L’esito del referendum ci deve fare riflettere. Di fronte alla indisponibilità della maggioranza a correzioni profonde in Parlamento della legge sulla fecondazione assistita, non avremmo certo potuto fare come gli struzzi, nascondere la testa sotto la sabbia e disinteressarci della questione.
Nessun pentimento dunque rispetto alla promozione dei quattro quesiti referendari: le vere sconfitte sono quelle relative a battaglie giuste, che non si ha il coraggio di affrontare.
La riflessione si deve riferire alle ragioni di una così bassa partecipazione al voto: poco più del 25%. Mi sembra sbagliato derivarne un giudizio sommario sulla società italiana, come se d’improvviso fosse stata trascinata indietro di trent’anni.
Nella scarsa partecipazione al voto di domenica e lunedì scorsi incidono più aspetti: l’usura dello strumento referendario; una campagna fortissima e diffusa per il non voto, che ha visto in prima fila le più alte cariche dello Stato, a partire dai Presidenti della Camera e del Senato; la complessità della materia, che ha impressionato molti rispetto alle determinazioni da assumere, facendo preferire in questa circostanza una delega della responsabilità; l’unità e la scesa in campo del movimento cattolico, praticamente in tutte le sue articolazioni, attorno a valori di fondo, che richiamano alla difesa della vita, ben oltre la lettera della legge in questione. Dovremo approfondire questi temi, fino da ora ponendoci alcuni obiettivi non contraddittori con l’impegno svolto nel referendum e con i problemi che ha evidenziato negli orientamenti della società italiana.
In primo luogo, l’impegno per cambiare la legge 40. Ora è più difficile, ma il centrosinistra non può rinunciare ad una proposta programmatica che garantisca la salute della donna, che deve scegliere la fecondazione assistita, e del bambino che nascerà; che affidi alla coppia la decisione sui figli che si desiderano; che non imbrigli la ricerca scientifica, rispetto a risorse e finalità che la muovono negli altri paesi europei.
In secondo luogo, è necessario porsi il problema di una riforma e di un rilancio dello strumento referendario: una vanificazione del referendum indebolisce la democrazia. Il referendum è momento di partecipazione diretta, complementare con la democrazia rappresentativa.
In terzo luogo occorre riprendere un confronto sulle grandi questioni dei valori: diritti civili; laicità; rapporto tra scienza e vita, per fare alcuni esempi per me di prima grandezza.
La cultura politica deve tornare a misurarsi su queste impostazioni, interloquendo con l’insieme dell’area cattolica e delle sue organizzazioni. La sinistra non può dare l’impressione che, dal momento che i cattolici e la Chiesa sono pervenuti, anche in Italia, al pluralismo nelle scelte politiche, il solo orizzonte in cui si avventura è quello del pragmatismo quotidiano.
Non bisogna poi sottovalutare una voglia di “nuovo centro politico” che soffia in tanti ambienti, economici, finanziari, politici di questo paese. Vi può essere la tentazione ad utilizzare una ricomposizione di culture e valori, che si dà per avvenuta, per farne il collante di questa operazione?
Forse questa tentazione vi è, ma della sua riuscita dubito. Non è ad esempio più alle viste l’unità politica dei cattolici in un partito o in una coalizione. Né la Chiesa, secondo me, lo vuole o lo ritiene realistico. Penso piuttosto ad un uso per dare maggiore credibilità, slancio e coesione alla destra nostrana. In ogni caso chi voglia scomporre il bipolarismo o ricostruire partiti di centro, deve farlo in proprio, senza coperture o supplenze. Abbattere, anziché migliorare il bipolarismo non è utile all’Italia.
La gran parte dei cittadini italiani non lo vuole e noi con loro.