PISTOIA «E’ indubbio che una maggiore presenza in televisione di Matteo Renzi ci avrebbe aiutato. Ed in generale era necessaria una maggiore attenzione complessiva alla televisione. Ma le analisi sul voto non possono essere fatte a caldo sulle ali dell’emotività, per cui o è tutto rosa o è tutto nero. Bisogna fare come una volta: aspettare dei giorni e poi esaminare con calma quello che è successo. E talvolta dall’analisi del voto si scoprono cose diverse da quelle che si sono pensate a caldo».
Vannino Chiti reduce dalla campagna elettorale in Piemonte dove era candidato per il Pd al Senato, analizza il voto che ha portato comunque il Partito democratico ad avere la maggioranza dei seggi alla Camera. «E senza questa legge elettorale infame, unica nella sua assurdità in Europa, saremo primi anche al Senato. In ogni caso la nostra priorità oggi è dare un governo all’Italia. Non sarà facile, ma questo il partito democratico deve fare, è la sua principale responsabilità. Cercare di formare un governo e poi vedere se su alcune questioni programmatiche si possano trovare adesioni, penso chiaramente al Movimento 5 stelle, che ha una sua forza nei numeri . Abbiamo da fare scelte urgenti per il nostro Paese. Scelte non rinviabili. L’Italia – Chiti è esplicito – non si può permettere di andare al voto fra tre mesi». Vannino Chiti è molto chiaro nella sua analisi sul voto. Come sul caso Renzi. Lunedì su La Sette Enrico Mentana, mentre declinava la stella del Pd negli exit poll, chiedeva a Bruno Manfellotto, direttore dell’Espresso, cosa sarebbe successo con un candidato come Renzi. «Il Pd non avrebbe comunque vinto perchè si sarebbe spaccato». Cosa pensa dell’analisi di Manfellotto? «Credo che sia giusta. Bersani ha vinto le primarie e a quel punto lì non si poteva candidare Renzi, in quel caso si sarebbe veramente spaccato il mio partito. E non esiste da nessuna parte che un partito che si divide possa poi vincere le elezioni: su questo non c’è dubbio.Fra l’altro Renzi, dopo le primarie, si è comportato come aveva annunciato. Non facendo correnti nè tantomento scissioni ma lavorando nel Pd. Il rammarico è che forse è stato usato poco in questa difficile campagna elettorale. O comunque usato con parsimonia. In certe trasmissioni elettorali in tv sarebbe stato perfertto».
Nonostante Matteo Renzi, il Partito democratico perde in Toscana il 9% dei consensi. In quella Toscana, non dimentichiamolo, dove alle primarie il segretario Bersani aveva conquistato solo Livorno e Massa Carrara. E dove è poi esploso lo scandalo del Monte dei Paschi di Siena. Solo casi isolati o in Toscana esiste un problema di governo del Pd? Qualcuno ha scritto che il modello appenninico (Emilia, Toscana, Umbria, Marche) non ha retto all’impatto con la crisi sociale. Fischiano le orecchie al governatore Rossi e al segretario regionale Manciulli? «Questo calo del 9% in Toscana deve essere materia di un lungo approfondimento. Di questo bisogna parlare e capire. Di queste cose deve ragionare un partito che tale si voglia ritenere. E non si puà attribuire tutto alla crisi sociale e alla rabbia che ha portato, indubbiamente, una parte dei nostri elettori tradizionali a votare Grillo. Ma oltre le debaclè, come quella Toscana, Chiti continua a non voler sentir parlare di una sconfitta (perlomeno politica) da parte del Pd, nei confronti dello tsunami Grillo e del redivivo Berlusconi. «Abbiamo vinto alla Camera ed al Senato. Ora c’è una priorità sola: dare un governo all’Italia. Prima che i tanti sacrifici fatti dell’italiani per raddrizzare una barca che affondava, svaniscano nel nulla. I mercati e l’Europa non aspettano. Soprattutto non aspettano quando hanno di fronte il successo di partiti cosidetti Euroscettici. E al tempo stesso la situazione economica e sociale dell’Italia necessità di interventi urgenti». Il neosenatore Chiti chiude ricordando una cosa: «Il governo che verrà deve dare subito delle risposte anche su materie dove c’è un’altissima sensibilità popolare, dimostrata anche dal voto dato a Beppe Grillo. Parlo della legge elettorale, ma parlo soprattutto dei costi della politica. Al di là dei demagoghi è necessaria un’attività di risanamento non più rinviabile».
Corrado Benzio