Di: Alessandro Trotino

ROMA «Matteo Renzi ha fatto delle aperture e mi sembrerebbe sciocco e sbagliato non verificarle. La minoranza del Pd non storca il naso e partecipi alla Commissione con convinzione». Vannino Chiti è un esponente della minoranza del Pd. È uno dei 24 senatori che non votarono l’Italicum. Ma è anche il firmatario, assieme a Federico Fornaro, di un disegno di legge che introduce l’elezione diretta dei senatori e che è stato nominato da Renzi come il testo base da cui si ripartirà dopo il voto al referendum del 4 dicembre. Sui dubbi avanzati da Antonio Polito sul Corriere, a proposito del Senato e delle modalità di scelta, ha risposto ieri il ministro Graziano Delrio.

Chiti, il sì alla riforma è sempre più legato all’Italicum e alle modalità di scelta dei senatori. «All’inizio, con altri 14, non votammo la riforma. Ma poi riuscimmo a costruire l’unità del partito su 4 punti. I primi due erano che capo dello Stato e giudici costituzionali non fossero prerogativa della maggioranza. Ed è stato ottenuto».

Come? «Per essere eletto, il capo dello Stato dovrà sempre avere i 3/5 degli aventi diritto e, dalla settima votazione, dei votanti. Per i giudici della Consulta, la Camera ne eleggerà 3, il Senato 2».

Il terzo? «Il referendum. È stato introdotto il propositivo. E si è creato un doppio sistema: 500 mila firme necessarie e quorum del 50 per cento più uno del corpo elettorale. Oppure, minimo di 800 mila firme ma quorum più basso, ovvero la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni».

Il quarto è la scelta dei senatori da parte dei cittadini. «Esatto. Al comma 5 dell’articolo 2 abbiamo inserito il fatto che i consiglieri regionali-senatori sono designati “in conformità” con le scelte fatte dai cittadini alle regionali».

Formulazione ambigua. «No, per scegliere, i cittadini devono votare. Ed ecco la proposta: due schede, una per votare i consiglieri regionali e una per votare, tra i consiglieri, quelli che si candidano a senatori. Con metodo proporzionale, visto che il Senato non dà più la fiducia. Renzi ha citato questo testo come il punto di partenza e dunque per me questo è il testo del Pd».

C’è chi dubita e chiede che si vari prima del referendum. «Non si può. Il presidente del Senato, e ha ragione, dice che finché non c’è la riforma, e quindi il sì al referendum, non può iniziare l’iter».

E dunque: chi ci dice che sarà varata questa norma? «Se si trova l’intesa nel Pd, la commissione può portare la proposta alla direzione e farla approvare dai gruppi. Non sarebbe una strizzatina d’occhio, ma un impegno robusto».

Ma non basta il Pd. «A chi conviene dire no? I cittadini vogliono scegliere i senatori direttamente».

Si può litigare sui dettagli e bloccarsi. In quel caso la norma transitoria continuerà a valere: e i senatori li eleggeranno i consigli regionali. «No, voglio vederli i partiti a dire no. L’unico dibattito può esserci tra scegliere le preferenze o i collegi. Io sono fortissimamente per i collegi».

D’Alema non ha apprezzato le aperture. «È legittimo, ma sbaglia se dice che non c’è coerenza: il programma dell’Ulivo del ’96 si muoveva su questa linea».

Anche il resto della minoranza resta critica. «Sull’Italicum anch’io ho riserve. Ma quando votammo la riforma costituzionale, e io lo feci con convinzione, la legge elettorale era già stata approvata. Perché allora non fu posto il problema?».

C’è un atteggiamento pregiudiziale della minoranza verso Renzi? «In questi anni si sono consumati rapporti personali, che ora vanno ricostruiti. Ma Renzi ha aperto sulla nostra proposta, sui capilista bloccati, sulle pluricandidature e anche sul ballottaggio. Su quest’ultimo, propongo di far partecipare al ballottaggio chi ha superato il 15 o il 18 per cento. Sarebbe un grave errore non crederci e non provarci fino in fondo».