Il Partito democratico ha registrato un risultato negativo alle elezioni amministrative. A perdere è stato tutto il partito, come quando si vince: non serve personalizzare le responsabilità. Certamente, chi ha ruoli di guida ha il dovere di riflettere, con apertura al confronto.
Abbiamo perso perché non sappiamo più ascoltare gli italiani. Ci sono alcuni mondi che hanno sempre guardato alla sinistra democratica: penso alle fasce più povere della popolazione, al mondo del lavoro e della scuola, alla pubblica amministrazione. Molti di loro si sono astenuti, qualcuno ha votato per il Movimento 5 Stelle.
Dobbiamo interrogarci sulle politiche portate avanti e su quelle che dovremmo mettere in campo. La comunicazione è indispensabile, ma rappresenta l’altra faccia della medaglia, non sostituisce la politica. Non ci si può limitare alla propaganda delle scelte compiute. Dobbiamo confrontarci con i cittadini sulle urgenze, mettere al primo posto l’uguaglianza, il sostegno a quanti hanno redditi bassi e pensioni minime, realizzare con più efficacia il diritto al lavoro e le condizioni di maggiore vivibilità nelle periferie.
Anche i governi regionali e locali necessitano di innovazioni. Le risorse sono minori e dobbiamo darci priorità rigorose: non abbattere né ridurre anno dopo anno i servizi sociali, per la salute, per l’istruzione, ma rinnovarne la qualità attraverso una valorizzazione del ruolo del volontariato, del terzo settore. È lo sviluppo di quei modelli messi in campo anni fa, che richiamano la sussidiarietà. Il fisco deve essere equo: chi più ha più deve contribuire. La solidarietà non può essere archiviata. Deve essere cambiato a fondo quel Patto di stabilità che penalizza i Comuni, restringe le possibilità di una vita più degna per chi ha visto peggiorare il proprio tenore di vita. Ai giovani va restituita piena fiducia nel futuro del nostro Paese.
Nel Pd adesso è il momento delle analisi e delle proposte per una via d’uscita: se commettiamo l’errore di parlarci addosso su cariche, ruoli, equilibri interni, andiamo a sbattere. Il problema non è il doppio incarico di Renzi o la data del congresso, ma come costruire un partito di popolo presente sul territorio, capace di ascoltare, progettare, unire le energie migliori. Non dimentichiamo che ci guarderanno e daranno un giudizio su noi anche tanti che ci avevano votato e questa volta sono rimasti a casa.