Nella nostra epoca la democrazia si trova di fronte a nuove e inedite sfide: dopo aver vinto lo scontro con i totalitarismi del ‘900, rischia ora di indebolirsi e soccombere ad opera dei populismi reazionari, dei fondamentalismi religiosi e dei terrorismi. Movimenti di vario segno cavalcano la rabbia, l’aumento delle disuguaglianze – particolarmente accentuato nel nostro paese – e il disagio sociale, colpendo al cuore le istituzioni.
Allo stesso tempo irrompe nel mondo la soggettività femminile, in grado – se valorizzata – di rafforzare la democrazia e cambiare, nel segno dei diritti e della responsabilità, la qualità della nostra convivenza. I cittadini chiedono di prendere parte ai principali processi decisionali che riguardano la loro vita e la determinazione del futuro delle nostre comunità. Il referendum costituzionale del 4 dicembre ce lo ha detto in modo chiaro, così come quello sull’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Di fronte a grandi scelte i cittadini vogliono decidere, non concedere deleghe. Questo obbliga i partiti e le istituzioni a rinnovarsi per cogliere e valorizzare questa spinta che viene dal basso, a partire dalle fasi di costruzione delle proposte.
La democrazia non vive più nei soli Stati nazionali. Il nostro tempo richiede una globalizzazione dei diritti e delle libertà. L’impegno per una riforma ed un rafforzamento dell’Onu non è meta-politica ma compito attuale in primo luogo della sinistra.
Il rinnovamento della democrazia, la partecipazione dei cittadini, la governabilità sono possibili oggi, in questa parte del mondo, solo dando vita ad una democrazia sovranazionale europea. Questo obiettivo si realizzerà recuperando lo spirito e i valori su cui era sorta, se saprà saldarsi alle lotte per la libertà, i diritti, l’uguaglianza e per uno sviluppo ecologico in grado di offrire opportunità a tutti di un lavoro degno. È questo impegno, non la retorica del passato, che caratterizza la missione politica della sinistra nel XXI secolo. Dobbiamo prendere nelle nostre mani la difesa del ruolo dell’Unione Europea nel garantire, dopo secoli di conflitti sanguinosi e di due guerre mondiali, pace, libertà, diritti umani, democrazia e la bandiera per gli Stati Uniti d’Europa, intanto affidando all’Unione la politica estera e di sicurezza, il governo delle migrazioni, l’affermazione dei diritti sociali fondamentali, la risposta ai cambiamenti climatici.
Su queste materie il Parlamento europeo deve svolgere una funzione di indirizzo e controllo e la Commissione quella di un governo federale. Il suo presidente deve essere legittimato democraticamente dai popoli, non scelto tra i governi.
È importante, da subito, rafforzare una cooperazione tra istituzioni sovranazionali, quelle nazionali e regionali.
In Italia per il rinnovamento della democrazia e dei suoi strumenti, individuiamo quattro temi di rilievo.
– Realizzare nelle grandi imprese forme di partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori nei consigli di amministrazione, così come avviene nella Repubblica Federale di Germania. Norberto Bobbio sottolineava come non possa vivere in modo efficace una democrazia relegata nelle sole istituzioni, senza affermarsi anche nei luoghi della produzione.
– La legge elettorale è un aspetto decisivo per aprire o chiudere alla partecipazione. Il porcellum ha prodotto danni non calcolabili alle nostre istituzioni e al loro rapporto con gli italiani. Dal 2006 ad oggi, a causa delle liste bloccate che hanno sostituito gli eletti con i nominati, abbiamo assistito ad un crollo del prestigio e dell’autorevolezza del Parlamento. Non esiste più un rapporto continuo con i territori, un rendere conto a chi ci elegge, una conoscenza delle esigenze prioritarie.
Dobbiamo ripartire da due punti fermi: collegi uninominali perché siano i cittadini a eleggere i loro rappresentanti in Parlamento, attraverso una attribuzione dei seggi con criterio proporzionale in base alla migliore cifra elettorale tra i candidati dello stesso partito o coalizione, ricreando un rapporto tra un nome, un volto, una personalità e chi esprime il voto; meccanismi che favoriscano la governabilità, senza imporla con forzature che mortifichino la rappresentanza. Come hanno sottolineato il Presidente della Repubblica e la stessa Corte costituzionale, è indispensabile avere leggi che garantiscano maggioranze parlamentari omogenee tra Camera e Senato.
In ogni caso, dovremmo cominciare a valutare un nuovo modello nel rapporto tra partito ed elettore, basato sull’offerta politica, costituita dal programma e dalla qualità delle candidature.
– Bisogna introdurre nuovi strumenti di partecipazione alla fase legislativa. I referendum di indirizzo, previsti dalla riforma costituzionale bocciata dal referendum, lo erano. Accanto al referendum abrogativo, è fondamentale creare strumenti democratici che intervengano nei rapporti con le istituzioni nazionali, regionali e comunali in una fase propositiva.
Il referendum ha detto NO alla riforma proposta, non ad ogni progetto di rinnovamento delle istituzioni. L’errore fatale è stato quello di presentare un progetto di riforma come espressione di un premier, un atto di fiducia o sfiducia nel governo, mentre la Costituzione è dei cittadini italiani. Dobbiamo riprendere con serietà quel cammino, non considerarlo un incidente di percorso, aspettando tempi migliori e fidando nel tanto peggio tanto meglio.
– In questa legislatura, nella quale rimangono ancora 9-10 mesi per lavorare, si potrebbe ancora tentare di portare a termine una mini riforma costituzionale su pochi punti ampiamente condivisi, al riparo dagli scontri polarizzanti dello scorso anno. Sarebbe essenziale, e possibile in pochi mesi, introdurre: la fiducia espressa al governo da parte delle due Camere in seduta comune; la sfiducia costruttiva, come in Spagna e Germania, per cui un governo può essere fatto cadere solo se le Camere sono in grado di esprimere una maggioranza che indichi un nuovo premier.
Anche autorevoli sostenitori del NO al referendum si erano impegnati su questa impostazione: spetta al Pd farsene carico, incalzare le altre forze politiche.
Per il futuro, occorrerà ripensare ad una riforma costituzionale complessiva, che riduca il numero dei parlamentari, affronti il ruolo del Parlamento, superando il bicameralismo paritario, i rapporti con le Regioni e le città senza ridar vita ad un centralismo anacronistico. Una riforma da presentare in testi legislativi differenziati, così da non chiedere ai cittadini, nel referendum, un “giudizio universale”.
È necessario infine riflettere sul nostro partito, sulla sua forma organizzativa, il suo pluralismo, le sue regole di partecipazione. L’articolo 49 della nostra Costituzione stabilisce che «tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». È ora, finalmente, di dare attuazione a questa disposizione. Questo tema è al centro della mozione di Andrea Orlando: il Pd deve darsi la forza, l’organizzazione, la partecipazione per potersi considerare a pieno titolo una comunità politica, un laboratorio di idee, un canale di individuazione dei problemi, delle esigenze, delle aspirazioni dei cittadini. Una democrazia parlamentare non vive in modo efficace senza i partiti.
Da noi si è smarrito il significato e il valore della militanza: gli iscritti, gli elettori da registrare realmente in un albo, devono diventare protagonisti. Non possiamo chiamarli a raccolta solo in primarie per scegliere le persone e ogni 4 anni per eleggere il segretario, salvo poi dire loro che il voto vero, che conta, è quello di quanti si affacciano ad un gazebo una domenica.
Il partito deve anche sapersi riappropriare, con continuità, di compiti di formazione politica, nelle forme adeguate alla società di oggi.
Anche il finanziamento pubblico, che per gli eccessi, gli scandali e i mancati controlli del passato ha avuto una sostanziale abolizione, va ripreso con una discussione seria. Si può guardare ad esperienze presenti in paesi europei, quali quelle della Germania federale, dove sono previste risorse a fondazioni di ricerca e di elaborazione politica, collegate ai partiti. Da noi avrà senso prenderle in considerazione nel quadro dell’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione e introducendo obblighi di trasparenza e controllo, oggi assenti, su tutte le fondazioni.
L’esperienza ha mostrato che la coincidenza tra segretario e premier non funziona: svilisce e fa deperire il partito; lo riduce a strumento di sola propaganda dell’azione del governo; può snaturarlo a organizzazione personale del leader. Oggi, oltretutto, questa opzione è in contrasto con le soluzioni possibili per la legge elettorale, non più esclusivamente maggioritaria, e con governi che inevitabilmente saranno di coalizione. Le primarie vanno regolamentate e prima possibile previste per legge. Devono essere confermate aperte al mondo del centrosinistra per scegliere i candidati a sindaco, presidente di Regione, presidente del Consiglio. Non hanno invece senso in questa forma per eleggere il Segretario del partito e ancor meno l’Assemblea nazionale. Lo Statuto va cambiato. Agli iscritti va riconsegnata la possibilità reale di discutere, vivere, contribuire a decidere nei circoli la politica. Dovranno essere chiamati a esprimersi, attraverso referendum mai praticati, sulle grandi scelte che il Pd dovrà compiere. L’Spd in Germania ha svolto una consultazione dei suoi militanti per sottoporre loro l’accordo raggiunto con il partito della Merkel e dare vita ad una grande coalizione. La tecnologia ci aiuta: diamo ai circoli tutti gli strumenti per fare del Pd una rete, sempre connessa, attiva, ricca di idee, spunti, sensibilità, passione. Anche per il tesseramento il digitale va sfruttato per dare trasparenza. Pensiamo ad un processo annuale, non ad un tesseramento ridotto a inutile orpello. In occasione dei congressi deve però chiudersi al momento della loro convocazione: chi si iscriva dopo, deve poter essere eletto negli organismi dirigenti, ma non esercitare un diritto di voto attivo. Le tecnologie però devono aiutare per ascoltare, consultare, mettere a punto progetti anche alternativi: le decisioni devono essere prese dalle persone nelle sedi di partito. È così che si contribuisce da sinistra a rendere più robusta la nostra democrazia.

Vannino Chiti

 

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