La legge elettorale deve essere cambiata: è un impegno del governo, una scelta irrinunciabile per il PD. Le riforme istituzionali, l’aggiornamento della Costituzione, una nuova legge elettorale – collegati, non certo separati dagli interventi sulle questioni economiche e sociali – rappresentano il fondamento che giustifica la collaborazione – competizione tra forze politiche alternative e che tali restano nel futuro del Paese. É un discorso che ha valore generale: chi pensi di affrontare il tema dei diritti civili senza un rapporto con lo sviluppo, il lavoro, le condizioni di vita delle persone conduce le forze progressiste all’isolamento e alla sconfitta. Siamo consapevoli che nessuna legge elettorale da sola è in grado di assicurare che, chiuse le urne e terminato lo spoglio dei voti, si conosca chi ha vinto e chi guiderà il governo. Per realizzare questo obbiettivo è necessario anche superare il bicameralismo paritario.
É corretto che si proceda definendo prima, con un atto di indirizzo di Camera e Senato – del resto era stata, invano, anche una mia proposta nella scorsa legislatura – non solo competenze prioritarie delle due Camere e numero dei parlamentari, ma anche la forma di Governo. É indispensabile che si chiarisca, senza nessuna ambiguità, se le forze politiche – non solo quelle di maggioranza – si ritrovino sulla proposta del comitato dei saggi voluto dal Presidente Napolitano: rafforzamento del governo parlamentare; non fiducia al governo ma nomina da parte della Camera del Primo Ministro; suo potere anche di revoca di singoli ministri; possibilità di chiedere elezioni anticipate; sfiducia costruttiva. Se Pdl o qualsiasi altro partito intendono invece proporre il semi-presidenzialismo, questo nodo va sciolto subito, eventualmente coinvolgendo i cittadini, senza che una tale opzione cali ancora una volta, a conclusione del percorso riformatore, come una mannaia che impedisca ogni esito positivo. Non sono sospetti: è quanto è avvenuto nella scorsa legislatura. La mia preferenza è per il Governo parlamentare forte. Tornando alla legge elettorale, è corretta la scelta di inquadrarla all’interno della riforma del Parlamento e della decisione sulla forma di governo. Non mi convince – è bene essere chiari per evitare guai – che il governo si proponga una manutenzione dell’attuale porcellum intervenendo intanto sul premio di maggioranza.
Il problema esiste ma è il porcellum nel suo insieme che risulta giustamente indigesto ai cittadini italiani e certamente al Pd. Se si opera un intervento a breve, anche per mostrare in concreto la volontà di cambiare, affidando successivamente al Parlamento, in un quadro organico di riforme, le norme elettorali definitive, allora la scelta da compiere è quella di ripristinare la legge Mattarella. É la mia convinzione, coerente con la volontà di quelle centinaia di migliaia di cittadini che avevano firmato per promuovere un referendum volto a farla tornare in vigore. Un’ultima considerazione: occorre mettercela tutta per sostenere con lealtà e impegno il governo Letta. Se la sua azione non fosse coronata da successo, sarebbe un disastro per l’Italia e inevitabilmente per il PD. Non sono utili però atteggiamenti tipo “non disturbare il manovratore”, versione più elegante ma uguale al “ghe pensi mi”. Sarebbe dannoso se nel governo emergesse una tentazione a voler dirigere i gruppi parlamentari dall’esterno, fosse anche sui temi di maggiore complessità e rilievo: un tale errore ci condurrebbe in un vicolo cieco. Forze politiche alternative possono collaborare per una fase, non essere subalterne l’una all’altra. Si eviti dunque di praticare quella strada: non è consigliabile per il governo, è certamente insostenibile per il PD.