Giorni difficili, pieni di amarezza, di preoccupazione, di delusione per chi è di sinistra. Un pezzo di Pd se ne sta andando. È una rottura che colpisce anche i rapporti personali: con tanti abbiamo condiviso una vita di impegni politici, di lotte, di passione. E abbiamo portato avanti il sogno del Pd, una casa comune per la sinistra italiana, capace di unire le sue diverse componenti: chi veniva dalla storia della sinistra storica, chi aveva militato nelle organizzazioni del cattolicesimo democratico e sociale, chi rappresentava l’ecologismo, il valore dei diritti umani, della parità di genere. Una sinistra plurale, ancorata alle forze socialiste e progressiste europee, protagonista del rinnovamento dell’Italia e della costruzione di una democrazia sovranazionale europea. E ora, cosa rimarrà di questo sogno, che pare essersi spezzato, mentre gli affidavamo il compito di attraversare questo secolo?
Bisogna fare il possibile per farlo vivere, ma non sarà facile. Quelli che guardano al Pd sono sconcertati: la destra e il M5S brindano sulla pelle dell’Italia. Non attribuisco responsabilità solo a qualcuno: ne abbiamo tutti. Penso in ogni caso che la scissione sia un tragico errore, e che chi l’ha promossa, doveva evitarla. Renzi però non ha fatto niente per impedirla.
Non esco dal Pd per quanto ho finora detto. Non abbandono il gruppo, perché alle ultime elezioni, con la legge elettorale dichiarata dalla Consulta in vari punti incostituzionale, ognuno di noi è stato eletto perché i cittadini hanno votato il Pd: non c’erano né i collegi né le preferenze.
Voglio provare ancora a coltivare il sogno, che è oggi – con i cambiamenti intervenuti nel mondo, la presenza di populismi reazionari e di destre minacciose – sempre più una necessità: quello di una sinistra plurale, moderna ed europea, impegnata a rinnovare la democrazia, a battersi per superare povertà e disuguaglianze, per il lavoro e i suoi diritti, per uno sviluppo ecologico, una nuova cittadinanza.
Il primo banco di prova sarà proprio il Congresso. Occorrerà dimostrare nei fatti che il Pd non è né intende diventare un partito personale. C’è uno statuto da cambiare, perché confonde ruolo di militanti ed elettori; si concentra prevalentemente sulla leadership, non anche sul collettivo e sulle sedi della decisione. C’è una forma partito da inventare. Ci sono valori da rendere fondanti per la vita della nostra comunità politica. Ci sono regole anche di etica pubblica da seguire. Sono compiti affidati a noi tutti, non una richiesta da trasmettere a Renzi. Il nostro futuro, se vogliamo tenerlo aperto, se vogliamo non rinunciare ad esso, passa da qui. È un dovere provarci ancora, non facendo prevalere, dietro l’amarezza e la delusione che provano quanti guardano al Pd, rassegnazione e passività.