Diversi parlamentari del centro-sinistra hanno chiesto in questi giorni di dare vita a un confronto con i radicali, in vista di un possibile allargamento della nostra coalizione.
I motivi richiamati nell’appello sono certo condivisibili. È vero che esiste nel centro-sinistra una sensibilità e una attenzione per temi quali la legalità, la libertà della ricerca scientifica, i diritti delle minoranze, la laicità dello Stato. Esiste dunque un terreno concreto di possibile riferimento comune. Del resto, per quanto riguarda i Ds, condividiamo anche l’iniziativa per il referendum sulla fecondazione assistita. Né vi sono nel centro-sinistra contrarietà ad aprire un confronto di ordine generale con il partito radicale.
Se fino ad ora questo non è avvenuto, non dipende certo da una indisponibilità del centro-sinistra, bensì dalla ambiguità con la quale la leadership radicale aveva impostato la questione delle alleanze.
All’inizio la scelta – giusta e comprensibile – di essere presenti nelle istituzioni si è accompagnata ad una preferenza di rapporti con la destra o al massimo ad una indifferenza rispetto ai due schieramenti. Se questa fase, come sembra, è superata, è un bene , dal momento che in un sistema bipolare non è più consentito, neppure a Marco Pannella, di immaginarsi come un fornaio che, a sua discrezione, può scegliere tra due forni, in quale far cuocere il suo pane.
Dimenticare questo punto di partenza e non sottoporlo a critica, non solo confonde il piano delle responsabilità, ma soprattutto non aiuterebbe a fare un solo passo avanti.
Il confronto politico anche generale con i radicali, perché si apra e sviluppi in modo positivo, richiede alcune necessarie condizioni. In primo luogo la centralità di un programma comune di governo, con le sue idee forza e priorità. I cittadini ci chiedono infatti unità e ci sollecitano a costruire in alternativa alla destra la più ampia coalizione politica. Al tempo stesso non vogliono desistenze ma intendono premiare schieramenti affidabili sul piano del governo, alleanze fondate su un comune programma.
In secondo luogo le alleanze ed il loro ampliamento le decide la coalizione di centro-sinistra nel suo insieme e non un solo partito. È il centro-sinistra – l’alleanza democratica come vogliamo si chiami – che decide, a livello regionale come per le elezioni politiche a quello nazionale, programmi e possibile allargamento delle alleanze. Non avrebbe senso una divisione di ruoli tra partiti dell’Alleanza, con alcuni che si fanno carico delle esigenze del cosiddetto centro o più propriamente dei ceti moderati, ed altri che coltivano le praterie della sinistra dispersa. È il programma di governo che ha la funzione di parlare ai cittadini, di dare certezze e speranza di futuro, di conquistare una maggioranza di consensi. Da questo non si sfugge ed è il terreno sul quale si definiscono i rapporti politici con gli stessi radicali.
Ci sarebbe a questo proposito da chiarire un punto con i sottoscrittori dell’appello: che cosa intendano precisamente quando parlano di «ospitalità» dei radicali nel centro-sinistra. Se si vuole alludere alla possibilità di un accordo realizzato senza una condivisione assoluta di tutti i principi e le impostazioni reciprocamente sostenuti, si sfonderebbe una porta aperta. È del tutto evidente che una alleanza non dà vita ad un partito unico. Se invece si volesse sostenere il ritorno a percorsi di desistenza elettorale, lo riterrei sbagliato sul piano generale e del tutto impraticabile a livello delle Regioni. In queste ultime la elezione diretta del Presidente trascina un premio di maggioranza a favore dei partiti della coalizione vincente. Il non dare vita ad una maggioranza di governo coesa esporrebbe non soltanto a rischi di ingovernabilità, ma potrebbe minare la stessa tenuta della istituzione regionale.
Infine, per quanto riguarda le prossime elezioni regionali, le intese non possono che essere costruite Regione per Regione. Non si tratta di un sotterfugio diplomatico bensì di una coerente impostazione politica. A livello nazionale vi può essere un orientamento favorevole a tentare di ampliare le alleanze, in coerenza con la priorità dei programmi. Le decisioni però si assumono nelle Regioni, perché il federalismo non è una parola con cui riempirsi ogni tanto la bocca. È un differente modo di fare politica, non solo una diversa organizzazione dello Stato.
La considerazione dell’importanza del contributo dei radicali alle battaglie di ieri e di oggi, sulla quale tutti conveniamo, non ci può fare mettere tra parentesi queste condizioni irrinunciabili.