ha votato per il sì al referendum. E ora dice no alla scissione schierandosi con Andrea Orlando. “Sono preoccupato per le sorti dell’Italia. E l’unità del Pd è un bene da salvaguardare nell’interesse del Paese”.
Lotti non dovrebbe dimettersi, quindi?
Non si può oscillare nei giudizi a seconda se si tratti del sindaco di Parma o di Roma. Del Pd o di M5s. Si deve dare alla magistratura il tempo di operare, evitando fughe di notizie. Ma se emergeranno responsabilità non saremo lì a difendere commistioni. Il Pd è sempre stato drastico con i suoi, anche troppo, penso al caso del ministro Idem.
Nel Pd non tira una bella aria.
Avrei voluto una conferenza programmatica per cercare di unire, rinviando il congresso all’autunno. Un congresso alto nei contenuti e civile nel confronto, altrimenti il rischio della rissa e dell’involuzione diventa molto serio. Non solo per il Pd.
Dal personalismo allo scontro fra persone?
Un congresso del genere farebbe solo danni, perciò ho scelto di appoggiare Andrea Orlando, che ha messo quest’esigenza al centro della sua impostazione. Condivido inoltre l’esigenza che pone di tener distinta la figura del candidato alla segreteria dal candidato premier. Per cui le primarie andrebbero tenute solo fra gli iscritti. Altra cosa sono le primarie per la guida della coalizione.
Ma allora bisogna cambiare lo statuto del Pd.
Certo. Alla prima assemblea utile dovrebbe insediata un’apposita commissione per rivederlo, anche in altri aspetti delicati, come il tesseramento.
L’esito del referendum ha chiuso una fase.
Ho votato sì, ma ora va razionalizzata la sconfitta. Ormai la legislatura volge verso la scadenza naturale, c’ è tempo per apportare modifiche al sistema. A partire dalla legge elettorale, per favorire che ci sia un governo, dopo il voto. Dovrebbe essere preoccupazione di tutti, sennò l’Italia precipita.
Che soluzione propone?
O il modello tedesco puro, oppure un sistema che, mantenendo lo sbarramento al 5 per cento come in Germania, preveda collegi uninominali e un premio di governabilità del 10 per cento per il partito, o la lista, che arriva prima.
Ma anche così non ci sarebbero garanzie che dalle elezioni esca una maggioranza chiara.
Può darsi,ma chi arriva primo dovrà prendere l’iniziativa. A quel punto potrà anche aprirsi uno scenario di Grande coalizione il cui confine sia l’europeismo. Il che non vuol dire accettare l’Europa così com’è, ma avere la volontà comune di cambiarla, senza rifugiarsi nel sovranismo nazionale. Se non vince nessuno non si può rivotare dopo 60 giorni. Il Paese precipiterebbe.
Ma sulle riforme vede ancora spazi?
Anche chi ha votato no si è detto disposto a piccole modifiche. Andrei quindi a riprendere due proposte della commissione Jotti-De Mita. Per introdurre una sola fiducia, Camera e Senato insieme, e la sfiducia costruttiva, come in Germania e Spagna. Una mini-riforma che porterebbe grande semplificazione dando una mano alla stabilità. Sono d’accordo in tanti, da D’Alema a Quagliariello. Volendolo, la si può fare in poco tempo.
Non esclude quindi un premier super partes?
Non dobbiamo non rassegnarci alla scissione, dobbiamo costruire ponti, avendo come obiettivo l’unità del centrosinistra, cui punta anche l’operazione Pisapia. Ciò detto l’obiettivo finale è il bene dell’Italia, e dobbiamo anche guardare a soluzioni istituzionali che in altri Paesi europei hanno funzionato. Perciò dico che sarebbe irresponsabile andare a votare con le leggi modificate dalla Consulta.
Intanto urgono misure economiche da brividi.
Gentiloni su questo ha dato indicazioni molto valide. Sulla tassazione del lavoro, sulle povertà, sui voucher. C’è tutt’un lavoro da fare e grandi appuntamenti internazionali in Italia da onorare.