La destra, divisa e confusa, sta vacillando attorno alla proposta di una nuova legge elettorale, inventata a cinque mesi dal voto per tentare con un imbroglio di sopravvivere al fallimento di cinque anni di governo. Fini e AN si mostrano, a dir poco, scarsamente convinti; Bossi la classifica come un trucco; lo stesso Casini negli ultimi giorni sembra porgere la mano aperta del dialogo, più che il pugno del combattente. Tutto bene allora? La partita è già chiusa e l’Unione può far festa come tra noi alcuni affermano? Non solo non ne sono convinto, ma penso che l’Unione farebbe un grossolano errore se abbassasse la guardia. A destra ci sono divisioni profonde e regna sovrana la confusione: però sono uniti, senza eccezione, dalla Lega ad AN, dall’UDC a Forza Italia, nel cercare di conservare il potere che sentono sfuggire, con il crescere della sfiducia degli italiani nei loro confronti. Le leggi vergogna, lo sfregio alla Costituzione, i provvedimenti che minano l’indipendenza della magistratura, sono stati votati in modo compatto dalla destra. Quello che in questi giorni l’ha fermata è stata la risposta dell’Unione: un no forte, senza sbavature al tentativo di cambiare la legge elettorale. Un no al quale sono seguiti comportamenti coerenti: l’ostruzionismo in Parlamento. Questa fermezza deve essere mantenuta fino a quando la legge elettorale non venga ritirata, cancellata dall’agenda dei lavori parlamentari. Non sono sufficienti le allusioni, il dire e il non dire. Molti si sono felicitati per il richiamo fatto dal Presidente Casini alla necessità di un confronto con le opposizioni e per la sua consapevolezza di contrasti nella maggioranza di governo. A me francamente le sue sono apparse come considerazioni generiche, un po’ banali, del tutti insufficienti. Mi sarei atteso, dopo il forte richiamo del Presidente della Repubblica al senso delle istituzioni ed alla necessità di affrontare negli ultimi mesi della legislatura le priorità reali del Paese, che il Presidente della Camera, già responsabile con il suo partito di una spinta per cambiare la legge elettorale, rivolgesse alla sua maggioranza l’invito esplicito a prendere atto che non vi sono le condizioni per portarla avanti. Questo è politicamente necessario: la decisione di ritirare il progetto di legge elettorale, la rinuncia a cambiare ora – a campagna elettorale di fatto già iniziata – le regole con le quali tra pochi mesi voteremo. Il centrosinistra deve rifiutarsi, come ha fatto, di aprire tavoli per contrattare eventuali emendamenti. Non di questo si tratta. L’aspetto odioso e a mio avviso incostituzionale della proposta della destra è certamente l’architettura di una legge che determinerebbe la vittoria di chi conquista sensibilmente un minor numero di consensi tra i cittadini. Il contemporaneo doppio meccanismo dello sbarramento e del premio di maggioranza produce – e non come rara eccezione – un tale esito, contrario ai presupposti di un corretto funzionamento della democrazia. Il tema delle leggi elettorali non appartiene però a questa legislatura bensì alla prossima. L’approfondimento di queste ultime dovrà essere affrontato in un quadro di coerenza con la definitiva messa a punto dei rapporti tra Stato centrale, Regioni ed autonomie locali; con la riforma del sistema parlamentare e del governo. Le leggi elettorali dovranno valorizzare il bipolarismo e migliorarne il funzionamento, non costituire minimamente un passo indietro. Il principio cardine del bipolarismo per me è la sovranità dei cittadini nel decidere con il loro voto le maggioranze di governo, a tutti i livelli. Le leggi elettorali andranno riconsiderate in questo quadro, non con il criterio delle convenienze per uno schieramento politico. Dovranno essere costruite insieme, con un rapporto serio tra maggioranza ed opposizione. Sulle regole l’intesa è obbligatoria. Ho parlato al plurale di leggi elettorali perché la mia opinione è che si debba ricercare un principio ordinatore comune anche per quelle delle Regioni: oggi si è in presenza di una giungla di sistemi elettorali e forme di governo, che un Paese non può permettersi. Come si vede il lavoro da compiere è impegnativo, non certo riconducibile ad un imbroglio come quello orchestrato dalla destra. Presuppone al tempo stesso che si liberi il campo dallo sfregio alla Costituzione che la destra sta portando avanti. Non è possibile costruire un serio accordo sulle leggi elettorali, se va avanti lo scempio alla Costituzione. Se infatti la destra non rinuncerà – come sarebbe nell’interesse del Paese – al suo progetto avventurista di stravolgimento della Costituzione, dovremo chiedere ai cittadini di spazzarlo via nel referendum. La Costituzione deve diventare sempre di più patrimonio comune degli italiani: oggi la destra vuole farne un suo ostaggio. Da qui la conclusione: se la destra non ritira la sua “legge elettorale imbroglio”, non soltanto l’Unione dovrà continuare l’ostruzionismo in Parlamento, ma chiamare gli italiani a grandi manifestazioni, nelle regioni e a livello nazionale. Non siamo noi i responsabili dell’aprirsi di un altro, duro terreno di scontro: è la destra, noi abbiamo il dovere di impedire a questa destra di stravolgere, a suo uso e consumo, le regole della democrazia.