Il cardinale Ruini ha parlato alla riunione della CEI di famiglia e di convivenze: alcune sue posizioni non sono condivisibili. Su questo verrò dopo. Prima però vorrei sgombrare il campo da pregiudiziali per me inconsistenti. Quando i Vescovi parlano di scelte che riguardano la società, la famiglia, la vita, sorge un coro – non solo a sinistra ma anche in settori della destra – che tuona contro l’ingerenza. Forse sbaglio io, ma credo che ogni volta che si reagisce così, si commetta un errore.
Se ci comportiamo come fossimo negli anni settanta del XIX secolo, anziché nell’anno cinque del XXI, finiremo per rafforzare le tendenze alla chiusura, alle contrapposizioni anziché quelle al dialogo. Ha i piedi d’argilla una laicità che voglia confinare dentro le singole coscienze o le sole sacrestie, un messaggio di fede o un punto di vista religioso sui problemi del mondo. È indispensabile salvaguardare l’autonomia della sfera politica e dello Stato, così come quella delle diverse confessioni religiose: la commistione è negativa, un ritorno al passato. Le subalternità – dello Stato o delle religioni nelle sfere di diretta competenza – inconciliabile con la democrazia.
Quando i Vescovi parlano quelli che, anziché misurarsi nel merito, protestano sempre e solo per l’ingerenza, manifestano una debolezza, culturale e politica.
Di fatto sognano un passato nel quale, non solo in Italia, la Chiesa cattolica poteva anche non esprimere pubblicamente i propri punti di vista, utilizzando per affermarli un suo partito di riferimento. Non ho nostalgia di quel passato di collateralismi e di appelli all’unità politica dei cattolici. Preferisco la libertà e il pluralismo dei credenti nelle scelte storico-temporali.
Quel ripetuto timore di ingerenze esprime piuttosto una fragilità della politica e dei partiti: a questa si tratta di reagire, irrobustendo la nostra cultura, aprendoci senza paura ad un confronto che ridefinisca e rafforzi i caratteri della laicità, costruendo a suo fondamento valori comuni a credenti e non credenti. La laicità non può o almeno non può più apparire come un luogo neutro, dal quale sono banditi valori e principi. Non è il trionfo astratto del metodo, che concilia in modo pragmatico tutto, senza avere alla base criteri di selezione e scelta. Anche perché alla laicità dovremo educare le generazioni del presente e del futuro.
E veniamo all’intervento del cardinale Ruini. Quello che non mi convince è che non enuncia principi, espressione dell’insegnamento della Chiesa, ai quali i credenti siano invitati a riferirsi nella loro vita e nel loro stesso impegno politico, bensì – come già avvenne per il Referendum sulla Fecondazione – detti le soluzioni ai vari problemi. Questa impostazione non è coerente con il riconoscimento dell’autonomia dei credenti, fortemente affermata nel Concilio Vaticano II.
Per me non ci sono problemi riguardo al richiamo forte fatto alla necessità di politiche per la famiglia né riguardo alla valorizzazione del matrimonio che è in Costituzione.
La famiglia ha bisogno di attenzione, di sostegno fiscale, di misure per i figli, gli anziani che la compongono, per sottrarre la donna al dilemma tra il lavoro e gli affetti. Vi è la necessità insomma di nuove politiche sociali, per l’istruzione, la sanità, non del loro abbattimento. È per me sconcertante che la Chiesa non denunci il fatto che le scelte neo-liberiste della destra uccidono la famiglia. Se non lo fa è solo per la ragion politica, ma è una cattiva motivazione.
In merito poi ai Pacs trovo incomprensibile, dal mio punto di vista, la posizione ufficiale che va emergendo nella Chiesa: lo dico con rispetto e senza presumere di possedere verità assolute.
Non serve a nessuno confondere posizioni diverse, come sembra fare il cardinale Ruini, addirittura tirando in ballo la Corte Costituzionale. Noi non vogliamo equiparare né sul piano giuridico né su quello del valore altre forme di matrimonio a quello previsto nell’articolo 29 della nostra Costituzione. La nostra scelta è quella di avere una legge che possa tutelare i reciproci rapporti di solidarietà tra persone che convivono, non abbandonandole ai loro bisogni di fronte agli imprevisti della vita.
La Chiesa cattolica in Italia non nega l’esistenza di questo problema, serio e concreto: in qualche modo non lo fa neppure il cardinale Ruini, più ancora vi aveva mostrato sensibilità il Patriarca di Venezia Scola, in una intervista al Corriere della Sera.
La riserva della Chiesa sembra incentrarsi soprattutto sullo strumento prescelto: a suo avviso una legge farebbe diventare i contratti di solidarietà dei “piccoli matrimoni”, operando così un avvicinamento di fatto al matrimonio riconosciuto in Costituzione.
La proposta indicata è allora quella di un contratto privato, una sorta di atto notarile.
Questa soluzione non può essere accolta. Nessuno Stato degno di questo nome può affidare a scelte privatistiche la tutela di rapporti tra persone, verso le quali la società avverta un dovere di solidarietà.
Per avere valenza un provvedimento deve incardinarsi sulla forza della legge.
Questo per me è irrinunciabile. Sul resto – le preoccupazioni cioè di una equiparazione di fatto tra matrimoni – ragioniamo nel merito. A me non pare che vi sia questo rischio. Tuttavia non essendo questa la nostra volontà, è possibile e giusto non sottrarsi ad un confronto.
Non mi sento di escludere in via di principio la ricerca di possibili miglioramenti, in grado di far nascere in Italia soluzioni legislative originali, giuste, avanzate.
Chi ha proposte, le metta in campo, purché si voglia costruire leggi capaci di non discriminare i cittadini, bensì di risolvere i loro reali problemi di vita in comune. La solidarietà è la via maestra. Siamo noi questa volta a dover dire ai Vescovi: non abbiate paura?