CHITI (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CHITI (PD). Signor Presidente, ho chiesto di parlare anche se non ne avevo intenzione, perché gli interventi che ho ascoltato questa mattina, dei senatori Crimi, D’Alì e Cervellini, alla fine offrono l’opportunità di un confronto nel merito. Penso che quello che dirò non convincerà né il senatore Crimi, né il senatore D’Alì, come loro non mi hanno convinto con il loro intervento, ma si tratta almeno di valutazioni che consentono di discutere nel merito. Occorre chiedersi dunque che cosa si vuole da questa riforma. Ciò che si vuole è superare il bicameralismo paritario, facendo in modo che sia solo la Camera dei deputati a dare la fiducia al Governo, e si vuole che il Senato abbia alcune funzioni e competenze: ci sarà occasione per tornarci. Si vuole che si mantengano alcuni equilibri costituzionali e il fatto che due giudici della Corte costituzionale vengano eletti autonomamente dal Senato della Repubblica, non è qualcosa che dà una prerogativa o un «distintivo» al Senato o ai futuri senatori, ma vuol dire che, dei cinque giudici costituzionali che saranno eletti dal Parlamento, due saranno espressione delle minoranze. Se invece il Senato eleggesse i giudici costituzionali votando insieme alla Camera dei deputati, alla luce delle leggi elettorali esistenti, questo risultato non sarebbe stato certo, anzi sarebbe il contrario. Si vuole dunque – almeno io l’ho sempre voluto – che ci sia un ruolo importante da parte dei cittadini.
Ieri il senatore Tremonti ha svolto in proposito alcune considerazioni, che condivido. È vero quello che dice la senatrice Finocchiaro – su questo abbiamo avuto tante discussione in questi mesi – ovvero che in Europa ci sono alcuni Parlamenti eletti in modo diverso: uno di questi, in particolare, è il Bundesrat, ma ciò avviene attraverso un automatismo. È vero tuttavia che, secondo me, come diceva il senatore Tremonti, in questo momento viviamo in un’ altra fase, sia in Italia sia in Europa, in cui si pone un problema di rapporto tra cittadini e istituzioni, tra la partecipazione dei cittadini alle scelte e i loro rappresentanti nelle istituzioni, che non conviene indebolire, proprio perché è entrata nella nostra vita quotidiana – ed entra anche nella vita delle istituzioni – la nuova era informatica, per cui, ad esempio, se in una Regione si fanno dei forum per discutere delle questioni, ci sono anche 30.000, 40.000 o 50.000 cittadini che vi partecipano.
La questione da porsi è dunque che fare, una volta che il comma 2 dell’articolo 2 non è emendabile, se davvero non si vuol cominciare da capo, dal momento che si può sostenere la necessità di riscrivere il comma 2, ma certamente il percorso della riforma avrebbe un altro esito e su questo non sono d’accordo. Se dunque si agisce sul quinto comma dell’articolo 2, c’è una soluzione migliore, più avanzata e più concreta di quella che è stata individuata? Mi permetto di leggere il testo della Costituzione, così come risulterebbe dall’approvazione dell’emendamento 2.204 (ci sarà occasione di parlarne in seguito): «La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti, in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi». Allora, collega Crimi e collega d’Alì, come esprimono i cittadini elettori le scelte per i candidati consiglieri quando si rinnovano i Consigli regionali? Battendo le mani, facendo segnali di fumo, oppure con una scheda su cui mettono il voto? Mi pare che lo facciano con una scheda su cui mettono il voto.
Questo è il problema, e voglio anche dire sinceramente ai colleghi che la volta scorsa hanno fatto una battaglia, che sono convinti di questo, che se anche ci fosse l’un per cento di incertezza – e non c’è – se non si vuole fare polemica politica ma si vuole invece raggiungere un obiettivo, l’interesse dovrebbe essere quello di dire: di più, è scritto in modo così chiaro che è certissimo che sono i cittadini elettori che eleggeranno. È così. Lo ripeto: è così, perché una volta che i cittadini hanno deciso con il loro voto cosa potranno fare i Consigli regionali quando si riuniranno? Cosa fa il Parlamento della Repubblica quando si riunisce? I Consigli regionali rimetteranno in discussione il voto espresso dai cittadini o dovranno prenderne atto? Immaginate un Gruppo, un partito, un consigliere che in Consiglio regionale alzi la mano e dica: è stato eletto Crimi ma mettiamoci Chiti (se fossimo nello stesso partito).
Non esiste, e se pensate che sia così, allora davvero secondo me parliamo proprio di questioni diverse; pensiamo di essere in uno Stato del tutto diverso. Con questo emendamento si è definito chi decide, ovvero i cittadini con il loro voto. E quando? Quando appunto si rinnovano i Consigli regionali. È tutto risolto (mi rivolgo a lei, senatore Cervellini)? No, certo che non è tutto risolto. Su questo, allora, dovremmo confrontarci se vogliamo migliorare e dobbiamo farlo adesso, anzi domani perché avverrà domani, perché se acquisiamo questa impostazione, ciò che si dovrà definire sono i tempi della legge elettorale nazionale.
Che cosa impedisce al Senato e alla Camera di prendere un impegno serio e severo; di dire che in questa legislatura si fa la legge elettorale nazionale, e che siamo noi a doverla fare? Noi Dobbiamo concorrere. Non si può fare? Che cosa lo impedisce? Il nostro modo di lavorare?
C’è certamente il problema di farla rapidamente perché ad essa si riferiranno le Regioni; c’è da affrontare quello che può succedere nella prima applicazione nel 2018: questi sono i problemi aperti. Li vogliamo vedere alla luce di questa decisione o vogliamo dire: la decisione non c’è, non si sa chi elegge, non si sa come e non si vedrà? Penso si sia chiarito che chi elegge sono i cittadini; che nel Senato siederanno consiglieri regionali e sindaci (eletti), e ritengo si debba invece definire la legge elettorale e la sua prima applicazione anche perché, senatore Crimi, lei non potrà sostenere che una legge elettorale vada scritta in Costituzione, perché il giorno in cui scrivessimo in Costituzione una legge elettorale avremmo bisogno di essere portati da un’altra parte. Le leggi elettorali in Costituzione non si scrivono. Resta certamente la questione relativa al Presidente della Repubblica e la si dovrà approfondire e risolvere. Questa è la mia posizione, perché io non parlo a nome di altri ma di me stesso: non ci sono correnti costituzionali, figuriamoci: ci sono convergenze o meno di singoli su impostazioni. Penso la questione si debba risolvere ampliando la platea e decidendo un punto di chiusura, perché altrimenti c’è un esproprio da parte delle maggioranze o un diritto di veto a oltranza che non si concluderà mai sul Presidente della Repubblica. Lo vedremo quando arriveremo al punto. Faccio un’ultima considerazione sull’emendamento del senatore Augello che – l’ho già detto al collega quando cortesemente è venuto a parlarne – condivido nel merito, ma non penso che quell’emendamento sia migliorativo, per una sola considerazione, signor Presidente: perché noi non possiamo stabilire con una legge nazionale quanti consiglieri hanno le Regioni. Fa parte dell’autonomia statutaria di ogni Regione. La Regione Toscana nel 2010 contava 55 consiglieri. Oggi ne ha 41; domani potrebbe tornare ad averne 46 (ho citato la Toscana che non è una regione a statuto speciale).
Se una Regione riterrà che per consentire ai consiglieri eletti di svolgere bene il ruolo di senatori sia giusto fare quello che suggeriva il senatore Augello e che io – come mia valutazione – condivido, e cioè avere un numero maggiore di consiglieri per consentire a coloro che sono stati nominati senatori di svolgere la funzione di senatore e di consigliere (quando è possibile e quando potranno farlo), ebbene la Regione potrà farlo. È contemplato nell’autonomia statutaria, ma non semplicemente per motivi economici: per diritto. Non possiamo dire alle Regioni questo o quello è il numero corretto. Gli abbiamo riconosciuto autonomia statutaria.
Mi meraviglio di voi, colleghi del Gruppo Lega Nord e Autonomie, perché con voi, nonostante i dissensi che tante volte abbiamo avuto, un punto di convergenza lo abbiamo sempre trovato, quando sono stato Presidente di Regione e più di recente. Abbiamo trovato momenti di convergenza quando abbiamo discusso del ruolo delle Regioni e se c’è una preoccupazione che, ancora una volta, ci avvicina è proprio questa: non voglio, personalmente, che si torni indietro sul ruolo delle Regioni. Sarebbe un gravissimo errore non per il Senato di domani, ma per l’Italia di domani. Guardate la Catalogna, guardate la Scozia di ieri, il Belgio. Non sono superate le vocazioni territoriali in Europa. O si organizzano all’interno di una democrazia dell’Europa e degli Stati, o rischiamo delle rotture.
Concludo affrontando una questione diversa (finora mi sono attenuto al merito). Al senatore Volpi, vorrei dire questo: quando lei fa certe insinuazioni non offende me, ma sé stesso. Sì, offende sé stesso. Non conosce né me, né noi altri. Possiamo avere tanti limiti e tanti difetti. Io sono alla fine non all’inizio del mio impegno politico e non devo ricevere: ho avuto anche troppo. Questo è il mio percorso e rispetto a questo, nonostante i mille errori commessi, non troverà una persona che possa affermare di avermi potuto dire: fai questo in cambio di qualcos’altro; che si trattasse di incarichi o di denaro. È inutile che smanetti; guardi dentro sé stesso, ora le dirò perché. Personalmente ho sempre ritenuto che se ci si avvicina ad una persona per proporre uno scambio vuol dire che, come minimo, si pensa di ricevere una risposta positiva, anche se non si è sicuri.
Nonostante tutte le divergenze che posso avere con lei, quindi non penserei mai che lei possa fare qualcosa o assumere una posizione per convenienza. Non lo farei perché non avendo questa concezione e questa pratica della politica non la proietto sugli altri. Rifletta lei su se stesso.