Vannino Chiti, lei è stato per 8 anni presidente della regione Toscana. Può dire che sia sempre rimasto confinato solo a livello locale il legame tra ex Ds e Pd col Monte Paschi?
«Certo. E posso anche dire che questo legame riguardava non solo la sinistra, ma l’intera città di Siena: una commistione tra città e banca, che aveva origini storiche. E che coinvolgeva le forze dell’amministrazione, di maggioranza e opposizione, la chiesa locale, la curia vescovile, l’università, il mondo sociale, le associazioni. Era il modo con cui quella banca era nata e l’errore era stato quello di non cambiare. Però, detto questo…»
Quindi il Pd come partito nazionale non c’entra nulla?
«No. A livello nazionale, come ha detto Visco, l’unico tentativo che riuscirono a fare gli ex Ds fu di portare lì Spaventa che poi restò poco, proprio perché voleva portare avanti una diversa impostazione. Ma a livello regionale, sia il mio predecessore sia io, tentammo battaglie e le perdemmo per cambiare il rapporto col Monte Paschi: perché fosse una grande banca nazionale e internazionale, facendogli allentare un rapporto di commistione con la città che doveva essere modificato. E negli ultimi tempi è stato proprio il Pd a Siena a cercare di rinnovare un modello e a cambiare dirigenti: il sindaco Ceccuzzi ci è riuscito e poi è saltato per una rappresaglia e per impedire che si andasse oltre. Lui che ha fatto ciò col nostro sostegno è del Pd, mentre quello che ha contribuito a far saltare l’amministrazione della città per impedire il rinnovamento, si chiama Monaci ed ora è candidato nelle liste di Monti».
Insomma sareste voi la parte lesa?
«Politicamente si sta facendo un polverone. È evidente che lì la sinistra ha avuto un peso maggiore nei ruoli, ma non a livello nazionale e va detto che la destra non può fare prediche. Si deve reagire con un’iniziativa tranquilla e forte. Ed ha fatto bene Bersani a usare un termine forte, perché ha voluto far sentire al nostro mondo che c’è una tutela dell’onore del partito e che noi siamo stati dalla parte del rinnovamento e abbiamo casomai perso delle battaglie. C’è una parte della città che ha fatto una battaglia per il rinnovamento ed ha avuto contro lì la destra e quelli che si ritrovano oggi nel terzo polo. E credo che sia un atteggiamento irresponsabile nei confronti dell’Italia quello di chi, come Ingroia o Monti, si muove nel tentativo di non far vincere nessuno. E se la speranza è che così nascerà un bel governo di unità nazionale, questo non ci sarà e si otterrà solo l’ingovernabilità del paese».
Nel 2005 il caso Unipol, oggi quello Mps. Temete una ripercussione significativa sul voto?
«Non lo penso, forse potrebbe esserci in Toscana, ma i toscani conoscono bene le cose: le battaglie fatte e il rigore che caratterizza il partito. Renzi stesso ha detto una cosa che condivido sui rapporti sbagliati tra banca e politica nella città di Siena. I cittadini come preoccupazione maggiore hanno il lavoro e lo sviluppo: ci sono segnali di ripresa solo per le imprese più robuste che sono sul mercato estero. Se non si riesce a tenere al centro i temi veri del paese, il rischio è che ci sia una larga parte che non andrà a votare».
Ma i sondaggi segnalano a caldo già una lieve flessione di uno-due punti per il Pd…
«Certamente se in questi giorni si analizzano i telegiornali, lo spazio che viene dato alla vicenda Mps tentando di farne un polverone mediático è molto più ampio di quello che è stato dato alle posizioni di Confindustria, Rete Imprese e Cgil sul lavoro. Sul problema della trasparenza è bene che vi sia attenzione, ma da Tremonti e Maroni vorrei sapere piuttosto quanto sono costati ai cittadini italiani il fallimento della banca che doveva essere il vessillo del Carroccio e il fenomeno delle quote latte».
Carlo Bertini