Nel Pd c’è bisogno di confronto. Vanno rese forti le priorità sulle quali sosteniamo il governo Letta: uno sviluppo nuovo e il rilancio dell’occupazione; la qualificazione del sistema di welfare; un cambiamento delle politiche europee che la destra ha fondato esclusivamente sul rigorismo, aggravando la crisi; le riforme istituzionali; la legge elettorale.
Abbiamo posto questa esigenza in un odg presentato all’ultima Direzione: il segretario lo ha fatto proprio. Ora si tratta di procedere. Venerdì 21 giugno alcune associazioni hanno organizzato una prima iniziativa per misurarsi sui temi del lavoro, del welfare, dell’Europa. È un contributo al dibattito. In questi anni il Pd è stato più impegnato a discutere di candidati e regole che di contenuti: se i due aspetti non sono collegati, il votificio produrrà, nella vita del partito, fazioni di tifosi, all’esterno l’allontanamento da noi e spesso dalla politica di cittadini e giovani perché ci avvertiranno come marziani disinteressati dai problemi della quotidianità, alle prese con valori proclamati e poi contraddetti.

La soddisfazione per i risultati delle amministrative non deve farci dimenticare che abbiamo vinto con consensi spesso minori di quelli con cui cinque anni fa si era perso. Né farci archiviare la pessima pagina dell’elezione del Presidente della Repubblica, con la violazione nei comportamenti di quell’etica pubblica per noi irrinunciabile. Quella vicenda è la più clamorosa, ma fa da schermo a atteggiamenti che costellano la nostra presenza nelle istituzioni, dai comuni alle Regioni: voti in dissenso, iniziative personali, ambizioni scisse da progetti condivisi. Alcuni tra noi temevano un partito non contendibile nella sua guida: abbiamo davanti un’organizzazione a rischio continuo di opa esterne, uno spazio di libera entrata e uscita, non un soggetto politico con regole, diritti-doveri, spazi reali per sentirsi comunità. Con un partito inesistente, anomalo rispetto alle forze progressiste europee, si possono vincere le elezioni: non si può certamente costruire una lettura critica della società né fondare un progetto per riformarla.

Dovremmo sentire tutti la necessità di questa riflessione: si fonda sul Pd la possibilità di un futuro della nostra democrazia che non cancelli i partiti, a beneficio di poteri non trasparenti né legittimati dal consenso dei cittadini. Non so se, avviato formalmente il congresso, ci ritroveremo sulle stesse piattaforme programmatiche o gli stessi candidati. Non è questo per me, oggi, il problema principale: ora abbiamo bisogno di irrobustire con valori, priorità, regole condivise una cornice al cui interno tutti ci collochiamo. Poi, volta volta, ci si può trovare ad essere maggioranza o minoranza, ma tutto ciò in un partito degno di questo nome. Non ci siamo chiamati I democratici ma Partito Democratico.
Per quanto mi riguarda il prossimo congresso dovrà rispondere a questioni di fondo: chi siamo, dove ci collochiamo, cosa vogliamo fare. Per me il Pd è una sinistra plurale. Deve stare insieme alle forze progressiste europee. Deve impegnarsi per rinnovare la democrazia, contribuendo a costruire gli Stati Uniti d’Europa. Deve definire politiche per affermare uno sviluppo sostenibile e la centralità del diritto al lavoro. Deve promuovere un welfare che realizzi l’uguaglianza nelle opportunità di vita.

L’uguaglianza non è archiviata, o meglio lo è quella ideologica che la confondeva con l’omogeneità e la usava per abolire la democrazia. Non lo è quella che promuove il merito, rompendo rendite e privilegi che, fin dalla nascita, rubano il futuro. Non lo è quella che valorizza le differenze di genere, che costruisce una nuova cittadinanza, fuori dai vecchi confini del diritto di sangue.
Infine, non è arcaica un’uguaglianza che fa suo il bene del nostro Pianeta, della comunanza degli essere viventi che lo popolano, che su questa base imposta uno sviluppo ed una ricerca non distruttivi dell’ambiente, per noi e per le generazioni future.