Bisogna ritrovare tra noi, nel Partito Democratico, una fiducia reciproca. Ricostruirla è una condizione preliminare per qualsiasi rilancio abbiamo in mente. Il dibattito e purtroppo un rischio di rottura non sono nati in questi ultimi giorni né le divergenze riguardano in astratto la data o i tempi di svolgimento del congresso. La questione è un’altra: con quello che sta cambiando nel mondo, dagli Usa all’Europa, con le disuguaglianze crescenti, i rischi di guerre e il terrorismo, con le sfide portate alla democrazia, è necessario oppure no mettere a fuoco cosa deve fare il Pd, le sue priorità, la sua cultura politica? Per farlo ci si può affidare allo statuto che abbiamo, ai congressi come li abbiamo vissuti dalla nostra nascita ad oggi? È sufficiente far svolgere la corsa per la leadership, la conta, con un residuo di marginale discussione politica annoiata? C’è oppure no la necessità di un approfondimento alto, unitario, capace di coinvolgere il nostro mondo e le competenze che possono aiutarci, le energie che dobbiamo saper raccogliere? Poi, legittimamente, verranno le distinzioni, le scelte del leader più adeguato. Prima deve esserci un impegno comune, non affidato alla sola mozione di chi vincerà il congresso. Un esempio banale: è come se discutessimo, con asprezza, su chi deve guidare il treno, senza aver deciso dove va, il suo percorso e la stessa disposizione dei vagoni. Il problema davanti a noi è questo: non un dispetto o un favore da fare a Renzi, bensì il contributo dì una grande sinistra plurale per sconfiggere i populismi reazionari, le destre antidemocratiche; per realizzare una democrazia sovranazionale in Europa, una società più giusta, l’affermazione dei diritti umani e della non violenza.
Si devono e possono evitare rotture drammatiche nel Partito Democratico, il frutto di 20 anni di impegno per costruire una casa comune dei progressisti, se centrali tornano ad essere la politica e la responsabilità.