«Addio Toscana Felix», titolava La Stampa ieri sui nostri «guai»: Mps, crisi del Maggio, inchiesta Tav.
Vannino Chiti, vicepresidente del Senato: per lei non è però la «fine» di un modello, quello del potere Pd in Toscana
«Sono tre vicende diverse che hanno impatti negativi ma non è che da questo si ricava un modello. Anche se molte cose devono cambiare nelle esperienze di governo della nostra regione».

Quali e perché?
«Ci vuole – e non riguarda solo la Toscana – innovazione, un rapporto diverso con il governo nazionale: non bastano più le richieste legittime e le proteste, a volte sacrosante, per i tagli a scuola e sanità».

Tradotto in proposte?
«Dobbiamo concentrare le risorse pubbliche su formazione, istruzione e sanità, difesa del territorio, sviluppo sostenibile, selezionando gli interventi. E quelli che il pubblico non può più realizzare, come la trasformazione della Fi-Pi-Li in moderno asse europeo, devono vedere un coinvolgimento dei privati. Il pubblico non può rinunciare a farli: i soldi che ha deve concentrarli sul welfare e su interventi strutturali. Meglio un teatro che 10 convegni. E non bastano annunci, ci vogliono decisioni».

Mps è invece la dimostrazione che il «modello Toscana» non regge?
«La vicenda nasce da un management responsabile di una situazione deficitaria. Bene il rigore. Il “modello” da superare è quello che riguardava Siena».

Proprio su Siena è emerso il «peso» del Pd nelle scelte della fondazione, con le critiche arrivate da tutti, da destra fino a Grillo.
«La destra voleva togliere autonomia anche a BankItalia! Ha ripianato il fallimento della banca leghista. Si sono opposti a limitare e regolare i derivati: cosa che ha fatto anche l’attuale ministro Grilli. Beppe Grillo non faccia lo sciacallo. Chi ha sbagliato paghi ma colpire chi lavora in Mps e i risparmiatori rende più difficile il rilancio».

È stato però lei a parlare di «battaglie perse» anche nel tentativo di trasformare il sistema bancario toscano. E il Pd in questi anni a Siena ha contato, eccome.
«E prima di lui c’erano altri partiti con nomi diversi. Il rapporto tra Siena e Mps non era unilaterale: si fondava sul consenso dei cittadini, era un accordo tra tutte le forze politiche. Un modello sbagliato, ma di un’intera città con la banca. È stata la sua forza ma, col finire del ’900, doveva cambiare. Bartolini (Gianfranco, primo presidente della Regione Toscana ndr) prima ed io dopo (Chiti è stato presidente regionale dal 1990 al 2000 ndr) ci abbiamo provato. Volevamo autonomia dalla politica, attraverso una minore incidenza della fondazione nella proprietà della banca; che Banca Toscana fosse un istituto di carattere regionale e Mps diventasse una realtà internazionale. Abbiamo perso: Banca Toscana è stata riassorbita, per Mps ha resistito il modello senese. Il Pd – nazionale e regionale – non ha deciso il management. Il distacco tra fondazione e banca è stato troppo lento e determinato da crisi come quella di Antonveneta e dalla necessità di ricapitalizzarsi. Ma la battaglia di rinnovamento portata avanti da Franco Ceccuzzi nel suo ruolo di sindaco è stata positiva».

Ma Ceccuzzi ha fatto politica proprio nel periodo delle «battaglie perse» di cui lei parla.
«Conta ciò che ha fatto e sta facendo ora per il rinnovamento del sistema Monte. Per ostacolarlo hanno messo in crisi il Comune e portato a nuove elezioni».

Marzio Fatucchi