Sono e rimango nel Pd: non dò per chiusa la possibilità di un ritorno alle ragioni fondative, che lo volevano come la Casa Comune dei riformisti di sinistra. Il Pd avrebbe dovuto essere in Italia una sinistra plurale. Per queste ragioni non ho condiviso la scissione, che ha portato alla nascita di Mdp.
Aggiungo che un centrosinistra unito resta auspicabile e mi auguro che possa essere ricostruito.
Detto questo, mi pare poco seria e un po’ ipocrita la campagna politico-mediatica che in questi giorni si conduce contro Mdp e la scelta di liste autonome di sinistra per le prossime elezioni.
Solo Speranza, Fratoianni e Civati sono responsabili del venir meno di un’alleanza? Non è così e se non ce lo diciamo con serietà e chiarezza, il cantiere del centrosinistra non si riaprirà neanche domani. Fino a dieci giorni fa tutte le politiche portate avanti da noi nel quinquennio erano giuste, salvifiche, da valorizzare senza discutere: ora tutto appare revocabile, su semplice richiesta. Domanda: non si dà così l’impressione di un tatticismo, che allontana, non avvicina i tanti delusi?
Oltretutto una campagna elettorale vincente richiede una valutazione condivisa sia dell’esperienza passata, che delle priorità del futuro. Non è pensabile che mentre gli uni parlano bene del Jobs act, della Buona Scuola, dei bonus a tutti senza riferimento al reddito, e gli altri sparano contro questi provvedimenti senza sé e senza ma, poi tutti insieme propongano i contenuti della prossima legislatura e così si renda credibile l’alleanza. Significherebbe perdere di vista la realtà, quanto in concreto si muove nella società. Nel Pd, in Mdp, in tutte le forze che si richiamano al centrosinistra avrebbe dovuto esserci un approfondimento critico dell’esperienza di questa legislatura, una messa a fuoco di aspetti positivi e negativi e, sulla base di una analisi condivisa, l’indicazione del programma per le prossime elezioni. Mi pare che Gianni Cuperlo abbia provato a dire qualcosa di simile, ma la sua voce si è persa nel turbinio degli incontri quotidiani.
Ho stima per Guerini e Fassino: con Piero ho per sette-otto anni lavorato intensamente, giorno dopo giorno. L’approccio e il metodo sono però sbagliati: dopo dieci anni di Pd, Guerini, ex Margherita, conduce gli incontri con le forze centriste; Fassino, ex Ds, si occupa della sinistra.
Mi auguro che Prodi non accetti un ruolo che non ha fondamento nella politica: una cosa è contribuire a restituire motivazioni ad un’alleanza, altra è l’invenzione di garanti esterni.
Non penso che forze politiche, di fronte ai problemi dell’Italia, vogliano oggi porre al primo posto tra le difficoltà per ricostruire il centrosinistra, il ruolo di Renzi: non si sceglie il premier prima del voto; è dubbio che in Parlamento ci sia domani una maggioranza autosufficiente per la destra, il centrosinistra o i Cinque stelle. Mi pare poi che Matteo Renzi si sia di fatto auto-ridimensionato con la scelta di delegare ad altri il confronto per realizzare gli accordi, buttando oltretutto al macero, con disinvoltura, almeno a parole, l’eredità del passato.
Sono convinto che l’ultimo autobus per una coalizione di centrosinistra sia stato perso quando, con la fiducia, si è voluto approvare la legge elettorale. Io non l’ho votata, perché a mio giudizio non consente, dopo tre elezioni con il Porcellum, la piena espressione della sovranità dei cittadini nella scelta dei propri rappresentanti alla Camera e al Senato. La legge elettorale è sbagliata anche per altri aspetti: dal voto unico, alla candidabilità nelle circoscrizioni estere di cittadini residenti in Italia. Ma per il Pd è addirittura un autogol. Non permette accordi di desistenza, essendo stata respinta la proposta di due schede – una per i collegi e una per la quota proporzionale – o almeno del voto disgiunto. Anche in caso di alleanza organica, se tra le forze politiche che raggiungono un’intesa non vi sono equilibri di peso sostanziali, i partner sono destinati semplicemente a dar vita a liste civetta.
Quando, prima del voto finale, si è provato a sollevare questo insieme di criticità, è stato sentenziato che dopo l’approvazione della legge tutti, anche Mdp, sarebbero stati costretti dalla necessità a dar vita ad un accordo. Miopia che mi fa tornare in mente il famoso detto: Dio acceca chi vuol perdere.
Comprendo e per certi aspetti condivido gli appelli di quanti, con autorevolezza, chiedono di far prevalere le ragioni dell’unità nell’area di centrosinistra: esprimono indubbiamente non solo preoccupazioni, ma anche motivi di responsabilità, saggezza, speranza. Ci sono però due rilievi, a mio giudizio, che rendono più fragili questi appelli. Il primo è il silenzio assordante registrato in questi anni, quando non si è manifestato dissenso di fronte a scelte che rifiutavano un confronto, una discussione vera, bollando chi avanzava riserve o proposte alternative come gufi o frenatori.
L’altro aspetto si riferisce a quei milioni di cittadini che, avendo perso la fiducia nei confronti del centrosinistra, non vanno più a votare: è così che vincono destra e Cinque stelle.
Di fronte a questa situazione senza dubbio un accordo reale, capace di tenere insieme valutazioni sul passato e priorità per il futuro, restituirebbe motivazioni, convinzione, slancio. Se invece, ormai, un’intesa di questo spessore non si può realizzare, se non è compiutamente raggiungibile un accordo sui contenuti e sull’innovazione nei programmi, allora secondo me è preferibile andare in modo autonomo alle prossime elezioni, prendendone atto, non aggiungendo alle difficoltà politiche le manovre su chi resterà con il cerino in mano. Non gioverà per prendere più voti, ma può accentuare ancora tensioni e lacerazioni. Bisogna almeno non alzare all’inverosimile i toni della polemica nel centrosinistra. Tutti dobbiamo assumere come nostri avversari, da sconfiggere, la destra e i populismi reazionari.
È una via stretta, lo so bene, e non è, per più motivi, scontato ritrovarsi insieme dopo il voto, per riprendere un cammino comune. Gli appelli, i garanti esterni, le intese di facciata, non rappresentano però un’alternativa. È un percorso che non porterebbe da nessuna parte. Sembra più ragionevole, ma spesso si trasforma solo nella peggiore tattica. Rischia di non produrre nessun risultato utile oggi e addirittura di chiudere ogni prospettiva di incontrarsi domani.
Questo ragionamento, condivisibile o meno, muove però da una convinzione profonda, che non nasce oggi, ma mi ha orientato anche ieri: il valore per l’Italia e per l’Europa del centrosinistra.