«No, non lo ho sentito. La situazione è in evoluzione e quindi non mi permetto di disturbare nessuno». Così il 19 febbraio Berlusconi rispondeva a una domanda su eventuali contatti con Gheddafi, mentre il mondo assisteva con angoscia alla repressione sanguinosa compiuta dal regime libico. Quella frase – e l’altra, ancora peggiore, del «dolore provato per Gheddafi» – rappresenta simbolicamente la causa del fallimento, della non credibilità dell’azione italiana rispetto alla crisi libica: la subalternità del nostro governo al dittatore libico da una parte, il ritardo e l’approssimazione della nostra azione diplomatica dall’altro.
Nelle regioni del nord Africa è in corso una storica transizione verso la libertà, sta cadendo un nuovo “muro di Berlino”. Questa fase nasce da un processo di maturazione dei valori della democrazia in quei popoli. Il moto pacifico e non violento è stato contrastato da azioni di repressione violenta dei regimi autoritari: la più grave e spietata è stata quella compiuta in Libia dal regime di Gheddafi, che ha tentato di sopravvivere macchiandosi di crimini contro l’umanità. Altri dittatori, come Ben Ali e Mubarak, hanno almeno compreso l’irreversibilità del processo democratico e hanno lasciato il potere. Il nostro paese avrebbe dovuto farsi protagonista, con l’Unione Europea, di una leadership storica sulla regione del Maghreb, mettendo in campo una decisa azione diplomatica volta a fermare le violenze e ad imporre una transizione. Se vi fosse stata questa presenza e azione, forse non sarebbe stato necessario l’uso delle armi. Invece i nostri rapporti con la Libia sono stati improntati non solo a relazioni politico-commerciali tra Stati, ma ancor più a legami di tipo personale tra Berlusconi e Gheddafi accompagnati dal sospetto, venuto da importanti paesi occidentali, di commistioni d’affari.
Certo è che l’azione dell’Italia è stata contraddittoria: alle prime pressioni per un coinvolgimento attivo dell’Unione Europea, il ministro Frattini disse che «l’Europa non deve esportare la democrazia».
In seguito il governo ha precipitosamente sposato la linea interventista internazionale, senza rinunciare ad alcune manifestazioni “ufficiose” di «preoccupazione» per le sorti di Gheddafi da parte del Presidente del Consiglio. L’Italia si è così ritrovata in una posizione marginale. Infine, nel tentativo di recuperare la leadership perduta, il ministro Frattini ha annunciato l’esistenza di un presunto piano italo-tedesco per una soluzione diplomatica che, peraltro, non è stato confermato dal governo della Germania.
Se sul piano della politica estera il governo si è dimostrato incapace di mantenere una linea coerente e chiara, la situazione non è migliore sul fronte interno. Un paese di 60 milioni di persone, dotato di solide istituzioni democratiche non è in grado di “gestire” l’arrivo di alcune migliaia di profughi: questo è il quadro che emerge dall’osservazione dei fatti. Sono dunque evidenti e gravi le responsabilità della destra, impegnata più a costruire lo spauracchio di una invasione senza precedenti che ad organizzarsi per affrontare una situazione difficile ma non ingestibile. Durante la guerra nella ex Jugoslavia il governo di centrosinistra ospitò per alcuni mesi migliaia di profughi dalle aree del conflitto, senza che questo divenisse un trauma nazionale. Diverse priorità di valori e diverse capacità nel governo!
Mentre in altri paesi si discute sulla strategia da seguire per la soluzione della crisi libica, in Italia la destra ha imposto il tema della “emergenza immigrati”, a dimostrazione del fatto che questo governo non è all’altezza dei problemi da affrontare e nasconde le sue insufficienze dietro la propaganda e la subalternità alla Lega. La conseguenza è che uomini e donne fuggiti dal Nord Africa sono stati abbandonati a Lampedusa in condizioni disumane. E in condizioni disumane si fanno vivere i cittadini che sono residenti a Lampedusa. La scelta, ancora una volta, è quella di esasperare le divisioni, di non dare soluzioni ma di operare per fare esplodere i contrasti.
L’Italia merita un governo diverso. I popoli del Nord Africa che lottano per la democrazia meritano di avere nell’Italia un interlocutore autorevole, impegnato a difesa dei diritti umani e per una cooperazione capace di costruire uno sviluppo nuovo e più degno per tutti.
sono impietrito: adesso non solo stiamo coi ribelli, addirittura li vogliamo armare.
la russa ha avuto la nota sul registro come lo scolaretto indisciplinato. mi spiegate perchè vi riempite la bocca di istituzioni se poi chi le umilia così subisce un richiamo e non una punizione esemplare?
per favore, parliamo delle cose come stanno: la lotta è sul petrolio libico ed è anche giusto e sacrosanto. così va il mondo. ma parliamo in italiano
@Simone: faccio volontariamente una provocazione. Cosa sarebbe successo se durante la seconda guerra mondiale gli alleati non avessero armato i partigiani nella lotta contro il nazi-fascimo?. Questo per dire che oggi il nostro compito non è quello di strumentalizzare l’azione in Libia per creare consenso elettorale, che in una democrazia sana viene da se quando si lavora bene, ma di denunciare le tentazioni “imperialiste”, che sempre ci saranno, dei salvatori, di denunciare l’immobilismo e l’inadeguatezza di questo governo. Insomma nella ventata di democrazia del mondo arabo, che sicuramente ha avuto un appoggio esterno come è sempre avvenuto nella storia, dobbiamo essere gli attori principali perchè siamo geograficamente la scialuppa di salvataggio del mediterraneo. Dobbiamo essere noi i mediatori in Europa ma per fare questo oggi ci sarebbe dovuto essere un altro governo.
Caro Simone, immagino che il suo stupore sia legato al rapido cambiamento di opinione compiuto dal governo italiano. All’inizio della crisi libica Berlusconi, Frattini e altri esponenti della destra si mostravano vicini a Gheddafi e contrari a qualsiasi intervento. Addirittura Frattini disse che il compito dell’Europa non è quello di esportare la democrazia. L’incoerenza e l’improvvisazione sono una costante della destra italiana.
Caro Carlo, sono d’accordo sul fatto che certi comportamenti gravemente lesivi della credibilità e rispettabilità delle istituzioni dovrebbero essere adeguatamente sanzionati. Chi ricopre importanti incarichi pubblici rappresenta, con la sua immagine, le istituzioni.
Caro Vito, non sono d’accordo con lei. In Libia e in tutto il nord Africa è in corso una lotta per la libertà che non possiamo né ignorare né sottovalutare. É vero che gli accordi commerciali e i rapporti diplomatici con i paesi esportatori di materie prime – anche se retti da dittatori – sono all’ordine del giorno nell’ambito delle relazioni internazionali e coinvolgono tutti, anche i paesi più democratici. Ma questa constatazione non può far disconoscere il fatto che l’azione delle Nazioni Unite stia difendendo l’incolumità di tanti cittadini libici colpiti dall’inusitata ferocia di Gheddafi.
Caro Marco, ha detto bene: per ridare all’Italia il ruolo che le compete servirebbe un altro governo. Questo di destra ha fallito. Si è dimostrato inadeguato al compito che gli è stato assegnato.
Quanto alla provocazione: capisco il senso della sua affermazione, anche se si tratta di contesti molto diversi. In Libia la comunità internazionale intende difendere la popolazione dall’aggressione del regime di Gheddafi, non entrare in azione direttamente per determinare il cambio di governo. Comunque, e’ giusto stare dalla parte di chi lotta per la libertà di un intero popolo