L’intervista del Patriarca di Venezia cardinale Scola sui temi della laicità, pubblicata dal Corriere della Sera, è di grande importanza. Sono, lo dico subito, da condividere l’impianto generale, la volontà di dialogo, l’apertura ad un confronto con tutti, con chi non è cristiano ed anche con quanti non condividono una fede religiosa. Dopo il referendum sulla fecondazione assistita alcuni, anche all’interno delle gerarchie ecclesiastiche, hanno dato l’impressione di una voglia di resuscitare antichi steccati. Il cardinale Scola mostra di non volerli e ne distrugge i fondamenti stessi di utilità e ragionevolezza. È positivo perché bisogna impedire artificiose e arcaiche separazioni tra cattolici e non cattolici, tra credenti-laici e laici-laici.
Al centro dell’intervista del cardinale Scola viene posto il tema della laicità, la necessità di un suo ripensamento e rinnovamento. Sono persuaso che su questo occorra ragionare, insieme.
Ho già avuto occasione di dire che la laicità è un principio cardine fondamentale per l’organizzazione della società, della politica, dello Stato: un valore della democrazia, non del solo Occidente, da estendere come uno dei criteri sulla base dei quali si è in grado di valutare il grado di libertà, di pluralismo, di tutela dei diritti umani esistenti nelle diverse società.
Anche per me la laicità va ripensata per poterla non solo mantenere ma rafforzare. Il pensiero e l’esperienza liberale ci hanno consegnato una laicità fondata su due pilastri: l’autonomia tra Stato e Chiese, la loro diversità di responsabilità e competenze; il configurarsi della fede religiosa come di un fatto privato, affidato alla scelta e all’autodeterminazione delle coscienze.
Questo secondo pilastro non regge più: è stato superato dal concreto svolgersi delle vicende storiche. Il fenomeno religioso non solo non è scomparso: è presente come esperienza pubblica, collettiva, non segregata nel riserbo dei cuori.
Questo pilastro deve perciò essere rivisto, modificato. La laicità deve saper prevedere ed organizzare l’esistenza di uno spazio pubblico, al cui interno si muovano in modo visibile le Chiese cristiane, le altre religioni, le culture estranee ad esse. La nostra iniziativa deve contribuire a questo esito. La nostra critica piuttosto deve rivolgersi a quelle tendenze ancora presenti in religioni – in primo luogo quella musulmana – che occupano interamente la dimensione pubblica, rendendo subalterni lo Stato e la politica. Su questi temi troppo a lungo si è stati incerti: giustamente sensibili a cogliere orientamenti in grado di ferire la laicità qui in Europa, si è spesso disponibili a non vedere l’oppressione del pluralismo e dell’autonomia della politica in tante aree del mondo.
La laicità non può essere il luogo dell’indistinto, una specie di equilibrio dato dall’assenza di valori condivisi. Né può essere visto come una invasione di campo ogni intervento pubblico della Chiesa cattolica o delle altre confessioni religiose, in merito a leggi dello Stato o a decisioni su scelte che riguardano la vita dei cittadini. Non rimpiango il tempo nel quale la Chiesa cattolica aveva in Italia un partito politico di riferimento e chiedeva ai credenti di sostenerlo con il loro voto. Condivido l’impostazione alla quale si richiama anche il cardinale Scola: questo tempo storico non ha bisogno di un partito di cattolici.
È dunque importante impegnarsi in un confronto di ampio respiro per costruire un nuovo “minimo comune denominatore” di valori a fondamento della laicità.
Fin qui l’apprezzamento per le posizioni di grande apertura culturale, che muovono l’intervento del Patriarca di Venezia.
Vi sono però anche necessarie puntualizzazioni da mettere in evidenza. Lo schema, proposto dal cardinale Scola – adesione alla laicità ed alla democrazia, confronto serio sulle scelte, in caso di divergenza decisione da parte dei cittadini con il loro voto – funziona a condizione che non si pretenda di dirimere così l’esistenza di diverse concezioni di vita, imponendone una, quella sorretta da una maggioranza di consensi, a tutta la società. Vi sono insopprimibili diritti delle minoranze, in alcun modo affidabili al semplice principio di maggioranza, altrimenti la società cessa di essere democratica e pluralista e diventa autoritaria. Ciò vale anche per taluni principi di fede: legittimo anzi irrinunciabile che gli spazi di libertà garantiscano il loro sostegno e diffusione. Negativo se si volesse tornare ad affermarli con il braccio della legge: in un tale quadro lo Stato cesserebbe di essere democratico e si trasformerebbe in etico e totalitario.
Non ho riserve sul fatto che la libertà, come dice il cardinale Scola, non presupponga per essere tale una adesione assoluta al “vietato vietare”. La libertà di distruggere, di autodistruggersi, di opprimere, di uccidere, non esiste: ne è anzi la negazione.
Al tempo stesso non è “vietato vietare” che un convincimento di fede, proprio di una visione religiosa del mondo, divenga con il cinquanta più uno dei voti dei cittadini – o addirittura meno, con la semplice maggioranza di chi partecipa alle elezioni – dovere di comportamento imposto a ciascuno. Prendiamo il caso dei Pacs, sui quali si sofferma anche il cardinale Scola, con alcune aperture nuove sulle problematiche – così mi sembra – ma al tempo stesso con un rifiuto della proposta complessiva.
Sono persuaso anche io che una legge non risulti solo dei dispositivi tecnici. Esprime al tempo stesso modelli di comportamento, una funzione in qualche modo educativa.
I Pacs tuttavia non mettono sullo stesso piano diverse forme di matrimonio, quella prevista nella nostra Costituzione ed altre, che riguardano coppie omosessuali.
No, i Pacs si limitano a definire garanzie reciproche di solidarietà e di rapporto tra cittadini che abbiano deciso un contratto di convivenza. Proprio perché non si compiono operazioni di tipo valoriale o di equiparazione giuridica, a me sembrano una giusta risposta a concrete situazioni di vita. È possibile, per riempire di contenuti reali parole come confronto, andare a valutazioni di merito delle scelte proposte, senza arrendersi alla suggestione delle terminologie, alle distanze che impediscono di comunicare? Mi auguro sia possibile. Anzi l’intervento del cardinale Scola contribuisce a renderlo possibile. Io almeno l’ho letto così, come un contributo per individuare nuove vie, da costruire con pazienza e rispetto, da percorrere insieme.

Vannino Chiti