“La solidarietà è un fallimento”, ha detto il primo ministro maltese Joseph Muscat. “Sulle migrazioni, quando si tratta di una solidarietà effettiva, noi, gli Stati membri dell’Ue, dovremmo vergognarci di quello che abbiamo fatto”. E anche Malta, aggiungo io, poteva e potrà fare di più.
Proprio nell’anno in cui segnali simbolici e atti concreti ci lasciano pensare che stia prendendo vigore un rilancio dell’integrazione europea, apprendiamo che l’Austria schiera mezzi militari vicino al confine con l’Italia; che Francia e Spagna non intendono far approdare nei loro porti una sola nave di migranti. Prima ancora che la Commissione Europea e il vertice dei ministri dell’Interno a Tallinn assumano nuove misure per affrontare l’emergenza, gli egoismi nazionali annunciano posizioni desolanti. La solidarietà resta una parola vuota!
Mi auguro che le istituzioni europee prendano una posizione dura nei confronti dell’Austria. Bene ha fatto il nostro governo a convocarne l’ambasciatore, tanto che hanno fatto marcia indietro.
Lasciare che l’Italia gestisca un flusso che in sei mesi ha visto 85.183 sbarchi – in totale sono stati 101.210 e hanno coinvolto anche Spagna, Grecia e Cipro -, dirci ‘sbrigatevela voi’, significa colpire i valori che fondano l’Unione Europea. Bisogna aver chiaro che così l’Europa impallidisce: rischiamo di riprecipitare in una crisi di credibilità. Non bastano i pur necessari aiuti economici e logistici: dobbiamo rivedere l’accordo di Dublino, irresponsabilmente sottoscritto nel 2003 dalla destra italiana. È oltretutto ingestibile. L’Ue deve gestire in prima persona i rapporti con la Libia, per assumere il traffico di esseri umani, il pattugliamento del Mediterraneo, occuparsi dei richiedenti asilo e dei migranti economici.
Bisogna realizzare un campo profughi nel Nord Africa, in Tunisia o Libia, assicurando con il nostro controllo il rispetto dei diritti umani.
È importante che proceda più speditamente la distribuzione tra i paesi europei dei rifugiati, stabilita nel 2015. In due anni, a fronte della decisione di ricollocarne 160mila dall’Italia e dalla Grecia, al 14 giugno ne erano stati trasferiti soltanto 20.033.
Infine: in 3-4 mesi deve aver definito lo status o meno di rifugiato politico di chi viene da noi. Chi ha diritto all’asilo deve avere l’obbligo di studiare la nostra lingua, conoscere la Costituzione, impegnarsi in corsi di formazione, svolgere lavori di pubblica utilità. Questa disponibilità è la condizione per l’ospitalità nel nostro paese.