Il ministro per i rapporti con il Parlamento per ora è contento. «Non parliamo di fase due. Quel che stiamo facendo risponde a un unico progetto. Quando si affronterà il tema pensioni non sarà per fare cassa, ma per renderle più giuste, le minime e quelle per i giovani»

«Non credo alla fase uno o due, credo che si possa e si debba tenere insieme il prima, il dopo e la finanziaria che c’è in mezzo. La nostra missione c’è ed è chiarissima: risanare il Paese e rimetterlo in moto. Lo abbiamo fatto con le liberalizzazioni, con la finanziaria e con i tanti provvedimenti che saranno in aula nelle prossime settimane: energia, conflitto di interessi, riforma del sistema televisivo, ordini professionali, pensioni, riforma della Pubblica amministrazione, federalismo fiscale, nuovo codice degli enti locali. Nessuno di noi ha intenzione, nonostante i numeri del Senato, di galleggiare o di vivacchiare», Il ministro per i rapporti con il Parlamento Vannino Chiti è un fiume in piena. E spiega: «Volevano la spallata, invece la finanziaria è arrivata in porto e la destra è sempre più divisa».

Ministro Chiti, ritiene che il governo esca rafforzato da questo passaggio, anche se il voto dei senatori a vita è stato decisivo?
«Governo e maggioranza escono rafforzati, mentre le divisioni tra le due opposizioni sono sempre più ampie, strategiche. Quanto ai senatori a vita, ricordo che, nonostante la visione distorta che la destra cerca di imporre, si tratta di senatori a tutti gli effetti. Il primo governo Berlusconi, nel 1994, ottenne la fiducia grazie all’apporto determinante dei senatori a vita, e il centrodestra pochi mesi fa aveva proposto il senatore Andreotti come presidente del Senato. Lo scandalo è un altro: è De Gregorio che ha preso i voti del centrosinistra ed è passato dall’altra parte. Da questa destra che parla sempre di norme antiribaltone mi aspetterei una richiesta di dimissioni di De Gregorio: invece quando serve sono contenti dei “ribaltini”».

Crede che questo risultato possa addolcire i rapporti nella maggioranza in vista della cosiddetta “fase due”?
«Innanzitutto serve una campagna precisa per dire cos’è questa finanziaria: si scoprirà che ci sono molte misure importanti di equità e di rilancio dello sviluppo, per svoltare rispetto al precariato. E poi ci sono tutti i provvedimenti che arriveranno a maturazione nei prossimi mesi: il nostro compito è dire con chiarezza che fanno parte dello stesso disegno. Sulle pensioni, ad esempio, l’obiettivo non sarà fare cassa, ma avere pensioni minime più giuste e dare un futuro ai ragazzi, tenendo conto dell’allungamento della vita. Il punto sarà stabilire gli incentivi per prolungare l’attività di lavoro».

Cosa non ha funzionato in questi mesi?
«Nel Paese incontro tante gente che dice di andare avanti, ben consapevole che questa destra è quella di prima. Ci chiedono unità, che non vuol dire non discutere, ma farlo nelle sedi opportune e poi presentarsi al Paese con un messaggio unitario. Altro punto riguarda l’idea che le riforme non si costruiscono e non si attuano dall’alto, ma costruendo il consenso con i cittadini, a partire dalla parti sociali e dagli enti locali. Se c’è una cosa che rifarei diversamente è proprio questa: l’intesa con parti sociali ed enti locali andava costruita prima del varo della Finanziaria da parte del Consiglio dei ministri, comprendendo tutte le associazioni del mondo dell’impresa. Poi se qualcuno vuole andare in piazza lo farà: ma se il consenso si può avere è meglio averlo prima. L’altro aspetto che cambierei, e lo faremo, è lo strumento Finanziaria: la sessione di bilancio dovrà durare al massimo due mesi e lavorare solo sui grandi capitoli delle risorse da allocare, non sui dettagli».

Quanto al messaggio unitario, non vi eravate già accordati a San Martino in Campo?
«Purtroppo non è sempre stato chiaro a tutti che il governo è una squadra, che non vince nessuno perché appare tre volte in più in Tv. Vinciamo solo se ciascuno sostiene, con il suo stile, un orientamento comune. Altrimenti si rischia di fare come nella legislatura 1996-2001: governare bene e poi perdere le elezioni. Bisognerebbe avere sempre in testa il rapporto con i cittadini che guardano al centrosinistra: questa esigenza di sintonia è mancata, è stato l’aspetto più deficitario di questi mesi. E non ce lo possiamo più permettere».

I Pacs saranno un primo terreno per misurare questo spirito unitario che lei invoca…
«Il programma è preciso: diritti e doveri reciproci per chi convive, nessuna confusione con la famiglia. Se affrontiamo questo tema nel merito, senza pregiudiziali o furori ideologici, possiamo fare una legge giusta e saggia e inedita, che sia un modello anche in Europa. Su questo il centrosinistra deve aprire un confronto al suo interno, nel Parlamento, ma anche un’interlocuzione con le confessioni religiose, Sbaglierebbe la Chiesa se di fronte a problemi reali opponesse solo il rifiuto. Non ci possiamo permettere di dare spazio a chi vuole resuscitare steccati tra cattolici e non cattolici che abbiamo abbattuto da tempo: e non credo sia giusto, per le fedi, lasciarsi strumentalizzare come bandierine da un partito politico».