Perché votare Si al referendum? La prima risposta, per un parlamentare, è semplice, perfino banale. A chi la riforma l’ha approvata alla Camera o al Senato serietà e coerenza richiedono un impegno perché venga confermata anche dai cittadini.

Ne va della credibilità di ognuno di noi.
Il secondo motivo è ben più importante e riguarda il merito. Tanto più ciò vale per me, che non avevo votato la prima versione della riforma pur avendo sempre rifiutato affermazioni senza fondamento, come quella di una sospensione della democrazia.

Il testo sottoposto a referendum presenta quattro aspetti fondamentali, su cui sono intervenute modifiche significative. Le modalità di elezione del Presidente della Repubblica e quella dei cinque giudici costituzionali affidati al Parlamento – 3 alla Camera, 2 al Senato -, non più esposte al rischio di un predominio della maggioranza che vincerà le elezioni politiche. L’elezione del Presidente della Repubblica sarà più di oggi garantita come espressione di equilibri democratici, dal momento che non sarà più sufficiente nella quinta votazione né in quelle successive la maggioranza assoluta.

Il terzo aspetto si riferisce ai 74 consiglieri regionali/senatori su 100 componenti del nuovo Senato, che verranno scelti dai cittadini al momento delle elezioni nelle varie Regioni: i Consigli regionali si limiteranno ad una presa d’atto dei risultati.

Infine i referendum, quello propositivo, introdotto per la prima volta, e quello abrogativo, reso più agevole nel raggiungimento del quorum di validità: si tratta di innovazioni che rafforzano la partecipazione e vanno nella giusta direzione di costruire occasioni di complementarietà e non di contrapposizione alla democrazia rappresentativa.

Questi aspetti, con le competenze di rilievo assegnate al nuovo Senato – non la fiducia ai governi, ma la parità con la Camera che resta su modifiche alla Costituzione, referendum, rapporti con l’Unione Europea, Regioni e Autonomie locali -, l’azione di controllo sulle politiche pubbliche, la cui assenza è un limite della nostra cultura istituzionale, rendono sostenibile il progetto di riforma e recano un segno che non appartiene più al solo contributo del Governo.

Riconosco che su altri punti, come il procedimento legislativo, gli esiti sono meno scontati: sarà maestra l’esperienza concreta. Tuttavia quelli che ho sottolineato sono i muri portanti.

La bocciatura della riforma costituzionale aprirebbe scenari preoccupanti: subirebbe un colpo la credibilità riformatrice della nostra politica e sarebbe affidato a Grillo e Salvini il futuro della Costituzione. Loro e non altri gestirebbero una vittoria dei no.