Cosa ha rappresentato per noi Giovanni Paolo II, per noi sinistra voglio dire? Abbandoniamo prima di tutto categorie applicabili alla politica, ma inadeguate per comprendere la realtà della Chiesa. Proverò a ragionare, schematicamente, attorno a tre questioni: il rapporto Chiesa-società, quello con le altre religioni ed infine quello Chiesa-Chiesa, cioè il governo ecclesiale, la guida del popolo di Dio, secondo l’espressione del Concilio Vaticano II. Karol Wojtyla ha dato al papato una dimensione globale: il riferimento della sua missione non sono stati né la sola Europa né l’Occidente. Mi pare che il senso del suo pontificato, lungo più di ventisei anni, a cavallo di due secoli e dell’avvio di un nuovo millennio, sia sintetizzato efficacemente nel messaggio con il quale si presentò all’indomani della sua elezione: “aprite, anzi spalancate le porte a Cristo. Non abbiate paura”. Nei confronti dei regimi nei quali si organizzano le nazioni del mondo, l’azione del Papa è stata quella non di chi esprima una preferenza partitica o di schieramento, ma di chi rivendichi i diritti e la dignità della persona, la libertà senza aggettivi e dunque anche quella religiosa, la promozione della vita umana e perciò il bene assoluto della pace. In coerenza a questi principi è stato protagonista della fine della guerra fredda ed ancor più del carattere non violento delle rivoluzioni nell’est europeo, alla fine degli anni ottanta. Ha compreso il ruolo che esse assumevano, di sollecitazione ad una riunificazione del continente.
Ha criticato fino all’ultimo, rivolto ai quattro punti cardinali del pianeta, la fragilità e parzialità di una libertà senza giustizia, il materialismo e consumismo dei paesi opulenti, la violenza della iniqua redistribuzione delle ricchezze. Su questi temi, e sulla pace, si è mosso in assoluta fedeltà ai principi della sua fede ed alla impostazione del suo Pontificato: li ha sostenuti di fronte ai deboli ed ai diseredati e davanti ai poteri più forti, non tacendo
– penso alla guerra in Iraq – di fronte ai capi dell’unica potenza imperiale rimasta. È questa coerenza, questo rivolgersi a tutti gli uomini, questo sforzo, negli ultimi tempi portato avanti a prezzo di una non nascosta sofferenza fisica, ad averne fatto un leader morale del mondo, la voce più autorevole dei nostri tempi, amata in particolare dai giovani, alla ricerca di un senso della vita.
La sinistra deve sentire quel contributo come importante e prezioso. Non siamo noi a dover provare timore o imbarazzo nei confronti di chi ci chieda coraggio e ci spinga a tenere unite libertà e giustizia, diritti umani, democrazia ed uno sviluppo degno di questo nome. La sinistra e più in generale la cultura politica laica (cioè comune a credenti e non credenti) deve avvertire, senza paura, la necessità di riscoprire la critica della ingiusta redistribuzione e spesso dello spreco dei beni, nelle nazioni e su scala planetaria, deve costruire una alternativa di progetto al consumismo, che non è benessere e qualità della vita, ma egoismo ed ossessione per “l’avere”. Al tempo stesso, la sinistra anzi la democrazia italiana, deve essere grata al papa venuto da lontano, per la sua scelta di riferirsi alla vita politica del nostro paese come a quella di ogni altra nazione, non ostacolando il superamento del partito di riferimento dei cattolici. Con Giovanni Paolo II la Chiesa non delega più la sua rappresentanza ai partiti né si rifugia nel privato o nel silenzio delle coscienze. Interviene alla luce del sole, sui temi della vita, della persona, del sociale, della bioetica. Si assume una responsabilità diretta, confrontandosi con le istituzioni, in modo trasparente. È, spero, una scelta irreversibile. Certo una svolta positiva.
Nei rapporti con le altre confessioni religiose, Giovanni Paolo II ha segnato una discontinuità, non tanto nel pensiero (ecumenismo e dialogo erano state anche le scelte di Giovanni XXIII e Paolo VI) quanto nella forza dell’iniziativa, nel valore di gesti anche simbolici. La prima volta in una sinagoga ed in una moschea. Gli incontri con tutte le confessioni religiose, ad Assisi, per una comune preghiera e impegno per la pace. Il Giubileo dell’anno 2000, fatto vivere alla Chiesa non come istituzione trionfante ma con la grandezza dell’umile richiesta di perdono al mondo, per gli errori, i peccati, l’allontanamento dal messaggio evangelico: tutto ciò ha reso il Papa protagonista di un dialogo che ha, per ora almeno, impedito che le guerre nel mondo divenissero anche scontro tra civiltà e religioni. Le presenze al suo funerale parlavano di per sé stesse: non solo i capi di Stato e di governo ma i rappresentanti delle religioni, quelle cristiane, quella ebraica, quella musulmana, le fedi dell’Oriente.
Uno spettacolo straordinario e denso di futuro. La sinistra sa, deve sapere che il dialogo tra le fedi religiose è parte integrante di ogni duraturo processo di convivenza e di pace.
Infine, una parola sulla Chiesa e il suo governo, in questo quarto di secolo. È necessaria una premessa: proprio perché le religioni non sono un’esperienza confinabile nel privato, ma legittimamente – in democrazia – esigono uno spazio ed una dimensione pubblici, la vita interna delle istituzioni che le esprimono, non interessa solo agli addetti ai lavori, né solo alle gerarchie e neppure soltanto ai laici credenti. Richiede l’attenzione della politica ed anche nostra, della sinistra. Non mi pare che con Giovanni Paolo II vi siano state evoluzioni significative nel governo della Chiesa. Sarà questo uno dei nodi cruciali per il nuovo pontificato. Non intendo dire, per richiamare una questione fondamentale, che riguardo, ad esempio, al ruolo della donna vi siano stati regressi: al contrario. Da Giovanni Paolo II si sono uditi considerazioni ed accenti pieni di sensibilità, anche nuova. Il tema della funzione della donna nella vita della Chiesa resta tuttavia per la gran parte irrisolto. Non mi riferisco solo alla questione più nota, quella dell’accesso al sacerdozio, ma all’insieme delle problematiche relative al riconoscimento di un suo ruolo nel governo della Chiesa.
Né ha avuto sviluppi la questione del governo collegiale della Chiesa, che aveva attraversato e talora profondamente turbato per le sue difficoltà, il pontificato di Paolo VI. Non si tratta soltanto di associare maggiormente i Vescovi, piuttosto che la Curia Vaticana, al Papa nel governo complesso della Chiesa cattolica.
Si tratta di individuare i compiti delle Conferenze Episcopali nazionali, la loro autonomia ed al tempo stesso i rapporti di unità con il papato a Roma. Il carisma e l’autorevolezza di Karol Wojtyla hanno accantonato, non risolto questi problemi, accentrando sulla sua persona l’unità della Chiesa. Domani il nuovo Pontefice dovrà definirli e fare avanzare soluzioni nuove, se non vorrà disperdere la proficua eredità di questo pontificato missionario.
Un’ultima considerazione, quasi obbligatoria. Giovanni Paolo II è stato un Papa scomodo per la sinistra, per la sua intransigenza sui principi di fede e per la sua ostinata lotta a difesa delle ragioni della vita? Guai a noi se prevalesse questo modo di ragionare. Né ieri, né oggi, né domani può essere chiesto al Papa di essere incerto o ambiguo sui fondamenti della fede: del resto non lo furono Giovanni XXIII e Paolo VI, non lo è stato Giovanni Paolo II, non lo sarà certo il suo successore. Chiederlo, o anche solo pensarlo, esprime una incapacità a comprendere l’esperienza religiosa. Si tratta di visioni da collocare una volta per tutte nel museo degli anacronismi della storia.
Riguardo alla difesa della vita, possono differenziarci i modi, gli strumenti da mettere a disposizione di una comunità di cittadini, la difficile scelta, in alcune circostanze, tra valori come la vita esistente e quella non irreale ma ancora potenziale, l’assoluta necessità di salvaguardare, come bene comune, la laicità dello Stato e l’autonomia della ricerca scientifica. Non possiamo certo dividerci sul valore della vita, sulla necessità di tutelarla e promuoverla. È la vita umana il soggetto a cui fare riferimento per giudicare il progresso, la società, la stessa validità delle conquiste che ci propone la scienza.
Una sinistra che non avvertisse il valore della vita, sarebbe ben poca cosa: una contraddizione vivente. Promozione della vita e della dignità per tutti sono gli ideali che devono orientare la sinistra del 2000.

Vannino Chiti