Quanto sta avvenendo in Turchia in queste ore è una pagina oscura per la democrazia e per i diritti umani. Nella notte tra venerdì e sabato un colpo di stato ha tentato di sovvertire il sistema democratico, di destituire il presidente eletto dai cittadini. Niente nel XXI secolo giustifica la violenza. È stata giusta la fermezza della condanna.
Il presidente Erdogan in poche ore è riuscito a rientrare nel pieno delle sue funzioni e il colpo di stato è fallito. L’esito è stato accolto come una buona notizia e lo è. La democrazia vive se c’è partecipazione dei cittadini: così è avvenuto in Turchia.
Subito dopo però è iniziata una resa dei conti inammissibile: arresti sommari, repressioni massicce e ingiustificate. Il tentativo di colpo di stato sconfitto non può dare spazio a una vendetta contro le opposizioni, a misure che abbattono i fondamenti di uno stato di diritto. L’arresto in poche ore di migliaia di magistrati, di esponenti delle forze militari, la revoca di rettori, insegnanti, lavoratori del pubblico impiego, addirittura di imam, colpisce il pluralismo delle convinzioni e delle idee Non ha niente a che vedere con il tentato colpo di stato. Sono misure illiberali, gravi violazioni dei diritti fondamentali della persona. La magistratura deve essere autonoma dal potere politico. È grave che Erdogan abbia ipotizzato la reintroduzione della pena di morte.
Su questa strada la Turchia si pone fuori da un processo di integrazione nell’Unione Europea. Ciò riguarda sia gli Stati Uniti e la Nato, sia l’Unione Europea. Non si può essere né distratti né impotenti. Per quanto ci riguarda direttamente, l’Europa è la patria della democrazia. Non può tollerare che in un paese partner possa essere snaturato o reso un simulacro lo stato di diritto. L’Unione Europea deve esercitare un’azione autorevole perché in Turchia ritornino la pace, la legalità e il pieno rispetto dei diritti di ogni cittadino.