L’ampio accordo raggiunto per la nuova legge elettorale è positivo. È importante che non solo le forze di maggioranza, ma anche Forza Italia, il principale partito di opposizione, abbiano raggiunto un’intesa per un impianto di riforme che comprende anche le modifiche al Titolo V della Costituzione e il superamento del bicameralismo paritario. È negativo il fatto che M5S e Lega si siano tirati indietro. Ancora una volta preferiscono gareggiare per il “no” anziché per l’innovazione.
Ci sono aspetti della legge che possono essere migliorati in Parlamento. E’ giusto aumentare il numero dei collegi, così da avere per ogni lista 3-4 candidati e non 5-6. E’ vero che in ogni caso sarebbero assai meno dei 38 o piu’ del porcellum ma ancora tanti per assicurare una piena riconoscibilità e un collegamento reale con gli elettori.
E’ fondamentale avere previsto un secondo turno di coalizione ma la soglia del 35% per far scattare subito il premio di maggioranza è molto bassa.
Portarla al 38-40% sarebbe piu’ corretto per l’equilibrio tra consenso dei cittadini e governabilita’.
Va sottolineato un aspetto, anche alla luce delle polemiche sorte dentro e fuori il Pd: la virtu’ del Parlamento non risiede nel saper dire “Signor Sì”.
Certo – su questo Renzi ha ragione a richiamare alla responsabilita’ -modifiche si possono fare solo con l’intesa tra tutte le forze politiche – di maggioranza e di opposizione – che hanno sottoscritto l’accordo per le riforme.
La nuova legge elettorale va approvata prima delle elezioni europee di maggio, ma non basta. Nel 2014 dovremo anche superare il bicameralismo paritario. Io sono contrario a trasformare il Senato in una sorta di Conferenza Stato-Regioni-Città costituzionalizzata, che si riunisce un paio di volte al mese, quasi dovesse esprimere dei pareri.
Si determinerebbe un monocameralismo di fatto. La Camera, eletta con sistema maggioritario, varerebbe da sola anche le modifiche alla Costituzione, le leggi sui diritti umani, la ratifica di accordi internazionali. Questi temi devono continuare ad essere affrontati con una procedura bicamerale, come avviene nelle grandi democrazie europee.
Le stesse Regioni e i Comuni sarebbero privati, al di la’ delle apparenze, di un reale potere di incidere sulle scelte portate avanti in Parlamento.